La mia battaglia (Mein Kampf) di Adolf Hitler

la mia battaglia di Adolf Hitler

Scarica la versione in formato PDF del libro La mia battaglia di Adolf Hitler

La mia battaglia (Mein Kampf) di Adolf Hitler - Capitolo I

Pensiamo, per un attimo, di quali misere idee siano infarciti, di norma, quelli che vengono chiamati "programmi di partito ", e come, di volta in volta, vengano riadattati alle mutate idee correnti! Bisogna osservare attentamente, come sotto una lente, le idee centrali delle "commissioni per il programma " dei partiti (in special modo quelli borghesi) per poter afferrare appieno la consistenza reale di questi aborti politici.

Con questo, gettammo le basi e seminammo le nuove teorie che dovevano distruggere definitivamente quel lerciume rappresentato sino ad allora da teorie ed opinioni vecchie e per giunta non molto chiare. Era giunto il momento che energie nuove nascessero e si lanciassero contro la pigra e ormai anemica società borghese, a sbarrare il passo alla grande marea marxista, e riequilibrare il traballante carro del Destino.

Come appariva chiaro ai più, il nuovo partito avrebbe potuto sperare di acquistare il peso e l'influenza necessaria a questo titanico combattimento, solo se fin dal suo nascere avesse fatto accendere nell'animo dei suoi proseliti la certezza di trovarsi di fronte un partito che voleva qualcosa di fondamentalmente nuovo, di un partito insomma, che non fosse un ennesimo tentativo politico.

Era il 24 Febbraio del 1920 quando tenemmo nella grande sala della Birreria reale di Monaco la prima vera assemblea del nostro ancor giovane partito, e più di duemila persone approvarono all'unaninimità i venticinque punti del nostro nucleo politico.

C'è una sola cosa che preoccupa e che spinge alla creazione di nuovi programmi al cambiamento di quelli preesistenti: l'esito delle future elezioni. Appena nella mente di questi veri e propri giullari del mondo politico s'insinua il dubbio che il beneamato popolo possa mutare opinione e sfuggire dalle stanghe del carro di partito, loro, non fanno altro che riverniciare il timone. Vengono chiamati allora quelli che potremmo considerare "astrologi di partito " detti anche "esperti " o "competenti "; sono in maggioranza vecchi parlamentari rotti a tutte le esperienze politiche, essi cominciano così a ricordare casi simili, in cui il popolo, stufo, perse definitivamente la pazienza, e suggerendo vecchie soluzioni, formano "commissioni ", tengono d'occhio le reazioni del popolo leggono i giornali e fiutano l'umore della nazione per sapere cosa voglia mai quest'ultima e di cosa abbia paura Vengono analizzati minuziosamente tutti i ceti sociali e raggruppamenti professionali; di cui vengono studiati anche i desideri più riposti.

Queste commissioni si riuniscono e rivedono i programmi creandone di nuovi, e facendo questo, detti uomini, mutano le proprie convinzioni politiche con la naturalezza di un soldato che cambi la propria camicia pullulante di pidocchi In questi nuovi programmi ciascuno ha la sua parte Il contadino si vede offerta la protezione dell'agricoltura, l'industriale quella dei propri prodotti, viene altresì assicurata al consumatore la difesa degli acquisti e gli insegnanti fruiscono di aumenti di stipendio, mentre i funzioii,tri vedranno aumentare le proprie pensioni. Lo stato penserà ai bisogni degli orfani e delle vedove, saranno ribassate le tariffe sui trasporti e favoriti i commerci, e, per finire, le tasse, se non abolite saranno almeno ridotte. Capita spesso che un certo strato sociale venga dimenticato o che non si soddisfi una generale esigenza del popolo, allora viene inserito, a forza nei programmi, tutto quanto possa ancora trovarvi posto, nella speranza così di soddisfare in qualche modo quell'esercito di piccolo-borghesi e mogli rispettive. Così agguerriti, fidando nel buon Dio e nella inattaccabile idiozia dell'elettorato si dà inizio alla lotta per la "riforma " (così viene chiamata) dello Stato. Passata per il giorno delle elezioni e terminato l'ultimo comizio dei parlamentari del quinquennio, allo scopo di passare dall'addormentamento delle masse ai loro più elevati ed allegri compiti, queste commissioni si sciolgono, e la battaglia per le nuove condizioni assomiglia alla lotta per la conquista del pane quotidiano, i deputati definiscono ciò "indennità parlamentare ".

Tutte le mattine, il rappresentante del popolo arriva sino alla sede del Parlamento; se non entra, riesce ad arrivare perlomeno in anticamera dove viene affisso l'elenco dei parlamentari presenti: è su questo elenco, che il nostro, servendo la Nazione, scrive il proprio nome, ed è per questa fatica enorme, giornaliera, che incassa un profumato indennizzo. Passati quattro anni, o avvicinandosi sempre più lo scioglimento della Camera, detti signori vengono sollecitati da un impulso irrefrenabile, al pari della larva che è destinata a trasformarsi in farfalla, codesti vermi di parlamento abbandonano così il rifugio comune e volano fuori, dal popolo.

Ricominciano nuovamente a parlare agli elettori narrando loro come siano ostinati gli altri, e di come essi abbiano invece duramente lavorato; succede invece che il popolo, questa massa d'ingrati, invece di applausi lancia sul loro viso insulti e urla piene di odio. In genere se l'ingratitudine popolare tocca livelli molto alti tocca rimediare con l'unico toccasana possibile; migliorare ancora i programmi. Perciò la commissione si rinnova e risorge, dando di nuovo vita all'eterno inganno. Conoscendo bene la testarda idiozia dell'umanità intera non dobbiamo poi stupirci dei risultati. È così che il gregge del proletariato e della borghesia rientra nella stalla, tenuto per mano dal nuovo, invitante programma e dalla stanga, pronto a rieleggere coloro che lo hanno ingannato.

Con questo, l'uomo delegato dal popolo a rappresentarlo si ritrasforma nelle vesti del verme di parlamento, e riprende nuovamente a nutrirsi con le fronde dell'albero statale, per iniziare nuovamente il ciclo quattro anni dopo, mutarsi cioè di nuovo in farfalla.

Non esiste, credo, niente di più pietoso, che l'osservazione di questo fenomeno, dover cioè assistere, impotenti, all'etemo rinnovarsi di questo imbroglio. Certamente non troveremo mai la forza necessaria a combattere il sempre più potente e organizzato partito marxista nutrendoci di queste cose! Bisogna però dire che codesti signori non pensano minimamente a tutto questo. Dando pure per scontata la scarsa intelligenza di questi "maghi " del parlamentarismo e ammessa la scarsa consistenza del loro livello spirituale; essi non possono lontanamente pensare di combattere almeno sullo stesso terreno della democrazia occidentale, contro le dottrine socialiste, per le quali detta democrazia con tutte le sue sfumature non è altro che un ottimo strumento impiegato per immobilizzare l'avversario e spianare la strada alle proprie ambizioni. Se è vero, come si dice, che una parte dei marxisti cerca di dare a credere, d'essere le loro teorie strettamente legate con le concezioni democratiche, dobbiamo altresì ricordare che nei momenti critici, costoro, non hanno mai preso decisioni di maggioranza che fossero conformi alla concezione di democrazia occidentale.

I marxisti cammineranno a fianco della democrazia sino a quando, per vie traverse, riusciranno a conservarsi l'appoggio degli intellettuali di tutta la nazione, intellettuali che hanno peraltro la sorte già segnata. Se questi individui, oggi, riuscissero a convincersi che nel magico crogiuolo della nostra democrazia parlamentare si potesse formare improvvisamente una maggioranza tale da mettere alle strette il marxismo stesso, questi imbrogli parlamentari avrebbero un termine. Potremmo così vedere i condottieri dell'internazionale rossa rivolgere roventi appelli alla massa del proletariato invece che alla coscienza democratica, e la battaglia passerebbe improvvisamente dalla pesante atmosfera del parlamento, alle fabbriche, nelle strade. Sarebbe la morte della democrazia, e quello che non riuscì alla disinvolta moralità di questi difensori delle masse, nelle aule parlamentari, riuscirebbe d'un sol colpo ai martelli delle masse esasperate: queste masse insegnerebbero così alla borghesia come sia idiota riuscire solo a pensare di poter arrestare la conquista del mondo da parte degli ebrei con il solo strumento della nostra democrazia. Ho già affermato che bisogna essere ben creduloni per ancorarsi di fronte a un simile avversario a certe regole che quest'ultimo usa solo a proprio vantaggio, regole che costui ripudierà immediatamente appena cesseranno di essergli utili.

Tutti i partiti che vengono definiti borghesi considerano "lotta politica " la continua battaglia per conquistare seggi in Parlamento, mentre le teorie e gli orientamenti vengono mutati secondo il caso. I programmi di questi partiti hanno lo stesso valore, e dobbiamo valutare le loro forze allo stesso livello. Non sono cioè in possesso di quel magnetismo a cui le masse ubbidiscono, corroborato da nuove e interessanti teorie accoppiati a una cieca volontà di combattere per i propri punti di vista.

Ma quando in un momento in cui una delle fazioni, forte delle armi fornitele da una concezione del mondo assolutamente criminale attacca l'ordine costituito, l'altra fazione potrà difendersi solamente se la difesa è sotto l'aspetto di una nuova fede, nel nostro caso, di una nuova fede politica; e se al balbettio di una debole forma di difesa sostituisce l'urlo di guerra d'un eroico e anche brutale attacco.

Perciò, se oggi, i cosiddetti ministri borghesi, muovono al nostro movimento l'ironico rimprovero di "voler fare una rivoluzione ", potremmo dare una sola risposta a questi politicanti da commedia: "Sì, vogliamo recuperare tutto quello che voi, con la vostra delittuosa idiozia avete perduto. Voi con le vostre teorie d'un parlamentarismo da contadini avete contribuito a spingere la nazione nell'abisso; ebbene, noi, invece, agendo in maniera offensiva, creando nuove concezioni del mondo e difendendone con cieco coraggio le teorie principali, innalzeremo per la nostra nazione quei gradini sui quali essa, un giorno, potrà finalmente salire al sacrario della libertà ".

Per questo, quando fondammo il nostro movimento ci preoccupammo innanzitutto che uno stuolo di guerrieri non si trasformasse in una semplice associazione per favorire gli interessi parlamentari. Il primo provvedimento preventivo che prendemmo, fu la creazione d'un programma il quale spingesse verso un'evoluzione che nella sua più riposta bellezza sembrava adatto a rifiutare i meschini e i deboli, cacciandoli da quella che è oggi la nostra politica di partito. Ma la giustezza del nostro istituto, che bisognasse cioè stabilire per il nostro programma, obiettivi netti e ben definiti venne ribadita poi dall'avverarsi di quei funesti eventi che portarono al crollo la Germania.

Dall'avverarsi dell'esattezza delle nostre teorie si dovette così formare una nuova concezione di Stato che è per suo conto fondamentale elemento per una nuova concezione del mondo.Le parole "popolare " e "nazionale " non chiariscono molto bene il concetto. Oggi moltissime cose che nei loro obiettivi essenziali divergono enormemente vengono comunemente denominate "nazionale ". Perciò prima di cominciare a chiarire i compiti e le finalità del partito operaio nazional-socialista tedesco vorrei ben chiarire il concetto di "nazionale " e i suoi rapporti col nostro partito.

Il concetto di "nazionale " appare impostato in modo poco chiaro, aperto a varie interpretazioni e dal significato pratico praticamente senza limiti perlomeno quanto la parola "religioso ". Anche questa parola difficilmente riesce a rappresentarci qualcosa di preciso sia nel senso spirituale che nell'azione vera e propria. La parola "religioso " diviene limpida e finalmente comprensibile solo se la uniamo a una certa forma d'azione. Viene data una spiegazione bellissima ma priva di valore pratico, quando definiamo "profondamente religioso " il carattere d'un uomo. Forse qualcuno si accontenterà d'una definizione così vaga, che offre loro un'immagine più o meno chiara di uno stato d'animo. Ma il popolo non è composto da santi, né da filosofi, e per ciascuno questa idea religiosa, del tutto vaga significherà solamente la libertà nel pensiero e nell'azione individuale, senza peraltro possedere l'efficacia che la più riposta nostalgia mistica ha quando il purissimo pensiero metafisico cambia in credo religioso ben delimitato; certamente questo non è il vero scopo, ma il mezzo per raggiungerlo. E questo scopo non è solamente ideale, a pensarci bene, esso è anche di natura pratica. Dobbiamo convincerci che gli ideali più elevati corrispondono ad una viva necessità vitale, così come, alla fine, la nobiltà della bellezza più elevata è solo in ciò che è più logico e conveniente.

La fede innalza l'uomo al disopra della vita animale e coopera a fortificare ed assicurare l'esistenza. Si privi la odierna umanità dei principi religiosi ed etici, rinvigoriti dalla sua comunicazione; ed aventi per essa il valore di dottrina pratica. Togliendo l'educazione religiosa senza sostituirle niente di eguale valore: ne conseguirà un danno profondo alle fondamenta dell'esistenza. Si può decretare che non solo l'uomo vive per essere soggetto ad ideali superiori ma questi stessi ideali che danno la base della sua esistenza umana. E così il circolo si chiude. Come ben s'intende già nel termine vago di "religioso " si trovano alcuni contenuti o idee fondamentali, per esempio quella dell'indistruttibilità dell'anima, della sua eternità, dell'esistenza di un Essere Supremo ecc. Ma queste idee, per quanto persuasive per l'uomo, sono soggette ad una attenta considerazione dell'uomo stesso e al dubbio se accettarle o respingerle, fin quando il presentimento o la comprensione sentimentale non assumono il vigore di una fede che esclude ogni contraddizione. Questo è il primo fra i fattori di lotta che apre un varco all'ammissione di principi religiosi e facilita il compito.

Adolf Hitler

Senza una fede decisamente contenuta entro certi limiti, la religiosità imprecisa e multiforme non solo non avrebbe valore per la vita umana, ma porterebbe, quasi sicuramente, al caos generale. Ciò che accade per il concetto "religioso " accade anche per il concetto "nazionale ". Anche in questo si trovano le idee di base. Ma esse, anche se (il grande valore, sono, per il loro aspetto, determinate in modo cosi vago da non superare il valore di una supposizione, se non vengono inquadrate all'intemo di un partito politico. Perché l'attuazione di ideali che riflettano una concezione del mondo, e delle necessità che ne conseguono non si ottiene in grazia del sentimento puro né della volontà più riposta dell'uomo in sé, come non si ottiene la libertà, con un generale desiderio di libertà. No: solo quando la brama ideale all'indipendenza viene resa adatta alla lotta e organizzata in potenza militare, solo allora la volontà di un popolo può trasformarsi in meravigliosa realtà.

Qualunque concetto del mondo, anche se mille volte giusto e vantaggioso per l'umanità, non avrà alcun valore per la formazione di un popolo finché i suoi principi non saranno diventati l'insegna di un moto popolare di lotta, e questo moto sarà solamente un partito fin quando la sua opera non sarà compiuta con la vittoria dei suoi ideali, fin quando i suoi principi indiscutibili di partito non costituiranno le nuove leggi statali della comunità di un popolo. Ma se il contenuto vago di una dottrina vuol servire di base ad un futuro sviluppo, bisogna prima di tutto, rendere chiara l'essenza, la specie, l'estensione di questo contenuto: perché solo su un tale fondamento si può costruire un movimento capace di produrre nell'intima affinità delle sue idee la forza indispensabile alla lotta. Con le idee generali si deve formare un programma politico, con una vaga concezione del mondo una decisa fede politica.Questa fede, poiché la sua meta deve essere conseguita realmente, non dovrà soltanto essere soggetta all'idea in sé ma interessarsi anche dei mezzi di lotta che già esistono per portare quest'idea alla vittoria, e che devono essere usati.

A un concetto morale che deve divulgare l'autore di un programma, deve unirsi quella comprensione realistica delle cose che è propria dell'uomo politico. Perciò un'idea immortale deve, come stella polare dell'umanità, adattarsi alle debolezze di questa umanità, per evitare un naufragio a causa della generale inadeguatezza umana. All'uomo che ricerca la verità deve unirsi l'uomo che ha piena cognizione della psiche del popolo per trarre dal regno della verità perpetua e dell'ideale ciò che è umanamente possibile a noi poveri mortali, e formarlo. La trasmutazione di un'idea vaga, di una concezione del mondo precisa, in una comunità di individui che credono e che combattono, circoscritta con esattezza, severamente organizzata, unita di animi e di desideri, è il compito più rilevante: perché soltanto dalla precisa soluzione di questo problema deriva l'eventuale vittoria. Per ottenere un tale risultato è necessario che dalla massa di milioni di uomini che hanno più o meno chiaramente il presentimento o la comprensione di queste idee emerga un uomo. Tale uomo dovrà, con vigore incontestabile, assieme alle fluttuanti idee della grande massa formare principi ferrei e guiderà la lotta per attuarli finché, dalle onde di un mare di idee libere, si alzi la rupe bronzea di un'unità di fede e volontà. Il diritto di tutti di operare in questo modo è fondato sul bisogno, il diritto personale è fondato sul successo.

Se proviamo a tirar fuori dal termine "nazionale " l'intimo significato, arriviamo a questo risultato: l'idea politica oggi diffusa si fonda sulla concezione che si debba attribuire allo Stato una capacità di creare e civilizzare, ma che lo Stato non abbia niente in comune con premesse di razza. Lo Stato sarebbe invece il risultato di bisogni economici, o meglio, il frutto spontaneo di forze e di tendenze politiche. Questa idea di base porta, nella sua manifestazione logica, non solo a negare le prime forze etniche ma a sottovalutare il singolo individuo. Perché se si nega la diversità delle razze in relazione alle loro capacità di diventare civili, si deve per forza ricadere in questo grosso sbaglio nel giudizio dell'individuo.

L'ammissione dell'uguaglianza delle razze diviene il fondamento di un eguale giudizio dei popoli e, per di più, del singolo. E il marxismo internazionale non è altro che il trasferimento, fatto dall'ebreo Carlo Marx, di una idea che in realtà c'era già da molto tempo, ad una data professione di fede.

Se non ci fosse stato questo avvelenamento ampiamente divulgato, non sarebbe stato possibile lo sbalorditivo successo di questa dottrina, Carlo Marx, in verità fu solo uno fra moltissimi, che nella situazione disperata di un mondo in distruzione, individuò coll'occhio lungimirante del profeta i principali veleni e li trasse fuori, per raccoglierli, come negromante, in una miscela destinata a distruggere subito la vita indipendente di libere nazioni sulla terra. Ma fece ciò per giovare alla sua razza. Così la dottrina marxista è l'essenza, la caratteristica tipica della mentalità corrente. Già per questa ragione è irrealizzabile, anzi comico, ogni combattimento del nostro mondo borghese contro di esse; poiché anche questo mondo borghese è imbevuto di questi veleni ed ha un concetto del mondo che differisce da quello marxista solo per sfumature e per individui.

La società borghese è marxista, ma ritiene possibile un dominio di alcuni gruppi umani (borghesia) mentre il marxismo tende regolarmente a mettere il mondo nelle mani degli ebrei. Invece, l'idea nazionale razzista ammette il valore dell'umanità nelle sue originarie condizioni di razza.

Adolf Hitler Concordemente con i suoi principi, essa riconosce nello Stato solo un mezzo per conseguire infine, il fine del mantenimento dell'esistenza razziale degli uomini. Quindi non ritiene vera l'eguaglianza delle razze, ma ammette che sono differenti e che hanno un valore maggiore e minore, e da questa ammissione, si sente costretta a pretendere, conforme con l'eterna volontà che domina l'Universo, la vittoria del migliore, del più forte, la sconfitta del peggiore, del più debole. E così rispetta l'idea di base della Natura, che è aristocratica e crede che questa legge sia fondamentale anche per l'uomo più umile. Essa non solo ammette un diverso valore delle razze, ma anche quello dei singoli. Mette in luce l'uomo di valore e agisce così da ordinatrice, di fronte al marxismo creatore del disordine. Riconosce il bisogno di idealizzare l'umanità, vedendo solo in questa idealizzazione la base della vita dell'umanità stessa. Ma non può permettere ad un'idea morale di esistere se questa idea costituisce un rischio per l'esistenza razziale dei sostenitori di una morale superiore: perché un mondo corrotto "negrizzato " resterebbe per sempre privo dei concetti di umanamente bello e del sublime, e di ogni cognizione di un futuro idealizzato della umanità. Cultura e civiltà del nostro continente sono strettamente collegate, con la presenza degli Ariani. Il declino e la sparizione dell'Ariano riporterebbe sul mondo ere di barbarie.

Distruggere il contenuto della civiltà umana con la distruzione di quelli che la simboleggiano, appare il più disprezzabile dei delitti agli occhi di un'idea nazionale del mondo. Chi ha il coraggio di alzar la mano sulla migliore delle creature fatta a immagine di Dìo, pecca contro il munifico creatore e coopera alla espulsione dal Paradiso. Perciò l'idea nazionale del mondo, corrisponde alla più profonda volontà della Natura, perché ripristina quel libero scontro delle forze che deve portare ad una prolungata, mutua educazione delle razze, fin quando, mediante il raggiunto dominio della terra, sia facilitata la strada ad una umanità migliore, la quale possa agire in campi posti al disopra e al di fuori di essa.

Tutti noi sentiamo che in un lontano futuro gli uomini dovranno trattare tali problemi, che per risolverli sarà scelta una razza superiore, una razza di padroni, che avrà i mezzi e le disponibilità di tutto il mondo. Com'è chiaro, una determinazione così vaga delle idee di una concezione razzista del mondo lascia ampia possibilità di interpretazioni diverse. In verità non c'è nessuna delle nuove strutture politiche che in qualche punto non si riallacci a questa concezione. Ma quest'ultima, proprio per il fatto di avere una realtà propria di fronte a molte altre, rende chiaro che in questo caso si tratta di concezioni differenti.

Così alla concezione marxista guidata da un organismo supremo unitario, si oppone una mescolanza di concezioni che già riguardo alle idee colpisce sfavorevolmente al cospetto del chiuso fronte nemico Non si vince con armi così fragili. Soltanto quando alla concezione internazionale marxista (costituita in politica dal marxismo organizzato) si porrà contro una concezione nazionale ugualmente e unitariamente organizzata e guidata, e solo se nelle due parti sarà uguale la forza, nella lotta avrà la vittoria la verità eterna. Ma una tale idea del mondo può essere attuata sulla base di una esatta espressione di quella: i principi di base di un partito sono, per un partito politico in sviluppo, ciò che sono i dogmi per la fede. Perciò, per la concezione nazionale del mondo, si deve forgiare uno strumento che le garantisca la possibilità di avere una rappresentanza combattiva, così Come l'organizzazione marxista facilita l'avvento dell'Intemazionalismo. Il partito nazional-socialista opera in questo senso. La determinazione, al servizio di un partito del concetto nazionale è la premessa della vittoria dell'idea nazionale. Ciò è ampiamente provato da un fatto ammesso, almeno indirettamente, anche dai nemici, di quella intima unione fra idee e partito. Proprio quelli che continuano ad affermare che la concezione nazionale del mondo non e un'eredità per gli uomini, ma dorme o "vive " nel cuore di milioni di individui, dimostrano con questa affermazione la verità del fatto, che la totale accettazione di queste idee per gli uomini, non è sufficiente per ostacolare la vittoria di altre idee, rappresentate da partiti politici di classe. Se ciò non fosse vero, il popolo tedesco avrebbe riportato una grande vittoria, invece sta per rovinarsi. Ciò che permise la vittoria dell'idea internazionale fu il fatto che essa era rappresentata da un partito politico ordinato in gruppi d'aggressione. Ciò che permise la sconfitta dell'idea contraria fu la mancanza di una rappresentanza unitaria. Un'idea può solo lottare e vincere nella forma ridotta e circoscritta di un partiio politico, non nella assoluta libertà di interpretazione di teorie politiche.

Per questo motivo ritenni mio dovere quello di tirar i (tori dall'argomento ampio e vago di una dottrina, le idee più importanti, organizzandole in forma più o meno dogmatica; idee che nella loro evidente delimitazione sono adatte a dare un'associazione unitaria a coloro che le api covano. Cioè: il partito nazional-socialista recupera i concetti di base di una idea del mondo vagamente nazionale e, considerando la realtà della situazione, i tempi, gli uomini esistenti la fragilità umana, crea con essi una dottrina di fed e politica. Questa, in seguito, era, nell'organizzazione severa della moltitudine degli uomini, la premessa per la vittoria di quest'idea.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo II

Quanto più illogiche sono le condizioni di uno Stato, tanto più astruse, artefatte, inspiegabili sono le definizioni del fine a cui mira. Che poteva scrivere ad esempio un imperiale regio professore sul significato e sul fine di uno Stato in un paese la cui organizzazione statale rappresenta il più grande fallimento del ventesimo secolo? Compito questo di grande responsabilità se si pensa che per il professore di diritto pubblico di oggi prevale il raggiungimento di un fine determinato sul dovere alla verità.

Già nel 1920-21 i circoli dell'ormai superata società borghese, rimproveravano alla nostra politica di porsi contro allo Stato di oggi. E perciò i partiti politici di tutti gli orientamenti si sentivano in diritto di combattere e perseguire questo scomodo annunciatore di una nuova idea. Si tralasciò, intenzionalmente che oggi la stessa società borghese non esiste e non può essere data una spiegazione unitaria di questa idea. Frequentemente, gli interpreti sono nelle nostre università in carica di professori di diritto pubblico, la cui mansione più importante è quella di chiarire e spiegare la più o meno facile esistenza dello Stato che dà loro il nutrimento.

E il fine è questo: serbare con ogni mezzo quella mostruosa organizzazione umana che è lo Stato. Stabilito ciò, non bisogna meravigliarsi se per risolvere questo problema si evita la realtà dei fatti per tuffarsi in una mescolanza di valori ideali, di compiti, di scopi "etici " e "morali ".

In linea di massima si possono segnalare tre gruppi:
Il gruppo di quelli che vedono nello Stato solamente un associazione di uomini più o meno spontanea sotto un sovrano potere di impero.

Questo è il gruppo formato dai più. In esso si trovano, specialmente, quelli che hanno il culto del diffuso principio di legittimità, per loro la volontà dell'individuo non ha alcun significato in questo ordinamento. Essi fondano il diritto all'inviolabilità di uno Stato solo sul fatto che esso esiste. Per accettare questo delirio delle menti umane bisogna avere un'adorazione animalesca dell'autorità statale. Nel cervello di queste persone il mezzo si trasforma in fine. Lo Stato non è più al servizio degli uomini, ma sono gli uomini che vivono per adorare l'autorità statale che racchiude anche l'ultimo dei funzionari. Finché questo silenzioso, armonico culto non si trasformi in preoccupazione, in disordini, l'autorità dello Stato c'è solamente per conservare l'ordine e la calma; anch'essa non è più un mezzo, ma un fine. L'autorità statale deve vigilare per mantenere l'ordine e la calma, l'ordine e la calma devono cooperare per l'esistenza dello Stato. Tutta la vita deve agire entro questi due poli. In Baviera, queste idee sono molto diffuse e sono rappresentate dagli artisti politici del Centro bavarese, detto: "partito populista bavarese "; in Austria dai legittimisti gialloneri, e nel Reich gli elementi conservatori hanno questa concezione dello Stato.

Il secondo gruppo è molto più esiguo: fa parte di esso una categoria di persone che collega alcune limitazioni all'esistenza di uno Stato. Che richiede non solo lo stesso Governo, ma possibilmente, la stessa lingua, sia pure soltanto riguardo una generale tecnica amministrativa. L'autorità non è più il solo ed unico scopo dello Stato: ad esso si unisce quello di operare per il bene dei sudditi.

Nell'idea dello Stato, caratteristica di questo gruppo, s'introducono lentamente l'idea di libertà, nella maggior parte dei casi una libertà mal compresa. L'organizzazione statale non sembra più intoccabile per il fatto che esiste; ma viene studiata per accertarne la vantaggiosità. La santità della tradizione non salva dalla critica del presente. Del resto, quest'idea pretende, innanzitutto, dallo Stato un buon ordinamento economico, perciò esamina i fatti partendo da un punto di vista realistico, secondo basi generali, vaghe, fondate sulla produttività. I maggiori rappresentanti di queste concezioni si trovano nella comune borghesia tedesca, soprattutto nei gruppi della nostra democrazia liberale. Il terzo gruppo è ancora più esiguo.

Esso vede nello Stato un mezzo per attuare le tendenze di potenza politica, per lo più un po' vaghe, di un popolo compatto e ben caratterizzato da una propria lingua. In questo caso, il desiderio di una sola lingua statale è giustificato non solo nella speranza di creare a questo Stato un fondamento per aumentare la sua potenza all'estero, ma anche dall'opinione (errata) di riuscire con ciò a nazionalizzare lo Stato in una direzione stabilita. Negli ultimi cento anni fu una profonda pena il dover constatare come questi circoli si divertissero, talvolta convinti di essere nel giusto, con il termine "germanizzare ". lo stesso ricordo che, quand'ero giovane, questa parola portava a convinzioni fondamentalmente sbagliate.

Anche negli ambienti del pangermanesimo, si poteva udire che, il germanismo d'Austria poteva riuscire benissimo a germanizzare i paesi slavi austriaci. Questi non comprendevano che si può solamente germanizzare una terra, mai gli uomini. Ciò che si voleva esprimere a quei tempi con questo termine era soltanto un'imposta, accettazione apparente della lingua tedesca. È invece sbagliato pensare che, ad esempio, un Cinese o un Negro diventi tedesco solo perché impara il Tedesco ed è pronto, per il futuro, ad usare la lingua tedesca, e a dare il suo voto ad un partito politico tedesco. La nostra società borghese non ha mai compreso che una tale germanizzazione è, nei fatti, una degermanizzazione. Poiché se, coll'ingiunzione di usare un linguaggio comune, alcune differenze, finora evidenti, fra popolo e popolo vengono superate e infine scompaiono, ciò significa il principio di un imbastardimento, e in questo caso, non una germanizzazione, ma una distruzione delle componenti essenziali germaniche. Troppo spesso nelle storie succede che un popolo vincitore riesca, con i suoi strumenti di potere, ad ingiungere ai vinti di parlare la sua lingua, e che, dopo secoli la sua lingua sia parlata da un altro popolo e quindi i vincitori si trasformino in vinti. La nazione, o più precisamente, la razza non consiste nella lingua, ma soltanto nel sangue. Perciò si potrà usare il termine "germanizzazione " solo quando si saprà cambiare il sangue dei vinti. Ma questo non è possibile: a meno che con la fusione di ambedue le razze non si ottenga un cambiamento, cioè l'abbassamento del livello della razza superiore. La conseguenza ultima di questo svolgimento dei fatti sarebbe perciò l'annientamento di quei valori che un giorno permisero al popolo conquistatore di vincere. Principalmente le qualità culturali verrebbero distrutte nell'umone con una razza inferiore, anche se il conseguente prodotto misto parlasse mille volte la lingua della razza che prima era superiore. Per qualche tempo ci sarà ancora uno scontro fra differenti spiritualità, ed è possibile che la nazione, ora sull'orlo di un abisso, alla fine dimostri forze culturali eccellenti. Ma queste sono solo le qualità proprie della razza superiore, oppure bastarde, nelle quali, nel primo incrocio predomina ancora il sangue migliore e cerca di emergere, mai però risultati finali di un miscuglio, nei quali ci sarà sempre una corrente culturale retriva. Oggi si deve reputare come una fortuna se la "germanizzazione " dell'Austria di Giuseppe Il non ha avuto buon esito. Forse, se fosse riuscita, lo Stato Austriaco si sarebbe retto, ma la comunione di lingua avrebbe prodotto un abbassamento di livello razziale della nazione tedesca. Col passare dei secoli si sarebbe formato un'istinto di branco, ma il branco avrebbe avuto minor pregio.

Probabilmente sarebbe sorta una nazione-Stato ma si sarebbe rovinato un popolo di grande cultura. Per la nazione tedesca è vantaggioso che questo processo di unione non abbia avuto successo, se non grazie ad un pensiero superiore, almeno per la miope grettezza degli Asburgo. Se le cose non fossero andate così, la nazione tedesca non sarebbe oggi tra i creatori della civiltà. Non soltanto in Austria ma anche in Germania i circoli nazionali hanno idee analoghe, completamente errate. La politica dei polacchi, accettata da molti, dal punto di vista di una germanizzazione dell'Oriente si basò, sfortunatamente, su questo ragionamento. Anche in questo caso si pensò di poter "germanizzare " i polacchi con una operazione esclusivamente linguistica. E l'esito fu penoso: si ebbe una popolazione di un'altra razza che manifestava in lingua tedesca opinioni senza rapporto con la mentalità tedesca, e che metteva in pericolo col suo minor pregio la nobiltà e il valore della nostra nazione.

Tremenda è pure la rovina che subi, indirettamente, il germanesirno perché gli ebrei che parlavano tedesco in America furono confusi per tedeschi dagli americani che non conoscevano le nostre cose. Ma nessuno penserà di controllare la nazionalità e la provenienza tedesca di questi sporchi immigrati, visto che si esprimono in tedesco. Nella storia fu vantaggiosamente germanizzata la terra, ottenuta con la lotta dai nostri avi e colonizzata con contadini tedeschi.

Quando fecero penetrare nel corpo della nostra nazione sangue straniero, contribuirono a quell'infelice frazionamento del nostro io, che si palesa nel super individualismo tedesco, sfortunatamente e sovente oggi magnificato. Anche per gli appartenenti a questo terzo gruppo lo Stato è, in un certo senso, fine a se stesso; custodire lo Stato è il fine ultimo della vita umana. Per finire, si può decretare che queste idee non hanno radicata la convinzione che le forze che erano la civiltà e i valori si fondano principalmente su basi razziali e perciò che lo Stato deve ritenere suo compito essenziale la conservazione e l'elevazione della razza, premessa di ogni evoluzione della civiltà umana.

Perciò l'ebreo Carlo Marx poté trarre la conclusione ultima di questi errati concetti stilla sostanza e il fine d'uno Stato: la società borghese, tralasciando la concezione politica della discriminazione razziale, senza poter trovare un'altra espressione da tutti approvata, facilitò la strada ad una idea negante lo Stato in sé. Già per questo argomento la lotta della società borghese contro l'internazionale marxista è ineluttabilmente in via di fallimento. La società borghese ha da molto tempo perso le basi necessarie a sostenere le sue idee.

Il suo furbo nemico ha capito la fragilità della sua costruzione ed ora la combatte con le armi che esso stesso inconsapevolmente gli ha dato. Perciò, il compito principale di un nuovo movimento fondato sull'idea razzista del mondo è quello di operare in modo che la comprensione dell'essenza e del fine della vita dello Stato sia evidente e unitaria.

Si deve prima di tutto capìre, questo, che lo Stato non rappresenta un fine, ma un mezzo. Esso è la condizione preliminare per creare una superiore civiltà umana, non è il motivo per cui ciò avviene. Il motivo si trova soltanto nella presenza di una razza adatta alla civiltà. Anche se ci fossero sulla terra centinaia di Stati-modello, se tramontasse Ario portatore di civiltà, non sopravviverebbe nessuna civiltà equivalente alla grandezza spirituale dei popoli oggi esistenti.

Si può arrivare a dire che l'esistenza degli Stati non impedirebbe affatto l'eventualità della distruzione del genere umano se si perdessero le capacità superiori e l'agilità mentale, a causa della mancanza di una razza che le abbia in se. Se, per esempio, oggi la crosta terrestre fosse scossa da un terremoto e dalle acque dell'oceano sorgesse un nuovo Himalaia, una sola dolorosa sciagura, distruggerebbe la civiltà umana.

Solo l'annientamento dell'ultima razza portatrice di civiltà e degli esseri che la compongono apporterebbe sulla terra lo squallore. Invece notiamo da esempi presenti che Stati in formazione per la mancanza di superiori capacità intellettuali degli individui della loro razza non furono idonei a conservare questi ultimi. Come diversi tipi di animali preistorici dovettero soccombere e sparirono definitivamente, così anche l'uomo deve soccombere, se è privo di una dataforza spirituale, che sola gli fa trovare i mezzi necessari alla propria sopravvivenza.

Nessuno Stato potrebbe più sopravvivere, si annienterebbero tutti i legami dell'ordine, distrutti i documenti di uno sviluppo millenario, la terra diventerebbe un solo grande cimitero allagato dall'acqua e dal fango. Ma se da questo mostruoso caos si salvassero anche solo pochi uomini di una razza che possa ricostruire la civiltà, la terra, anche dopo secoli, ristabilita la calma, serberebbe le prove di una umana forza creatrice. Non è lo Stato che forgia un determinato grado di civiltà; esso può soltanto conservare la razza che è la premessa e la base di quel grado.

In altri casi, lo Stato può continuare ad esistere come tale, per secoli, mentre, siccome non gli fu proibita una mescolanza di razze, la genialità e l'esistenza di un popolo limitate da questo hanno subito radicali cambiamenti. Ad esempio, lo Stato presente, può come complesso esteriore, continuare ad esistere per secoli, ma l'avvelenamento razziale del corpo della nostra nazione crea un declino culturale, che già oggi ci appare disastroso. Quindi, la condizione preliminare della vita di un'umanità superiore non è lo Stato, ma la nazione, unica capace di portarla. Questa facoltà è sempre presente e deve essere stimolata all'azione pratica, da determinate condizioni esteriori. Le nazioni, o meglio, le razze fornite di caratteristiche creatrici hanno insite, nascoste, queste condizioni, anche se in alcuni momenti situazioni esterne impediscono alle loro buone qualità di attuarsi. Rappresentare come barbari, come incivili, i Germani dai tempi precedenti il cristianesimo e una inconcepibile stupidaggine. Non furono mai cosi. Ma la durezza delle condizioni climatiche del nord li obbligò ad un modo di vita che impediva l'attuarsi delle loro capacità creative.

Ma questa medesima capacità originaria creatrice di civiltà, non deriva esclusivamente dal clima nordico. Se fossero arrivati nelle terre del Sud dal clima temperato e avessero estratto i primi mezzi dal materiale umano inferiore, la capacità di cultura, latente in essi, avrebbe creato una meravigliosa fioritura, come per i Greci. Un Lappone, mandato nel Sud, non sarebbe niente più che un Esquimese creatore di civiltà. No, questa stupenda forza creatrice èdata solamente all'Ariano, sia che egli l'abbia in potenza, sia che la manifesti, in base alle situazioni favorevoli o a una Natura sfavorevole. È conseguenza di ciò questo concetto!

Lo Stato è un mezzo per raggiungere un fine. La sua meta consiste nella conservazione e nell'accrescimento di una società conducente un'esistenza fisica e morale dello stesso genere. Questa conservazione include la vita d'una razza e con ciò concede alla razza la libertà di evolvere tutte le qualità latenti in essa. Una parte di esse sarà in funzione della conservazione della vita materiale, l'altra opererà per l'evoluzione intellettuale. In verità, però, l'una delle parti crea le condizioni prima dell'altra.

Gli Stati che non operano in questo senso sono esperimenti mal riusciti, fallimenti. Ciò non è modificato dal fatto che esistono, così come il buon esito di un'associazione di delinquenti non può giustificare la delinquenza o la rapina. Noi nazionalsocialisti, come portatori di una nuova idea, non dobbiamo metterci mai sul celebre e per di più errato "terreno dei fatti ". Altrimenti non saremmo più i portatori di una nuova concezione ma i "coffies " della falsità di oggi. Dobbiamo distinguere con massima chiarezza fra lo Stato che è il recipiente e la razza che è il contenuto. E questo recipiente ha valore solo se sa contenere e custodire il contenuto; altrimenti non ha senso.

Il fine ultimo dello Stato nazionale è quello di serbare quegli elementi di razza originari che, come datori di civiltà, creano la bellezza e la nobiltà di un'umanità superiore. Noi Ariani, in un'organizzazione Statale possiamo soltanto vedere il complesso vivente di una nazione: complesso che non solo garantisce il prolungarsi nel tempo di questa nazione, ma la porta alla suprema libertà evolvendone le qualità spirituali ed intellettuali. Quello che oggi si vuol far credere uno Stato non è altro che il fallimento di profonde deviazioni umane e porta inenarrabili sofferenze. Noi nazionalsocialisti sappiamo di essere avversi nella società attuale a questa concezione, e siamo considerati come rivoluzionari. Ma le nostre idee e le nostre azioni non devono assolutamente essere causate dall'approvazione o dalla disapprovazione del nostro tempo, ma dai nostri doveri verso una verità che abbiamo ritenuta valida. Dobbiamo persuaderci che i posteri, esaminando il nostro operato, non solo lo capiranno ma lo troveranno giusto e lo loderanno.

Da ciò deriva anche, per noi nazionalsocialisti, la regola per giudicare lo Stato. Il valore d'uno Stato sarà relativo, se considereremo la singola nazione, assoluto se considereremmo l'umanità in sé. Cioè: la buona riuscita di uno Stato non deve essere giudicata dal livello della sua cultura e dalla potenza raggiunta in confronto al resto del mondo; ma solamente dal grado di bontà delle sue istituzioni verso la stessa nazione.

Uno Stato può essere ritenuto perfetto se corrisponde allo stato di vita della nazione che deve rappresentare e se, in real.ta, proprio con la sua esistenza, conserva in vita quella nazione: qualunque sia il valore culturale di questo Stato riguardo al resto del mondo. Però lo Stato non ha la mansione di creare capacità, sua mansione è quella di facilitare la via alle capacità già esistenti.

Invece si può dichiarare cattivo uno Stato, anche se di un elevato grado di civiltà, che ritenga finito il compito di portatore di questa civiltà nel suo ordinamento razziale. Poiché in questo modo le premesse di un'esigenza futura di questa civiltà che non creò lo Stato, e che è la conseguenza di una nazione creatrice di cultura assicurata dall'esistente ordine statale che la riassume in sé. Lo Stato non è un contenuto ma una forma. Perciò, la momentanea elevatezza della civiltà di un popolo non spiega la bontà di uno Stato in cui vive questo popolo. È chiaro che un popolo che abbia raggiunto un alto grado culturale ha maggior pregio d'una tribù di negri: però l'organizzazione statale di quello, riguardo l'attuazione dei suoi fini, può essere meno valida di quella di una tribù di negri. Il migliore Stato e il migliore organismo statale non sono capaci di trarre da un popolo le qualità che non ha e che non ebbe mai. Al contrario, uno Stato cattivo, può distruggere qualità che in principio esistevano, permettendo o agevolando l'annientamento dei produttori della civiltà della razza.

Per di più, il giudizio sulla validità di uno Stato può essere stabilito, in primo luogo, dal relativo vantaggio che ha per un determinato popolo, e non dalle qualità che gli sono attribuite nel mondo. Questo giudizio relativo può essere formulato subito e bene, invece il giudizio sul valore assoluto difficilmente si può dare, poiché è limitato non più solo dallo Stato ma anche dalla validità e dal livello morale di una nazione. Perciò, se si parla di un supremo compito per lo Stato, non si deve tralasciare che il supremo compito si trova esclusivamente nella nazione, alla quale lo Stato deve soltanto facilitare, con la coesione della propria esistenza, una libera evoluzione. E se pensiamo a come debba essere l'aspetto dello Stato adatto a noi tedeschi, dobbiamo prima capire bene quali uomini lo Stato debba avere e a quale meta debba tendere. Sfortunatamente, la nostra nazione tedesca non è più basata su un nucleo razziale organico.

Il processo di fusione dei tanti caratteri primordiali non è tanto evoluto al punto di poter parlare di una nuova razza da esso costituita. Al contrario! Gli avvelenamenti del sangue subiti dalla nostra nazione, particolarmente dopo la guerra dei trent'anni, corruppero non solo il sangue, ma anche l'anima tedesca. Le frontiere aperte della nostra patria, il fatto di basarsi sull'aiuto di stranieri lungo le terre di confine, ma specialmenteil frequente ingresso di stranieri nel nostro Reieh, ingresso ripetuto, non permisero che si attuasse una totale fusione.

Non si creò una nuova razza ma le caratteristiche razziali rimasero vicine, con la conseguenza che, specialmente nei momenti sfavorevoli, quando ogni popolo è solito riunirsi, il popolo tedesco si sparpagliò in tutti i versi. Gli elementi razziali sono differentemente disposti a strati, non solo nelle dìfferenti regioni, ma pure in ogni singola regione. Vicino a individui nordici ci sono individui orientali, vicino agli orientali dinarici, individui occidentali, e fra tutti, mescolanze umane.

Ciò causa una profonda rovina: il popolo tedesco è privo di qualunque disposizione innata di gruppo basata sull'unità di sangue, quella disposizione che nel pericolo preserva dalla distruzione le nazioni, facendo dimenticare le grandi e piccole divergenze interne e ponendo contro al nemico comune, il chiuso fronte di un gruppo unito. Nell'intrico delle nostre caratteristiche di razza, che non si fusero, si trova la base di quello che noi definiamo col termine "superindividualismo ": esso, nei periodi di pace, può essere vantaggioso, e, in fondo, ci portò alla suprei nazia sul mondo. Se il popolo tedesco, nella sua evoluzione storica, avesse avuto quell'unità di gruppo che ebbero altri popoli, oggi il Reich tedesco sarebbe padrone del mon(lo.

La storia mondiale avrebbe avuto un altro sviluppo, e nessuno può dire che in questo modo non si sarebbe attuato ciò che tanti ciechi pacifisti credono di conseguire lamentandosi ed elemosinando: una pace non sostenuta dagli scodinzolamenti di piagnucolosi discorsi pacifisti, ma basata sulla spada vincitrice di un popolo dominatore che s'impadronisce del mondo per l'utilità di una civiltà superiore. Il fatto che non abbiamo avuto una nazione unita al sangue ci causò profondi dolori. Ha dato citta per viverci, a molti tedeschi \acquisiti, ma ha tolto al vero popolo tedesco il diritto di comandare. Ancora presentemente il popolo subisce lo strazio di questa decomposizione. Ma quello che causò sfortuna nei tempi passati, può creare la nostra fortuna per l'avvenire. Poiché, se da una parte, fu rovinoso il fatto che non si è creata una completa fusione delle nostre caratteristiche primordiali di razza e quindi non si sia attuata la coesione del nostro popolo, fu, d'altra parte vantaggioso che almeno una parte del nostro sangue migliore sia rimasto incontaminato e abbia evitato l'abbassamento razziale.

Certamente dalla completa fusione delle nostre caratteristiche di razza originarie sarebbe conseguito un corpo nazionale unitario, ma esso, come accade per ogni incrocio di razze, avrebbe posseduto minor forza d'incivilimento di quella che aveva il migliore fra questi elementi originari. È questo il vantaggio della cattiva riuscita della assoluta fusione: ancora oggi abbiamo nel nostro corpo nazionale tedesco grandi caratteristiche incontaminate di individui germanici del nord nelle quali possiamo riconoscere il più pregiato tesoro per il nostro futuro. Nei tempi oscuri in cui erano sconosciute tutte le leggi razziali, quando il valore di un uomo sembrava simile a quello di un altro, mancava il preciso discernimento del differente valore delle singole caratteristiche di base. Invece oggi sappiamo che la totale fusione delle caratteristiche del nostro corpo nazionale, avrebbe (per la coesione che ne sarebbe derivata), causato forse la potenza esterna, ma avrebbe impedito l'attuarsi dell'ultimo fine dell'umanità, perché quello che fu eletto chiaramente dal Destino sarebbe morto nella vaga mescolanza di razze della nazione unitaria.

Ma quello che, senza nostro intervento, fu reso impossibile da un destino favorevole, dobbiamo osservare e giudicare oggi noi, iniziando dalle nozioni ora acquistate. Chi parla di un alto compito sulla terra del popolo tedesco, deve aver chiaro che questo può soltanto risultare nella creazione di uno Stato che riconosca sua mansione suprema la conservazione e nell'aumento delle caratteristiche migliori, rimaste incontaminate, della nostra nazione, anzi, di tutta l'umanità. In questo modo attua, per la prima volta, un elevato intimo fine. Di fronte al comico ordine di garantire la pace e l'organizzazione per truffarsi scambievolmente, si mostra un compito veramente alto, quello di mantenere e far progredire un'umanità superiore, data a questo mondo dalla bontà di Dio.

Un ordinamento morto, che esige di restare in vita solo per amore di se stesso, deve trasformarsi in un organismo vivo che abbia come sola meta di essere utile ad un'idea superiore. Il Reich tedesco, ha il dovere, come Stato, di contenere tutti i tedeschi, con la missione non soltanto di riunire e conservare in questo popolo le migliori caratteristiche primordiali di razza, ma di elevarla lentamente ma sicuramente, ad una condizione di supremazia. Perciò, ad un periodo di immobilità segue un periodo di lotta.

Ma, come sempre ed in ogni fatto, ha efficacia qui il proverbio: "chi si ferma arrugginisce " ed è sempre valido che "la vittoria sta nella lotta ". Quanto più è elevato il fine della lotta che brilla davanti ai nostri occhi, quanto meno la grande massa ne ha adesso comprensione, tanto più grande è, e lo impariamo dalla storia mondiale, l'esito favorevole: e questo esito ha maggior pregio quando il fine è chiaramente capito e la lotta è fatta con volontà salda. Per molti dei funzionari che sono oggi al potere nello Stato puo essere più sicuro il combattere per la conservazione della forma di governo presente che battersi per uno futuro. Ad essi sembrerà più facile riconoscere nello Stato un'organizzazione che c'è solo per mantenersi in vita, così come, al contrario, la loro vita appartiene allo Stato, come usano affermare: come se ciò che è fiorito dalla nazione potesse necessariamente servire ad altro che alla nazione, e come se l'individuo potesse adoperarsi per altri che per l'individuo. Come ho detto, è logico che sia più comodo vedere nell'autorità statale nient'altro che lo esplicito complesso di un'organizzazione, piuttosto che la più alta rappresentazione della tendenza innata di un popolo alla propria conservazione sulla terra. Poiché, nel primo caso, per questi animi fragili, lo Stato e l'autorità Statale sono fini a se stessi, invece, nel secondo caso sono la meravigliosa arma adatta alla grande, immortale lotta per la sopravvivenza, un'arma alla quale ogni uomo deve adeguarsi poiché non funziona senza l'intervento dell'intelligenza ma è la manifestazione di una comune volontà di sopravvivere. Perciò, nella lotta della nuova idea che obbedisce all'originario significato della realtà troveremo solamente pochi compagni in un mondo che non solo materialmente, ma sovente per sfortuna, moralmente, è privo di, vigore. Solo individui eccezionali, vecchi dal cuore giovane e dall'intelligenza rimasta viva, si uniranno a noi da quei ceti, ma non quelli che riconoscono come missione della propria esistenza di mantenere una situazione già in atto. Abbiamo di fronte la smisurata 'schiera non tanto dei 'malvagi e dei' cattivi, quanto degli indolenti, degli insensibili, di quelli che si preoccupano di mantenere in vita la situazione presente. L'urlo di lotta, che fa fuggire gli animi gretti o li intimorisce, diviene il segno convenzionale per indicare la raccolta dei veri caratteri battaglieri. Ma proprio perché sembra che la nostra lotta non abbia possibilità di successo, ci appare più grande la nostra alta missione e l'eventualità del successo.

Bisogna capire questo: quando un popolo mostra una determinata quantità di grossa energia tendente ad un fine, ed ha evitato l'indolenza delle grandi masse, i pochi diventano padroni dei più. La storia mondiale è creata da gruppi poco numerosi, se in questi gruppi poco numerosi ha vita la maggioranza della volontà e della forza di decisione. Perciò, ciò che può sembrare dannoso a molti, è in verità la condizione preliminare della nostra vittoria. Proprio nell'estensione del nostro compito e negli ostacoli che ci si oppongono, è riposta la possibilità che solo i migliori combattenti stiano per lottare per esso. E proprio in questa scelta sta la sicurezza di successo.

Generalmente già la Natura delibera e apporta alcune modifiche nel problema della purezza di razza di creature terrestri. Essa non predilige i bastardi. Specialmente i primi risultati degli incroci, ad esempio, nella terza, quarta, quinta generazione, devono soffrire tristemente: non solo non possiedono un valore proprio della più elevata delle caratteristiche originarie dell'incrocio, ma, essendo privi dell'unità del sangue, mancano anche dell'unità di volontà, di capacità di decisione, indispensabile per l'esistenza. In tutte le situazioni particolari, in cui l'individuo di razza pura decide giustamente e in modo unitario, l'individuo di razza mista diventa incerto e prende decisioni non completamente valide. Ciò spiega una certa inferiorità dell'individuo di razze miste di fronte a quello di razza pura, e in realtà implica anche la probabilità di un veloce declino. In moltissimi casi la razza sopravvive, mentre il bastardo muore. In questo bisogna riconoscere una modifica apportata dalla Natura: che spesso si spinge ancora più oltre. Essa riduce la probabilità di diffusione: distrugge lo sviluppo di altri incroci e li porta alla morte.

Se, per esempio, un essere d'una razza si unisse ad uno di una razza inferiore ne deriverebbe prima un deterioramento, poi un'infiacchimento di discendenti di fronte ad altri esseri rimasti puri. Se si proibisse alla razza superiore di apportare sangue nuovo ai bastardi, questi morirebbero per la loro minore capacità di sopravvivenza, voluta dalla accorta natura o creerebbero, attraverso i secoli, un nuovo miscuglio in cui le singole caratteristiche primordiali sarebbero fuse a causa dei molti connubi e non sarebbero più individuabili. Così si sarebbe costituita una novella nazione d'una forza di sopravvivenza simile a quelle delle greggi, ma inferiore per pregio spirituale e intellettuale in confronto della razza superiore, attiva nel primo connubio. Ma anche qui il risultato misto avrebbe la peggio nella scambievole lotta per la sopravvivenza, quando si trovasse contro un nemico di una razza superiore unitaria, incontai i i nata da ogni fusione.

La profonda unità di questo nuovo fine, l'unità da gregge costituitasi nei secoli, non sarebbe sufficiente, a seguito (lei totale decadimento della razza e della diminuita capacità di apprendimento e di creazione a combattere vittoriosamente contro una razza egualmente compatta, ma più elevata di genialità e di civiltà. Possiamo perciò formulare questo concetto efficace: qualunque connubio di razza porta inevitabilmente, allo sparire del risultato misto, fin quan(lo la parte migliore di questo stesso connubio persiste in una compattezza di razza. Il rischio per il risultato misto, è escluso solo quando la razza superiore s'imbastardisce. Su ciò si basa una lenta evoluzione naturale, che lentamente, esclude gli avvelenamenti razziali, finché persiste un certo numero di caratteristiche di razza pura e non avviene più un altro imbastardimento. Quest'evoluzione può crearsi da sé in individui dotati di una profonda tendenza di razza, che soltanto situazioni particolari o una particolare costrizione ha allontanato dalla strada della naturale generazione dei puri di razza. Nel momento in cui questa condizione di forza è finita la parte pura spingerà subito al connubio fra simili impedendo un'altra fusione. E in questo modo i fatti d'imbastardimento passano in secondo piano se il loro numero non si sia già tanto accresciuto che non sia più possibile una vera resistenza delle caratteristiche restate pure di razza. L'individuo che ha perso le sue tendenze naturali e non riconosce il dovere ingiuntogli dalla Natura, generalmente non può più fare affidamento su questa modificazione da parte della Natura, fin quando non ha rimpiazzato con esatte nozioni l'impulso naturale perduto: è compito di queste allora provvedere all'indispensabile opera di rimorchio. Comunque rimane il grosso rischio che colui che non vede più, continui a rompere i limiti di razza e che anche l'ultimo residuo della sua parte migliore finisca col perdersi. In questo caso resta soltanto un miscuglio come desiderano i celebri miglioratori odierni, che lo considerano l'ideale: ma essa in poco tempo distruggerebbe ogni ideale del nostro mondo. Certamente: cosi si potrebbe formare un, grosso gregge, ma da una fusione di questo tipo non proviene mai un individuo portatore di civiltà, creatore o fondatore di civiltà. E allora si potrebbe ritenere finito il più alto compito dell'umanità.

Chi non desidera che la Terra abbia questo destino deve capire che la mansione dello Stato germanico è specialmente quella di operare perché sia dato un termine conclusivo ad ogni altro imbastardimento. La generazione dei nostri deboli odierni griderà contro queste idee e si lamenterà di interventi nei sacrosanti diritti umani. No, l'uomo ha solo un inviolabile diritto che è poi un inviolabile dovere, quello di operare affinché il sangue si mantenga incontaminato, perché la sopravvivenza della superiore umanità attui un'evoluzione dell'umanità stessa. Perciò, uno Stato nazionale in primo luogo dovrà innalzare il matrimonio dal grado di un continuo scandalo per la razza, e dargli la legittimità di un ordine chiamato a procreare creature fatte a somiglianza del Signore e non aborti fra l'uomo e la scimmia. La contestazione, non è permessa ad un periodo storico che da una parte dà ad ogni depravato la possibilità di moltiplicarsi, e dall'altra parte concede che in' ogni drogheria e addirittura nei mercati di strada si vendano a poco prezzo miscugli per impedire le nascite anche da genitori sani. Nel presente Stato della calma e dell'ordine, per i rappresentanti di questa bella Società nazionaleborghese, è perciò un crimine ostacolare la procreazione nei sifilitici, nei tubercolosi, in quelli che hanno malattie ereditarie, nei deformi, nei cretini, mentre l'interruzione reale della possibilità di procreare in milioni di esseri sani non è ritenuto un fatto riprovevole e non offende i buoni costumi di questa falsa società, è anzi al servizio della cieca indolenza del pensiero. Perché altrimenti ci si dovrebbe stancare la mente su questo problema: come si possano formare le condizioni preliminari per gli alimenti e per l'esistenza di questi individui che, come sani portatori della nostra nazionalità, dovranno un giorno avere lo stesso compito di fronte alla generazione seguente.

Ma questo modo di agire è spregevole e senza ideali. Non ci si impegna più ad educare i migliori per le generazioni seguenti, ma si lascia che le cose seguano il loro corso. Anche le nostre Chiese peccano contro l'immagine Dio, anche se ne danno risalto al valore, e ciò corrisponde al loro odierno modo di comportarsi: esse si occupano sempre dello spirito ma permettono che l'uomo, portatore dello spirito, si trasformi in un abietto proletario. Poi ci mostriamo meravigliati, con facce stupide, della poca autorità che ha oggi la fede cristiana sul nostro paese, sull'ateismo di quella gente mal fatta nel corpo e quindi anche abbruttita spiritualmente e cerchiamo un equilibrio nel convertire Ottentotti, ZuIù, con la benedizione della Chiesa. Mentre, grazie a Dio, gli uomini Europei si ammalano di lebbra fisicamente e spiritualmente, il religioso missionario si reca nell'Africa centrale e crea missioni per i negri: così la nostra civiltà superiore farà anche li di individui sani, anche se incivili e non evoluti, una sporca razza di bastardi.

Sarebbe più umano e naturale questo: che le nostre due chiese cristiane, piuttosto che infastidire i negri con missioni, dai negri non volute né capite, insegnassero con bontà e con coscienza ai nostri uomini europei, che quando i genitori hanno qualche tara è azione più grata a Dio l'aver compassione di un piccolo orfano sano e dargli dei genitori, piuttosto che generarle un bambino malato, portatore di dolori e di sciagure a sé e ad altri. Lo Stato nazionale deve riacquistare ciò che nel presente riguardo è tralasciato da tutte le parti. Deve porre la razza alla base dell'esistenza generale. Deve preoccuparsi di mantenerla incontaminata. Ha il dovere di affermare che il bambino è il bene più prezioso di un popolo. Deve permettere che soltanto chi non èmalato procrei figli, che sia contro la morale il generare bambini quando si è malati o difettosi e privarsi di ciò risulta il più alto pregio. Ma, invece, deve essere giudicato biasimevole portar via alla nazione bambini sani.

Lo Stato deve servirsi, per attuare ciò, delle più moderne scoperte mediche. Deve affermare che è incapace di procreare chi soffre di una malattia evidente o chi porta tare ereditarie e che quei mali può tramandare ai suoi discendenti e causare in realtà questa incapacità. Ha il dovere anche di disporre che la fecondità della donna sana non sia ridotta dall'indecente economia e dalla finanza di un'organizzazione statale che trasforma quella fortuna che è il bambino in una sfortuna per i genitori. Deve annullare quella indolente, delittuosa insensibilità con cui occupa oggi delle premesse sociali della grande quantità, dei figli, deve diventare il massimo difensore di questa immensa fortuna di un popolo. Deve aver cura più del bambino che dell'adulto.

Perciò lo Stato deve apparire come il conservatore di un futuro millenario di fronte al quale la volontà e l'egoismo dell'individuo non hanno nessun valore e devono sottomettersi. Chi è malato o indegno di corpo e di spirito non è giusto che riproduca i suoi patimenti nel corpo di un bambino. Su questo punto, lo Stato nazionale, deve esercitare una grande opera di educazione che in seguito sembrerà un'opera imponente, più imponente della più grande vittoria dei nostri tempi borghesi. Lo Stato deve, con l'educazione, chiarire agli uomini che l'essere malati e fragili non è scandaloso, ma solo una sfortuna degna di pietà, che è crimine e vergogna perdere l'onore e mostrare egoismo perpetuando il male e i difetti in creature senza colpa. E che perciò è dimostrazione di finezza d'animo, di mentalità evoluta, di generosità degna di stima il fatto che chi non è sano, sacrificandosi a non avere figli propri, si dedichi con amore e con benevolenza ad un piccolo, sfortunato, sconosciuto figlio della sua nazione, sano e che promette di diventare in futuro un vigoroso appartenente ad una forte comunità. Lo Stato deve riconoscere in quest'opera di educazione il completamento spirituale della sua azione pratica.

Deve comportarsi così senza preoccuparsi della comprensione o incomprensione, delle opinioni favorevoli o contrarie. Basterebbe per seicento anni non permettere di procreare ai malati di corpo e di spirito per salvare l'umanità da un'immane sfortuna e portarla ad una condizione di sanità oggi pressoché incredibile. Quando sarà tradotta in realtà, consciamente e ordinatamente, e agevolata la facoltà di generare della parte più sana della nazione, si otterrà una razza, che almeno alle origini, si sarà liberata delle cause del presente abbrutimento fisico e spirituale. Se una nazione o uno Stato operano in questo senso, si occuperanno poi inconsapevolmente dell'incremento del nucleo della nazione migliore riguardo alla razza e dell'accrescimento della sua fertilità: e alla fine tutta la nazione avrà il frutto d'un tesoro razziale generosamente preparato. Per ottenere questo risultato bisogna che lo Stato non lasci al caso la colonizzazione di paesi conquistati da poco, ma la sottometta a leggi specifiche. Commissioni adatte devono rilasciare un certificato di colonizzazione ai singoli e il certificato deve essere logicamente collegato con una purezza di razza da decidere. In questo modo si potrebbero gradatamente creare colonie di secondaria importanza, costituite da persone di razza pura.

Esse costituirebbero un pregiato tesoro nazionale della comunità popolare; la loro presenza darebbe felicità, fede e orgoglio a ciascun componente della nazione, ed in esse si troverebbe anche la premessa di una grande, futura evoluzione della nazione e di tutta l'umanità. Per concludere, nello Stato nazionale, l'idea razzista deve accelerare l'avvento di quella meravigliosa era in cui gli uomini non si preoccupavano più di allevare cani, cavalli e gatti, ma di evolvere l'uomo stesso: era che sarà per alcuni di tacito ed assennato sacrificio, per altri di doni e di rinunce gioiose. Non si può negare che ciò possa avvenire in un mondo in cui centinaia di migliaia di individui restano spontaneamente celibi, senza nessuna altra costrizione o legame che un comandamento della Chiesa. Non sarà possibile un identico sacrificio se al posto di questo comandamento si introduce quello di porre fine al peccato originale ancora agente, della contaminazione della razza, e di dare al divino Fattore uomini quali esso stesso creò? Sicuramente lo spregevole numero di piccoli borghesi odierni, non capirà mai queste cose. Le derideranno, o scuoteranno le spalle curve, o faranno le loro eterne larnentele: "Sarebbe in sé una cosa meravigliosa, ma è irrealizzabile! ". Certamente con voi è inattuabile, il vostro mondo non riuscirà ad attuarla. Per voi c'è un unico pensiero: la vostra esistenza personale, e un unico Dio: il vostro denaro! Ma noi non ricorriamo a voi, ma alla grande schiera di quelli che sono poveri poiché la loro esistenza esprima la più grande felicità della terra, a quelli che onorano non il denaro, ma altri Dei, ai quali dedicano la loro vita.

Prima di tutto ci rivolgiamo al meraviglioso esercito dei nostri giovani tedeschi. Esso cresce in una grande era e combatterà contro i mali fatti dall'ignavia e dall'insensibilità dei suoi padri. I giovani tedeschi saranno in avvenire i creatori di un nuovo Stato nazionale, o saranno gli ultimi ad assistere alla definitiva caduta della società borghese. Poiché, quando una generazione è dilaniata da sbagli che discerne e dichiara propri, e tuttavia, come accade nella presente società borghese, si limita ad affermare che non è possibile rimediare, è indice che una tale società è destinata ad estinguersi. Ma è tipico della nostra società borghese proprio questo, che non può ostinarsi a negare la propria debolezza. Essa deve riconoscere che molte cose sono sporche e mal fatte, ma non riesce a decidersi di lottare contro il male, ad unire con ferma volontà la forza di un popolo di sessanta o settanta milioni di individui e ad allontanare un rischio. Al contrario: se ciò accade in altri paesi, si critica stupidamente e si tende a dimostrare che ciò che è avvenuto è impossibile teoricamente, e ad affermare che è inattendibile il successo., Qualunque spunto, anche sciocco, appoggia la loro grettezza di nani e le loro inclinazioni intellettuali. Se, per esempio, tutto un continente combatte l'alcoolismo onde evitare ad un popolo la rovina di quel vizio, la nostra società borghese europea non sa far altro che meravigliarsi e tentennare il capo, con un sorriso di superiorità trova comica la cosa, e questo desta una viva impressione in una società cosi comica!

Ma se ciò è inutile, in qualche parte del mondo si opera contro le intoccabili e nobili leggi generali, e con esito favorevole, allora come affermai, si dubita almeno dell'esito favorevole e lo si porta ad un livello inferiore, si osa di opporre principi dell'etica borghese a una battaglia tendente ad annientare un'immensa immortalità. No, su questo punto non dobbiamo ingannarci, la borghesia odierna ha ormai perso ogni pregio per qualunque missione dell'umanità, solamente perché non ha qualità, è cattiva: e secondo me, è cattiva non tanto volontariamente quanto per pigrizia e di tutto quello che ne consegue. Perciò, anche quei circoli politici detti "partiti borghesi " orinai non sono altro che associazioni di utilità di alcune categorie sociali o gruppi di professionisti, e la loro più alta mansione è soltanto quella di operare in nome dei propri interessi. È chiaro che una siffatta associazione borghese politica è adatta a tutto meno che alla lotta: specialmente quando il gruppo nemico èformato da masse proletarie e pronte a tutto, non da cauti mercanti.

Se accettiamo come primo compito dello Stato, per giovare al popolo, il mantenimento, la cura e l'evoluzione delle migliori caratteristiche della razza; è evidente che i provvedimenti statali debbono ampliarsi fin dalla nascita del piccolo figlio della nazione, e che lo Stato debba educare il fanciullo per farne un altro elemento di una continua propagazione della razza.

E come, generalmente, la condizione preliminare della capacità di sviluppo spirituale si trova nelle facoltà di razza di un dato tipo umano, così anche nell'uomo si deve curare e rendere migliore la salute del corpo. Perché lo spiri(o sano e forte si trova soltanto in un corpo sano e forte. Non nega ciò il fatto che talvolta i geni furono malati o magari infermi. Sono solo eccezioni che, confermano la regola Ma quando la moltitudine di un popolo è formata da degenerati, è insolito che da una tale situazione si distingua una grande intelligenza. E anche se avvenisse, le sue opere non avrebbero buon esito. Il popolo da non poter seguire il volo di una tale aquila. Lo Stato nazionale deve, dopo aver capito ciò, tendere la sua totale opera d'educazione, in primo luogo non spregevole o non lo capirà o sarà di volontà così fragile ad imprimere nell'animo semplici nozioni, ma a far crescere corpi sani. Soltanto dopo, in un secondo momento segue lo sviluppo delle facoltà intellettuali. E a questo punto deve avere la precedenza lo sviluppo del carattere, della forza di volontà e di decisione e l'educazione deve istruire sulla felicità che può dare la responsabilità: ultimo posto deve avere l'insegnamento scientifico.

Perciò uno Stato nazionale deve cominciare dalla condizione preliminare che un individuo poco colto in campo scientifico, ma sano di corpo, di carattere buono e forte, serenamente deciso e di volontà ferma, ha maggior valore per una comunità nazionale che un fragile, intelligente e ricercato. Una popolazione di uomini colti che in più fossero pigri pacifisti, tralignati nel corpo e senza volontà non solo non otterrà il paradiso ma non si garantirà neanche la vita su questa terra. Non accade di frequente che nelle grosse sciagure sia costretto a cedere quello che sa meno: perisce quello che dalle sue cognizioni estrae fragili risultati e li attua in modo pietoso.

Se ha valore la frase di Moltke: "col tempo solo il capace ha fortuna ", ha certamente valore per la relazione fra corpo e spirito: anche lo spirito sano, col tempo vivrà, di norma, in un corpo sano. Perciò, l'educazione fisica non è nello Stato nazionale mansione dell'uomo, o compito che riguarda in primo luogo ai genitori e in secondo o terzo momento la comunità: ènecessità per l'esistenza del popolo, rappresentato e curato dallo Stato.

Per concludere, anche in questo caso deve esserci una ben stabilita armonia. Un corpo marcio non sarà affatto reso più bello da un'intelligenza meravigliosa, anzi, il più elevato sviluppo fisico non sarebbe giustificabile se contemporaneamente quelli che lo portano fossero difettosi, storpi senza volontà, esitanti e vili. Quello che rende eterno l'ideale di bellezza greco è la splendida armonia di una radiosa bellezza fisica con uno spirito ammirevole ed una anima pregiatissima.

Già nel presente, per quanto riguarda l'educazione esclusivamente scientifica, lo Stato decide per l'uomo e protegge gli interessi della comunità, dal momento che, lo desiderino o no i genitori, costringe il bambino a frequentare la scuola. Egualmente e in misura molto più elevata lo Stato nazionale dovrà un giorno far rispettare la sua autorità di fronte all'ignoranza o alla mancanza di comprensione da parte degli individui nelle questioni che riguardano la salute della nazione. Esso dovrà svolgere la sua opera educativa in modo che i giovani vengano curati regolarmente fin da piccoli, e vengano rafforzati e induriti per la vita futura. Specialmente dovrà fare attenzione affinché non venga educata una generazione di sgobboni.

Quest'opera di preparazione alla vita e di educazione deve cominciare dalla giovane madre. Come fu possibile, dopo un'opera diligente di anni, far sparire l'infezione dai parti e limitare la febbre puerperale, così deve essere possibile fare con un'adeguata educazione delle sorelle e della madre stessa già nella prima infanzia, un lavoro che sarà un buonissimo fondamento per un ulteriore sviluppo. In uno Stato nazionale la scuola deve lasciar libero per l'educazione fisica molto più tempo. Non è indispensabile colmare i cervelli giovani di una quantità di nozioni di cui, come sappiamo per esperienza ricorderanno solo la minima parte e non il necessario ma solo le cose di poco valore perché il fanciullo non può fare una razionale scelta degli argomenti che gli vengono imposti.

Nei tempi odierni, anche nel programma delle scuole inedie sono destinate alla ginnastica soltanto due ore alla settimana e la frequenza alle lezioni di educazione fisica non e neanche obbligatoria: ma questo è un grossolano equivoco, dovuto ad una educazione esclusivamente intellettuale. Non dovrebbe trascorrere neanche un giorno seri/a che il fanciullo ricevesse almeno un'ora al mattino e una alla sera di educazione fisica, in qualunque tipo di sport e d I ginnastica.

E bisogna principalmente ricordare uno sport che proprio a molti "nazionali " appare come disprezzabile e incivile. È inconcepibile quante idee errate siano sparse sulla boxe nei circoli "colti ". È ritenuto naturale e lodevole che il giovane impari a tirar di scherma e ne sia orgoglioso, ma la boxe è considerata incivile. Perché? Nessun altro sport i I sveglia in modo così forte lo spirito d'assalto, richiede così pronta decisione, rende forte ed elastico il corpo. Se due giovani risolvono coi pugni una contesa non è a (Tatto un atto più grossolano che se la risolvessero con una scherma raffinata.

E uno che è stato assalito, se combatte contro l'aggressore usando i pugni, non si comporta meno coraggiosamente che se fuggisse o chiamasse una guardia in sua difesa. Ma il ragazzo giovane e sano impara anche a subire i colpi. Ciò apparirà incivile ai nostri contemporanei combattenti dello spirito. Ma lo Stato nazionale non ha la mis,,Ione di crescere una società di esteti pacifisti e di degenei ati: esso non riconosce l'ideale umano in onesti piccoli borghesi, o in vecchie pure zitelle ma nella coraggiosa personificazione della forza, e in donne adatte a generare uomini. Generalmente lo sport deve soltanto fortificare e rendere elastico e coraggioso l'individuo ma anche rendere solido il corpo e insegnare a subire le sfortune.

Se la nostra classe intellettuale non avesse avuto una educazione così raffinata e avesse imparato la boxe, si sai ebbe impedito ai lenoni, ai disertori e a una tale gentaglia (il fare una rivoluzione in Germania. Poiché la rivoluzione fu vittoriosa non per gli atti arditi, forti, coraggiosi di quelI I che la facevano ma per la vile commiserevole indecisione di quelli che dirigevano lo Stato e ne avevano la responsabilità. Ma i nostri capi spirituali avevano ricevuto soltanto un'educazione spirituale, perciò restarono attoniti quando i nemici presero non le armi spirituali ma i bastoni.

E ciò avvenne proprio perché la nostra scuola superiore non istruiva uomini ma funzionari, ingegneri, tecnici, chimici, letterati, avvocati, e perché questa classe intellettuale non si estinguesse, professori. I nostri capi spirituali ebbero sempre un comportamento meraviglioso mentre i dirigenti della nostra volontà furono inferiori ad ogni giudizio. Certo, l'educazione non potrà trasformare un uomo dal carattere debole in un ardito, ma è anche certo che, un individuo, non vigliacco, è frenato nello sviluppo delle sue capacità se, per errore della sua educazione, è a priori inferiore ad altri in forza fisica ed elasticità. Nell'esercito si può meglio giudicare quanto la sicurezza nella forza del corpo sviluppi il coraggio e risvegli l'impulso d'assalto. Pure nell'esercito non si trovano tutti eroi: ma ce n'è una buona quantità. Se non che, la migliore educazione del soldato tedesco, in periodo di pace diede a tutto l'immane organismo quell'affascinante opinione della propria superiorità che neanche i nostri nemici credevano possibile.

Nei mesi estivi e autunnali del 1914 l'esercito tedesco che avanzava diede eterne prove di coraggio e di forza d'attacco, ciò fu la conseguenza di quella metodica educazione che nei lunghi periodi di pace rese adatti a inconcepibili prestazioni corpi spesso fragili e impresse negli animi quella fede in sé che non si perse neanche nelle atrocità delle grandi battaglie. Proprio il nostro popolo tedesco che dopo essersi annientato, viene preso a calci da tutto il mondo, ha bisogno dell'affascinante forza che può trovare nella fiducia in se stesso. Ma la fiducia in sé deve venire inculcata fin dall'infanzia del Piccolo cittadino. La sua istruzione e la sua educazione devono mirare a dargli la sicurezza della sua totale superiorità sugli altri.

Il fanciullo deve ritrovare, nella sua forza ed elasticità fisica, la fiducia dell'invincibilità di tutta la sua nazione. Perché quella che una volta rese possibile la vittoria dell'esercito tedesco fu la grandissima fiducia che ogni soldato nutriva in sé e tutti nutrivano nei loro corpi. E ciò che può elevare nuovamente il popolo tedesco è la sicurezza di poter riconquistare la libertà. Ma questa sicurezza può solo formare la conclusione ultima di uno stesso modo di pensare di milioni di uomini. Anche su questo punto non dobbiamo illuderci. Orrenda, immane fu la distruzione del nostro popolo, ed egualmente immane sarà lo sforzo da fare per metter fine a tale condizione di estrema infelicità. Chi pensa che la presente educazione alla pace e all'ordine possa mettere il popolo in condizioni di rompere in futuro l'od ierno ordinamento del mondo che significa la nostra estinzione e di buttare in faccia ai nostri nemici gli anelli della catena della nostra schiavitù si sbaglia. Soltanto grazie ad un'immane brama nazionale di forza, grazie ad un sentito desiderio di libertà e ad una scatenata passione, sarà riacquistato quello che andò perduto.

Anche l'abbigliamento dei giovani deve conformarsi a questo scopo. È veramente compassionevole il vedere come anche i nostri giovani siano soggetti ad una moda folle che rovescia il vecchio proverbio "l'abito non fa il monaco ". Appunto nei giovani l'abito deve essere soggetto allo scopo della sua educazione. Il giovane che d'estate porta lunghi calzoni, coperto dagli abiti fino al collo, si priva già con il suo modo di vestire della tendenza alla educazione fisica. Perché ènecessario usare anche l'ambizione e, ammettiamolo anche, della vanità.

Non della vanità di vestirsi con abiti belli che non tutti possono permettersi ma della vanità di avere un bel fisico, ben fatto, che ognuno può cercare di formarsi. Ciò è utile anche più avanti. La fanciulla deve imparare a riconoscere il suo accompagnatore. Se ai nostri tempi la bellezza fisica non fosse tenuta in seconda linea dalla nostra moda sciatta, non avverrebbe che migliaia di fanciulle si innamorassero di repellenti bastardi ebrei dalle gambe storte. È utile alla nazione anche questo, che i corpi migliori si uniscano e collaborino a dare nuova bellezza alla nazione. E oggi ci sarebbe bisogno di ciò più che in altri tempi, perché siamo privi di educazione militare e quindi manca la sola istituzione che in un periodo di pace sia capace di recuperare ciò che va perduto grazie all'educazione odierna. Un esito positivo si deve cercare non solo nell'educazione del singolo ma anche sull'autorità che ha nei rapporti tra i due sessi. La fanciulla preferiva il soldato al civile. Lo Stato nazionale non deve soltanto imporre l'educazione fisica nelle scuole ufficiali, e vigilarla, ma anche nel doposcuola deve fare in modo che il giovane, finché sta sviluppando il suo corpo, renda proficuo questo sviluppo.

È illogico pensare che quando termina la scuola finisca il diritto dello Stato di vigilare i suoi giovani cittadini e ricominci solo col servizio militare. Tale diritto è un dovere e come tale esiste sempre. Lo Stato attuale non presta attenzione all'individuo sano, ha delittuosamente tralasciato questo dovere. Esso permette che la gioventù si depravi nelle strade o nei bordelli, invece di organizzarla e formarne il corpo affinché in futuro nascano da essa uomini e donne sane. Nel presente può non avere importanza il modo con cui lo Stato svolge questa educazione: importante è che la svolga e che cerchi le vie adatte.

Così questa educazione, potrà essere, in linea di massima, come un servizio militare prestato più tardi. Lo Stato nazionale riconoscerà sua mansione non soltanto l'educazione intellettuale, ma anche quella fisica del doposcuola e la impartirà per mezzo di istituzioni statali.

L'esercito non darà più al giovane, come fino adesso, le cognizioni di base di un semplice regolamento di esercizi, e non avrà reclute come nel presente: dovrà invece fare di un giovane dal corpo già formato ed educato perfettamente, un soldato. Nello Stato nazionale l'esercito non insegnerà più a marciare o a stare sull'attenti, ma sarà la scuola conclusiva dell'educazione all'amore della Patria. La giovane recluta imparerà nell'esercito a usare le armi, ma nello stesso tempo dovrà essere preparata per la sua vita successiva.

E al vertice dell'educazione militare ci deve essere quella che all'esercito precedente fu riconosciuta come grandissima qualità: alla scuola dell'esercito il fanciullo deve diventare un uomo, non deve solo imparare ad obbedire, ma anche conquistarsi le condizioni preliminari per comandare in avvenire.

Deve imparare a stare zitto non solo quando è sgridato a ragione, ma anche quando è sgridato a torto. Quando avrà terminato il servizio militare, gli verranno dati due documenti: il suo diploma di cittadino dello Stato che gli renderà possibile un pubblico ufficio e un certificato di salute fisica, che gli servirà per provare la sua sanità fisica e la sua disposizione al matrimonio. Lo Stato nazionale può occuparsi anche dell'educazione delle ragazze partendo dagli stessi principi che usa per educare i ragazzi. Anche in questo caso si deve dare una preminenza alla educazione fisica, e soltanto in un secondo tempo ci si deve preoccupare (il progredire le facoltà psichiche ed intellettuali. ***

Soltanto in un secondo momento lo Stato nazionale deve agevolare la formazione del carattere. È chiaro che le qualità peculiari dell'individuo sono innate in esso: chi è egoista, resta sempre tale, chi è idealista, lo sarà sempre. Ma fra i temperamenti delineati con massima chiarezza vi sono milioni di temperamenti, incerti, disorientati, vaghi. Il criminale nato rimarrà sempre un criminale: ma moltissimi uomini che hanno solo una certa tendenza al crimine possono trasformarsi, con un'adeguata educazione, in utili componenti della comunità nazionale. Al contrario, una educazione inadatta, può fare pessimi elementi di caratteri vaghi. Durante la guerra fu spesso lamentato che il nostro popolo non sapesse tacere. E per questo fu difficile nascondere al nemico segreti anche di grande interesse. Ma chiediamoci una cosa: che cosa ha fatto prima della guerra, l'educazione tedesca, per insegnare al popolo il silenzio? E sfortunatamente, proprio nella scuola la piccola spia non fu spesso preferita ai suoi silenziosi compagni? Non si ritenne e non si ritiene la denuncia come una encomiabile sincerità e il silenzio come biasimevole testardaggine? Si è forse tentato di rappresentate il silenzio come una meravigliosa qualità virile? No, perché per la nostra moderna educazione scolastica queste sono stupidaggini. Ma queste stupidaggini costano allo Stato milioni di marchi di spese giudiziarie, perché il novanta per cento dei processi di calunnia avvengono soltanto perché non si sa tacere. Parole dette senza pensarci vengono ripetute con altrettanta mancanza di serietà, la nostra economia è ininterrottamente deteriorata dallo sviluppo di importanti complessi di fabbricazione, e anche silenziosi piani di difesa del paese sono resi ingannevoli perché il popolo non sa tacere e parla di tutto. Ma in guerra questa facilità a parlare può portare anche alla perdita di una battaglia e può cooperare all'insuccesso della lotta. Pure in questo caso si deve essere convinti che non si può fare da vecchi quello che non si è imparato da giovani.

Il maestro non deve cercare di conoscere certi sciocchi scherzi giovanili incoraggiando le denuncie. La gioventù forma come uno Stato a sé, si trova in una condizione di solidarietà contro gli adulti, e questo è umano. L'amicizia del bambino di dieci anni col suo coetaneo è più spontanea e profonda che l'amicizia con un adulto. Il bambino che denuncia i suoi compagni, compie un tradimento, che mostra un temperamento, che in parole povere e riportate su scala maggiore, corrisponde con precisione "quella del traditore del suo genere ".Un ragazzo come questo non può essere ritenuto: "buono, bravo " ma deve essere considerato di carattere limitato. Per un maestro può essere vantaggioso usare questi difetti per aumentare la sua autorità, ma così si inculca nei giovani il principio di una mentalità che in futuro produrrà effetti rovinosi. Sovente una piccola spia diventò un grande mascalzone. Questo è un solo esempio fra tanti.

Nei nostri tempi, nella scuola, è inesistente l'evoluzione conscia di belle e nobili qualità di carattere. A tale evoluzione si dovrà dare in futuro un grande valore. Fedeltà, dedizione, silenzio sono i valori di cui una grande nazione ha bisogno: inculcarli e migliorarli nella scuola è più necessario di molte altre cose che nel presente riempiono i nostri programmi di insegnamento.

Ci si deve anche occupare di insegnare a rinunciare a noiosi lamenti, ai pianti di dolore, ecc. Se un'educazione tralascia d'insegnare al fanciullo a subire con dignità i dolori e le ingiustizie, non deve meravigliarsi in seguito, in un momento critico, per esempio quando il bambino diventato grande andrà al fronte, il servizio postale non sarà utile a niente altro che a missive lamentose e piagnucolose. Se nelle nostre scuole si inculcasse nei giovani meno nozioni e maggiore autocontrollo, si sarebbero avuti buoni risultati nel 191518. Così lo Stato nazionale nella sua opera di educazione deve dare massima importanza, insieme all'educazione del corpo a quella del carattere. Molte malattie morali che ha la nostra nazione oggi possono essere annientate o molto attenuate da una educazione di questo tipo. ***

Di massimo valore è l'educazione delle capacità di volere e della determinazione e la cura della gioia della responsabilità. Un tempo era in vigore nell'esercito il detto che un ordine è meglio di nessun ordine, per la gioventù deve avere grande importanza questa massima: è sempre meglio una risposta di nessuna risposta. La reticenza nel rispondere, per il timore di non dire la verità, deve essere più rnortificante d'una risposta sbagliata. Partendo da queste considerazioni di base si devono educare i giovani al coraggio dell'azione. Si è spesso detto con rincrescimento che nel novembre e dicembre 1918 tutte le cariche non abbiano fatto il loro dovere, che dal re fino all'ultimo componente di una divisione nessuno abbia trovato il coraggio di decidere qualcosa con indipendenza. Questo spiacevole fatto è un ammonimento rigoroso della nostra educazione sbagliata, perché in quella immane sciagura si è solo manifestato in scala maggiore quello che in piccolo era presente in ogni luogo.

È il fatto che siamo privi di volontà e di armi che frena qualunque determinazione collegata con un pericolo. Senza intuirlo, un generale tedesco ha saputo trovare la espressione esatta di questa miserevole mancanza di volontà: "io agisco solo quando posso calcolare solo sul cinquantuno per cento le possibilità di un buon esito ". In questo "cinquantuno per cento ", è basato il dramma del disastro tedesco! Chi richiede al destino l'assicurazione di un buon risultato, rinuncia da sé al valore di un'azione coraggiosa: che si riduce a questo, che, sicuri che una situazione presenti un rischio fatale, si opera nel modo che può dare successo. Un malato di cancro che diversamente èconvinto di morire, non ha bisogno del 51 per cento di probabilità di buon esito per ardire un'operazione. Se questa garantisce la guarigione con solo un mezzo per cento di probabilità, un uomo coraggioso la sperimenterà: diversamente non deve lamentarsi perché muore. Ma in generale, la rovina dell'attuale vile mancanza di volontà e di determinazione è frutto specialmente dell'educazione sbagliata che ci fu data da giovani, i cui risultati iniziali si propagano nell'età matura e nella mancanza di audacia civile negli uomini di Stato si conclude e si compie. Ha la medesima provenienza quel sfuggire alle responsabilità che oggi si manifesta. Pure in questo caso lo sbaglio è da ricercarsi nell'educazione impartita ai giovani, poi invade tutta la vita pubblica e trova il suo eterno completamento negli ordinamenti dei giovani parlamentari. Già nella scuola si attribuisce più valore alla ammissione, "coraggiosa e piena di rammarico " della propria colpa e ai "mortificati pentimenti " del piccolo peccatore, che ad una sincera confessione. Questa, a molti attuali educatori sembra perfino una manifestazione chiara di una incorreggibile bassezza d'animo, e perciò (fatto inconcepibile!) a molti giovani viene predetto il patibolo per qualità che sarebbero d'ineguagliabile pregio se costituissero il bene comune di tutta una nazione.

Lo Stato nazionale, come dovrà un giorno curare l'educazione della volontà e la forza di determinazione, così dovrà inculcare ai piccini la gioia della responsabilità e il coraggio della sincera e leale confessione solo se riconoscerà come valida questa necessità, dopo, una lunghissima opera educativa, un corpo nazionale non più sottoposto a quelle debolezze che oggi concorrono, fatalmente, alla nostra fine. ***

L'educazione scolastica scientifica che nel presente forma tutta l'opera educativa fatta dallo Stato, può essere accettata soltanto con poche modifiche, dallo Stato nazionale. Le modifiche riguardano tre argomenti. Prima di tut, to, la mente dei giovani, in generale, non deve essere oberata di nozioni che nella proporzione di 93 su 100 sono inutili per loro e che quindi. essi non ricordano. Particolarmente il programma delle scuole popolari e medie presenta un che di eterogeneo: in molti argomenti d'insegnamento la materia è tanto ampliata che lo scolaro ne ritiene soltanto una piccola parte priva di organicità, e che soltanto una frazione di tutta quella quantità può essere utile. D'altra parte questa frazione non è sufficiente a chi esercita una data professione e si guadagna il suo pane.

Si prenda per esempio un comune funzionario statale che ha fatto il ginnasio o la scuola tecnica superiore, lo si prende quando ha 35 o 40 anni e si esamini il sapere che un tempo, faticosamente, apprese a scuola. Quanto poco rimane della materia allora imposta! Certamente ci risponderanno: "Se un tempo si apprendevano molte materie, ciò non aveva solo il fine di possedere in futuro molte nozioni, ma anche quello di esercitare la memoria, e specialmente la capacità di pensare di un cervello ". Questo in parte è giusi o. Ma c'è un rischio nel fatto che la mente del giovane sia oberata da cognizioni che raramente riesce a dominare e di cui non sa capire, né riconoscere, l'esatto valore, i singoli elementi: in genere succede che sia messo in seconda linea e tralasciato non il secondario, ma l'essenziale. In questo modo va già perduto il fine ultimo di questa grandiosa istruzione: poiché esso non può ridursi a rendere la mente capace di apprendere, ammassandovi un ingente numero di materie d'insegnamento, ma deve consistere nel (fare alla vita futura quel tesoro di conoscenza che serve all'uomo e che attraverso l'uomo giova alla comunità. Ma questa rimane una speranza vana se l'uomo, per effetto della soverchia materia inculcatagli da giovane, in seguito non ricorda più questa materia e ne ha dimenticato l'essenziale.

Milioni di uomini nel corso degli anni devono apprendere due o tre lingue straniere di cui in seguito si serviranno solo in piccolissima parte, i più anzi le scorderà completamente, perché di centomila scolari che per esempio imparano il francese, duemila al più, potranno utilizzare proficuamente questa conoscenza, mentre i rimanenti novantottomila non avranno mai la circostanza per servirsene. Così hanno impiegato da giovani milioni di ore per una cosa che in seguito per essi non avrà né importanza né valore. Anche la contestazione che questa materia fa parte della cultura generale non è esatta, perché sarebbe giusta solo se gli individui utilizzassero per tutta la vita quello che hanno appreso. In pratica, per favorire duemila persone a cui è utile la conoscenza di quella lingua, novantottomila devono essere obbligate a sprecare tempo prezioso. E in questo caso si parla di una lingua che non si può affermare che eserciti al ragionamento e all'acutezza il cervello, come accade per esempio con il latino. Perciò sarebbe giustissimo insegnare il francese agli studenti solo nelle sue linee generali, o meglio nel suo svolgimento interno, introdurli nelle basi della grammatica francese e spiegare con esempi la pronuncia, la forma di una frase, ecc. Ciò sarebbe sufficiente per l'uso generale e poiché più semplice da esaminare e da mettere in evidenza, avrebbe più utilità, che imprimere nelle menti, come si fa oggi, tutta la lingua, che non sarà conosciuta alla perfezione e in seguito dimenticata. E cosi si eviterebbe pure il rischio che della troppa quantità delle materie la mente non ritenesse altro che frammenti inorganici, perché il giovane avrebbe appreso solo ciò che è più importante, e sarebbe già anticipata la scissione fra ciò che ha pregio e ciò che non ne ha. Le basi generali così insegnate dovrebbero essere sufficienti ai più, anche per il futuro, mentre a quelli che in seguito hanno veramente bisogno di questa lingua permetterebbero di perfezionarsi in essa ed occuparsi liberamente ad approfondirla. E in questo modo si otterrebbe nel programma d'insegnamento il tempo per l'educazione fisica, e alle necessità già da noi trattate in altri campi dell'educazione. Specialmente nell'insegnamento della storia è indispensabile modificare i metodi usati finora. Nessun popolo dovrebbe più del popolo tedesco apprendere la storia: ma esso ne fa un cattivo uso. Se la politica è storia che si trasforma, la nostra educazione storica èdiretta dalle caratteristiche dell'opera politica. Anche in questo caso è inutile lamentarsi dei compassionevoli frutti prodotti dalla nostra politica, se non si è decisi a disporre per una migliore educazione politica. In 99 casi su 100, il nostro attuale insegnamento della storia ha risultati pietosi. Poche date, anni di nascita e nomi generalmente rimangono impressi nella mente, mentre manca una linea di indirizzo grande e comprensibile. Tutto quello che è realmente importante, generalmente viene tralasciato; rimane alle inclinazioni di più o meno talento dei singoli il trame dalla grande quantità di date e dalla successione degli eventi le ragioni profonde di questi. Si può gridare quanto si vuole contro questa dolorosa affermazione: ma si leggano attentamente i discorsi fatti, in una sola sessione, dai nostri signori parlamentari sulla politica, ad esempio, sui problemi di politica estera; si pensi che questi formano (così si afferma) la parte migliore della nazione tedesca e che in ogni caso molti di essi frequentarono le nostre scuole medie e parecchi le nostre università, e ci si accorgerà della mediocrità della formazione intellettuale di questi uomini. Se essi non avessero studiato la storia, ma avessero una tendenza naturale sana, le cose andrebbero meglio e la nazione ne trarrebbe grande giovamento. Proprio nell'insegnamento della storia occorre restringere gli argo menti. Il pregio fondamentale sta nel riconoscere le grandi linee dell 'evoluzione storica. Quanto più l'insegnamento rimane entro questi limiti tanto più si può sperare che l'individuo, dopo, tragga profitto dalle sue cognizioni, e tutti q uesti vantaggi siano utili alla nazione.

Questo il fine, e lo studio della storia è soltanto un mezio per attuarlo. Perché non si impara la storia solo per conoscere gli avvenimenti ma per trarne insegnamento per il futuro e per Li conservazione del proprio popolo. Ma oggi pure in questo caso il mezzo è diventato il fii e, e il fine è andato perduto. Non si affermi che uno studio approfondito dalla storia richieda appunto che si ricordino queste date necessarie per determinare la grande linea; perché il determinare è mansione dei professori della storia. Ma l'individuo comune, normale, non è un professore di storia. Per lui la storia c'è, solo per dargli quelle conoscenze storiche indispensabili ad assumere una posizione propria nei fatti politici del suo paese.

Chi desidera diventare professore di storia, può in seguito applicarsi totalmente a questo studio; allora potrà curare anche i particolari più insignificanti. A ciò però non può essere sufficiente il nostro attuale insegnamento della storia, che è troppo esteso per l'uomo comune e troppo ridotto per l'erudito di professione. Del resto, lo Stato nazionale deve disporre che sia scritta una storia del mondo in cui la questione razziale abbia una posizione predominante.

Sintetizzando: lo Stato nazionale dovrà rendere meno cospicuo ma comprendente tutto l'essenziale, tutto lo studio della scienza. E dovrà, oltre a questo, dare la possibilità di un perfezionamento particolare. Basta che l'uomo riceva una cultura generale vaga, e sia istruito profondamente e in modo particolareggiato e specializzato solo in quell'argomento che potrà utilizzare per il lavoro che svolgerà. Quindi una cultura generale dovrebbe essere imposta, la scelta della specializzazione dovrebbe essere lasciata alla libertà dell'individuo.

Si avrebbe cosi una riduzione del programma scolastico e delle ore di studio per giovare al miglioramento del fisico, del temperamento, della forza di volontà e di determinazione. Quanto vana sia l'odierna educazione scolastica, soprattutto nelle scuole medie, quanto poco utile sia per esercitare una professione, è reso chiaro dal fatto che oggi possono coprire lo stesso ufficio individui che hanno frequentato tre scuole diverse fra loro. Importante è solo la cultura generica, non l'istruzione particolareggiata. Ma nel caso in cui, come si è già spiegato, è indispensabile una conoscenza specifica, questa non può essere acquisita nei, programmi scolastici delle scuole medie odierne. Lo Stato nazionale deve far sparire una volta o l'altra tali inefficaci provvedimenti.

La seconda modifica nel programma di educazione scientifica deve essere questo per lo Stato nazionale: è tipico della nostra epoca materialistica ciò che l'educazione scientifica si rivolge sempre più alle materie, positive, ossia alla matematica, alla fisica, alla chimica. Esse certamente sono indispensabili in un'epoca in cui la tecnica e la chimica sono predominanti e sono rappresentate nella vita di tutti i giorni dalle loro caratteristiche evidenti; ma è rischioso basare soltanto su questo l'educazione generale di un popolo. Particolarmente nell'insegnare la storia non si deve tralasciare lo studio degli antichi.

La storia romana nei suoi caratteri generali è e resta Ia più grande maestra non solo per la nostra epoca, ma per tutte le epoche. Anche l'ideale della civiltà greca non deve andar perduto nella sua rara bellezza. Le differenze dei singoli popoli non devono farci scordare la grande comunità di razze. La lotta che presentemente infuria ha scopi molto grandi: una civiltà lotta per la propria sopravvivenza: una civiltà che comprende in sé millenni e che contiene insieme l'Ellenismo e il Germanesimo. Bisogna distinguere con precisione fra la cultura generale e le materie specifiche. Queste ultime rischiano sempre più di essere soggette a Mammone, quindi la cultura generale deve essere custodita come compenso, almeno nel suo aspetto più ideale. Pure in questo caso si deve comprendere che industria e tecnica, commercio e artigianato possono prosperare solo se una comunità nazionale idealistica dà le premesse indispensabili. Ma queste non sono nel materialismo capacistico, ma nel disinteresse e nella felicità del sacrificio. ***

L'attuale istruzione dei giovani ha come meta principale quella di imprimere nella mente del giovane le noi i i che gli serviranno per fare la sua strada nella vita. Ciò è manifestato in queste parole: "il giovane deve diventare in futuro un componente utile della comunità umana ". Ma con queste parole si intende l'idoneità a procurar.i rettamente il pane quotidiano. L'educazione non approfondita che è data in più dallo Stato borghese ha fondamenti fragilissimi. Siccome lo Stato in sé rappresenta unicamente una forma, e impresa ardua istruire su questa delN, persone, concedere loro dei compiti, una forma può distruggersi troppo facilmente. Ma, come notammo, l'idea di Stato vero ha oggi un contenuto preciso. Perciò non resta altro che la consueta istruzione patriottica. Questa, nella Germania antica attribuiva grandissima importanza alla divinizzazione (sovente poco assennata per lo più sciapita) di piccoli o piccolissimi protestanti, la cui quantità impediva d i giudicare la reale grandezza della nostra nazione. Ne dei i vava, nel popolo, una inadeguata conoscenza della storia tedesca, anche in questo caso, mancava la grande linea. È chiaro che in quel modo non si poteva giungere a formare una reale esaltazione nazionale.

La nostra concezione non aveva la capacità di trarre dall'evoluzione storica della nostra nazione, alcuni nomi a vantaggio del popolo tedesco e di legare cosà, grazie ad una stessa cultura e ad uno stesso entusiasmo, intorno alla na/,ione un nastro che tutto la unisse. Non si è saputo mostrai e come veri eroi alla vista della generazione attuale gli individui veramente importanti della nostra nazione, riemetlerli al centro dell'attenzione generale formando così una mentalità comune e unitaria.

Non si seppe scegliere nelle diverse materie d'insegnamento ciò che ha più valore per la nazione e innalzarlo al disopra del grado di una spiegazione impersonale, per accendere l'orgoglio nazionale alla luce di così valorosi esempi. Questo sarebbe sembrato allora un brutto nazionalismo estremista, e sotto questo aspetto sarebbe piaciuto poco. Il gretto patriottismo dinastico sembrava più bello e tollerabile che l'incauta passione di un profondo orgoglio nazionale. Quello era sempre disposto a servire, questa in avvenire poteva dominare. Il patriottismo monarchico finiva in società di veterani, la passione nazionale avrebbe percorso strade difficili da indovinare. Essa è come un pregiato cavallo, che si fa montare da tutti. Non bisogna meravigliarsi se si scelse di restare lontani da un tale rischio.

Nessuno pensava che un giorno ci sarebbe stata una guerra che, nelle pallottole infuocate e nelle ondate di gas, provocasse la profonda capacità di resistere alla mentalità patriottica. Ma usando la guerra venne la mancanza di un'elevato sentimento nazionale che li punii in maniera orrenda. Gli uomini ebbero soltanto poco desiderio di perire per i re e imperatori, mentre la "nazione " era sconosciuta a quasi tutti. Da quando in Germania è scoppiata la rivoluzione il fine dell'educazione storica è solo quello di imprimere nelle menti delle nozioni. A questo Stato non serve l'esaltazione nazionale ma non attuerà mai quello che in pratica vorrebbe. Poiché, come non fu mai un patriottismo dinastico che seppe opporre forza alla forza in un tempo in cui è Sovrana l'idea nazionale, così, anzi ancora di fini, non vi può essere un entusiasmo repubblicano. È certo che il popolo tedesco, sotto il detto "per la repubblica " non resisterebbe quattro anni e mezzo sul campo di battaglia e soprattutto non vi resisterebbero i fondatori della repubblica. In pratica questa repubblica può continuare tranquilla, solo grazie alla sua disposizione, manifesta a tutti, a pagare qualunque tributo o risarcimento al nemico ed a firmare qualsiasi cessione territoriale.

Essa è accettata dal resto del mondo; come ogni debole è più benvoluto che una persona porta quando è utile. Nel gradimento dei nemici per questo tipo di governo si trova il più distruttivo giudizio del tipo stesso. Si amava la repubblica tedesca e le si permetteva di esistere perché non si potrebbe trovare miglior alleato nel lavoro di assoggettamento della nostra nazione. Solo a questo la repubblica deve la sua sopravvivenza. Perciò essa può fare a meno di ogni istruzione veramente nazionale il ritenere sufficiente che gli eroi della Reichsbanner urlino "evviva! "; eroi che, d'altra parte, più che combattere all'ultimo sangue per la bandiera del Reich, fuggirebbero come pecore. Lo Stato nazionale dovrà combattere per la propria sopravvivenza. Non avrà né proteggerà la propria sopravvivenza sottoscrivendo piani Dawes. Ma per esistere e per proteggersi saranno necessarie appunto quelle cose che adesso potrebbero sembrare superflue. Quanto più saranno insuperabili e pregiati il contenuto e la forma, tanto più grandi saranno la gelosia e la lotta dei nemici. La miglior non consisterà nelle armi ma nei suoi cittadini; lo proteggeranno non le mura delle fortezze ma i viventi ba,,i ioni di uomini e donne spinti da patriottismo e da fanatia esaltazione nazionale.

Il terzo punto da accentuare nell'educazione scientifica è perciò questo! Anche nella cultura lo Stato nazionale deve riconoscere un. mezzo per incrementare l'orgoglio nazionale. Non solo la storia mondiale ma anche la storia della civiltà deve essere insegnata sotto questo aspetto. Un inventore deve sembrare di valore non soltanto come inventore ma, ancora di più, come componente della nazione. L'entusiasmo per ogni grande atto deve rivolgersi in orgoglio del fatto che l'autore appartiene al nostro popolo. Ma dai tanti grandi nomi della storia tedesca si debbono scegliere i massimi per inculcarli tanto nell'animo dei giovani, che diventino i sostegni di un fermissimo sentimento nazionale.

L'argomento d'insegnamento deve essere svolto sistematicamente prendendo come fondamenti questi principi, l'educazione deve essere formata in modo che il giovane, finita la scuola non sia un mediocre pacifista, un democratico o qualcosa di simile ma un vero tedesco. Finché questo sentimento nazionale sia sincero subito e non sia solo formale, deve essere inculcata nelle menti dei giovani ancora in formazione, una dura norma di base: chi ama la sua nazione può soltanto dimostrare il suo amore con rinuncia. Un sentimento nazionale che tenda solo al profitto non sussiste. E non esiste un nazionalismo che comprenda soltanto delle classi. L'urlare: evviva! non prova niente e non concede l'appellativo di nazionale, se dietro quel grido non c'è la solerte cura della conservazione di una fiorente nazione.

C'è ragione di essere orgogliosi del proprio popolo soltanto nel momento in cui non ci si deve vergognare di nessuna classe sociale. Ma una nazione di cui metà è misera, mal ridotta, o completamente estenuata, dà un quadro talmente cattivo che nessuno può esserne orgoglioso. Solo se una nazione e completamente sana, nel corpo e nell'anima, ciascuno puo essere contento di fame parte, e questa gioia può elevarsi à quel sentimento che noi chiamiamo orgoglio nazionale. E questo alto sentimento sarà sentito solo da chi conosce il valore della propria nazione. Già nell'anima dei giovani bisogna imprimere la cognizione del profondo legarne del nazionalismo col sentimento della giustizia sociale. Così si formerà un giorno un popolo di cittadini affiatati e fortificati da un amore e una fierezza comune, incrollabile e inamovibile in eterno. Il timore che la nostra epoca ha del nazionalismo fanatico è indice della sua debolezza. Poiché gli manca, anzi non apprezza ogni superlativa forza, esso non puo essere scelto dalla sorte a grandi opere. Poiché le maggiori rivoluzioni scoppiate sulla Terra non sarebbero state concepibili se avessero avuto per impulsi non passioni sfrenate, isteriche, ma i valori borghesi della calma e della disciplina. Ma il mondo va certamente incontro ad un grande cambiamento. E solo ci si può domandare se avra per effetto la salvezza degli arii, o la diffusione del giudaismo, dell'ebreo errante.

Lo Stato nazionale, dovrà preoccuparsi di formare, per mezzo di un'adatta educazione della gioventù, una generazione pronta alle eccelse e massime decisioni che allora saranno prese nel nostro mondo. Vincerà quel popolo che per primo percorrerà questa via.

La totale opera d'istruzione e d'educazione dello Stato nazionale deve trovare il suo culmine nell'inculcare nel cuore e nella mente della gioventù a lui consegnata, il significato e il sentimento di razza, adeguata all'istinto e al raziocinio. Nessun fanciullo, nessuna fanciulla, deve abbandonare la scuola senza conoscere perfettamente l'essenza e la necessità della incontaminazione del Sangue.

Con questo sono definite le condizioni preliminari di un fondamento razzista della nostra nazione, e ulteriormente, è data la sicurezza della premessa di un successivo sviluppo scientifico culturale. Poiché, in fondo, ogni educazione del corpo e dello spirito non avrebbe pregio se non giovasse a un'individuo deciso e pronto a conservare se stesso e le sue tipiche qualità. Diversamente sopraggiungerebbe quello che noi tedeschi dobbiamo già lamentare, senza forse aver capito completamente l'estensione di questa dolorosa sfortuna: avverrebbe che noi rimarremmo in futuro solo concime da cultura: non solo dal punto di vista della mediocrità della nostra attuale mentalità borghese, che in un componente della razza perduto riconosce esclusivarnente un cittadino perduto, ma dal punto di vista che dovremmo ammettere tristemente che a dispetto della nostra sapienza e della nostra potenza, il nostro sangue è avviato alla fine. Unendoci sempre di nuovo con altre razze, eleviamo queste dal loro anteriore grado di civiltà ad un grado superiore ma decadiamo per sempre.

Del resto, anche questa educazione, nel senso della razza, trova il suo compimento estremo nel servizio militare. E generalmente il periodo del servizio militare deve essere ritenuto il completamento dell'educazione normale del tedesco comune. Come l'educazione fisica e morale avrà gran valore nello Stato nazionale tedesco, così avrà gran valore per esso la scelta degli uomini. A questo riguardo nel presente si agisce con superficialità. In generale, i figli di genitori che hanno alte posizioni sono ritenuti anche loro degni di un'educazione superiore. Le capacità hanno qui una posizione subordinata. Le capacità in sé possono essere giudicate relativamente. Un giovane contadino può avere più qualità di un figlio di genitori occupanti alte cariche da molte generazioni, anche se ha meno cultura generale del figlio di borghesi. La maggiore condizione di quest'ultimo non ha niente a che vedere con le capacità più o meno grandi, ha la sua base nella maggior quantità di sollecitazione che il bambino riceve grazie alla sua vasta educazione e dell'ambiente in cui vive. Se anche il dotato figlio di contadini, fosse cresciuto in tali condizioni, diverse sarebbero le sue facoltà intellettuali. Oggi c'è un solo settore in cui abbia meno importanza la nascita che le qualità innate: il settore dell'arte. In questo caso non è sufficiente imparare, ma bisogna avere già capacità insite, che solo in seguito si svilupperanno più o meno felicemente (e lo sviluppo non potrà riassumersi in altro che nel permettere a qualità connaturate di esprimersi) il denaro e il capitale dei genitori non contano quasi. E qui è chiaro che il talento non è legato con gli altri ceti sociali e con la ricchezza. Spesso i più grandi artisti appartenevano a famiglie povere. E sovente un bambino di paese diventa in seguito un grande maestro. Non dimostra grande impegno di pensiero la nostra epoca nel fatto che questa massima non venga utilizzata per tutta la vita intellettuale.

I più credono che ciò che non si può negare nell'arte non si può dire per le branchie scientifiche. Indubbiamente l'uomo può apprendere determinate capacità meccaniche, così come un accurato addestramento può insegnare ad un cane mansueto i più svariati esercizi. Come nell'addestra~ mento degli animali non sono le capacità della bestia che la portano a simili destrezze, così succede pure nell'uomo. Anche all'uomo si può impartire una conoscenza scientifica senza tener conto di inclinazioni diverse. Ma in questo caso si ha un apprendimento arido e passivo come nell'animale. Con una adeguata preparazione intellettuale si può dare all'uomo qualunque un'apparenza di intelligenza più che mediocre: ma sono acquisizioni aride e non fertili. Si formano allora uomini tali che possono essere un pozzo di scienza ma che nelle situazioni importanti e nei momenti decisivi della vita si lasciano sommergere. Essi continuano ad aver bisogno di essere guidati anche nelle più piccole incombenze e da soli non sono capaci di contribuire minimamente all'evoluzione dell'umanità. Questo tipo di conoscenza passiva forzata, è sufficiente solo ad occupare posti statali, attualmente. È chiaro che fra i tanti abitanti di uno Stato ci sono talenti per tutti i settori della vita di ogni giorno. Ed è ovvio che la validità della cultura è tanto più grande quanto più la conoscenza viene stimolata dall'interesse personale. Generalmente opere creative si hanno soltanto quando la genialità si unisce alla cultura. Con un esempio illustriamo come l'umanità attuale sbagli in questo senso. Ogni tanto le riviste riportano delle notizie al piccolo borghese tedesco: un Negro per la prima volta è diventato avvocato, professore, pastore o qualcosa del genere in un posto o in un altro. Mentre la stupida borghesia accoglie la notizia con sorpresa per un così stupefacente avvenimento, ammirata per questo strabiliante effetto della pedagogia attuale, l'ebreo astutamente si serve di questo per convalidare la teoria da inculcarsi ai popoli in merito all'eguaglianza degli uomini. La nostra società borghese e decadente non si accorge che in questo modo si commette un vero peccato contro la ragione; che è una vera pazzia quella di istruire una mezza scimmia perché si pensi di aver preparato un avvocato, mentre milioni di membri della eccelsa razza civile devono rimanere in posti pubblici e miseri.

Si pecca contro il volere di Dio, permettendo che centinaia e centinaia delle migliori creature perdano la loro forza nell'odierno pantano proletario per istruire a professioni intellettuali, Ottentotti e Zulù. E in questo caso è proprio un addestramento come per il cane, e non di un "perfezionamento " scientifico. Il medesimo zelo e lavoro rivolto a razze intelligenti, formerebbe uomini mille volte più capaci a tali prestazioni. Questo fatto sarebbe insopportabile se in futuro non si trattasse più unicamente di eccezioni, ma già oggi è insopportabile nel caso in cui non il genio e le capacità insite nell'individuo determinano un'educazione superiore.

Certo, è intollerabile il pensiero che ogni anno centomila uomini senza nessuna capacità siano ritenuti meritevoli di un'alta educazione, mentre altri centinaia di migliaia pieni di talento non ricevano un'educazione elevata. Inconcepibile è l'indebolimento che così ne subisce la nazione. Se negli ultimi decenni, s'incrementò molto, specialmente nell'America del Nord, la quantità delle scoperte importanti, uno dei motivi è questo: che laggiù, un numero di geni superiore che in Europa, provenienti da classi basse è in grado di ricevere un'educazione superiore. Per inventare, non sono sufficienti le nozioni inoculate, ci vogliono cognizioni rese vive dall'ingegno. Ma noi diamo poca importanza a ciò: ci bastano i buoni voti riportati agli esami. Pure su questo punto lo Stato nazionale deve cambiare questo stato di cose. Non è sua mansione il garantire una superiorità assoluta ad un dato ceto sociale, ma scegliere da tutti i componenti della nazione i cervelli migliori e portarli agli impieghi e alle cariche. Esso deve dare al bambino medio, nella Scuola popolare, una data istruzione, e incanalare il talento sulla strada adatta a lui. E specialmente deve permettere a tutti i geni di frequentare gli istituti statali dell'insegnamento superiore, qualunque sia la classe sociale da cui gli studiosi escono. Solo in questo modo. Solo così dalla classe dei rappresentanti di una cultura arida può prodursi una classe dirigente della nazione veramente dotata. C'è poi un'altra ragione per cui lo Stato deve tendere la sua opera in questo senso: le classi intellettuali attuali, sono, specialmente in Germania, così chiuse in se e così inaridite, che sono prive di un reale contatto con i ceti più bassi. Questo fatto ha due effetti negativi, prima di tutto le classi intellettuali restano prive della nozione e del senso della grande massa. Da troppo tempo fu distrutto per essi il legame con la massa, perché possano avere ancora l'adeguata cognizione psicologica della popolazione. Non capiscono più il popolo. In secondo luogo sono privi di un'adatta forza di volontà. Poiché questa è sempre più fragile in chiusi circoli intellettuali che nella moltitudine del popolo incivile. Ma in realtà noi tedeschi non fummo mai privi di un erudizione, scientifica: mancò sovente invece la forza di volontà e di determinazione. Quanto più colti erano per esempio i nostri dirigenti statali, tanto più fragile fu il lavoro da essi compiuto. La preparazione politica, e il rifornimento tecnico per la guerra mondiale furono inadeguati non perché menti troppo poco erudite dirigessero il nostro popolo ma perché i dirigenti erano persone troppo erudite, pieni di cognizioni e di spirito, ma mancavano di ogni impulso naturale, d'ogni forza e coraggio. Fu una sfortuna che la nostra popolazione abbia dovuto lottare per la sua sopravvivenza sotto il cancellierato di un fragile preudo filosofo. Se al posto di un Bethmann-Hollweg avesse comandato un forte popolano, il sangue dei nostri coraggiosi granatieri non sarebbe stato versato inutilmente. Così anche l'alta educazione, esclusivamente spirituale dei nostri capi, fu la miglior alleata della marmaglia rivoluzionaria di novembre. Questi uomini colti risparmiarono il bene nazionale dato loro, invece di usarlo tutto, e così formarono le premesse indispensabili al buon esito degli altri. In questo caso la chiesa cattolica può darci un esempio molto utile. A cagione del celibato dei preti, bisogna scegliere i preti futuri non dal clero, ma dalla grande moltitudine del popolo. Ma proprio i più non capiscono questo senso del celibato. Esso è cagione della forza sempre viva che è in uso in quell'antichissima organizzazione. Poiché, per il fatto che questo immane esercito di ecclesiastici si accresce senza fermarsi sui ceti inferiori del popolo, la Chiesa serba il naturale legame col mondo dei sentimenti del popolo, e si garantisce un'insieme di forze che si trova soltanto, sotto quell'aspetto, nell'estesa moltitudine del popolo. Di qui consegue la meravigliosa giovinezza di quell'immensa istituzione la sua elasticità spirituale, e la dura forza di volontà. Lo Stato nazionale dovrà aver cura nei suoi istituti di in segnamento, che si verifichi un continuo rinnovo delle classi intellettuali per mezzo di sangue nuovo degli strati più bassi.

Lo Stato ha il dovere di estrarre, dopo aver scelto con attenzione e con zelo dalla massa del suo popolo gli uornini meglio dotati dalla Natura, e di metterli al servizio della comunità. Perché Stato e funzionari statali non ci sono per permettere la sopravvivenza a classi prestabilite ma per compiere la opera a loro pertinente. E ciò avverrà solo se, per rappresentare lo Stato, verranno istruiti, per norma, solo individui capaci di forte volontà. E ciò è valido non soltanto per tutti i funzionari dello Stato ma anche per la guida spirituale della nazione in tutti i settori. Un motivo della grandezza della nazione è anche questo; che si riesca a scegliere e a istruire i dotati per i compiti loro pertinenti e metterli al servizio della collettività nazionale. Se due popoli, che hanno stesse qualità e tendenze, competono, avrà la vittoria quello che nella sua guida spirituale trova incarnati i suoi migliori talenti, e perderà quello il cui governo rappresenta solo un enorme rastrelliera comune per certi ceti o strati sociali, senza tener conto delle qualità insite nei singoli governanti. Certamente, ciò sembra a prima vista inattuabile nel mondo odierno. Si contesterà, per esempio, che non bisogna pensare che il figlio di un alto funzionario statale diventi artigiano, perché un altro che proviene da una famiglia di artigiani, sembra più adatto di lui. Questo può essere valido, vista l'attuale valutazione del lavoro manuale. Ma proprio per questo lo Stato nazionale deve assumere una posizione di base diversa di fronte al concetto di lavoro. Esso, se serve, con un'educazione secolare, distruggerà l'insensata abitudine di disprezzare l'opera corporale. Apprezzerà l'uomo non dal tipo della sua attività ma dall'aspetto e dal valore del lavoro fornito. Ciò sembrerà inconcepibile in un tempo in cui il più stupido riempitore di pagine di giornali ha più valore di un intelligente meccanico, semplicemente perché lavora con la penna. Ma, come accennammo, questa errata valutazione non si trova nella natura delle cose fu inculcata artificialmente con l'istruzione e un tempo non c'era. L'attuale innaturale stato di cose è fondato proprio sulle generali manifestazioni corruttrici del nostro tempo materialistico. Come linea di base, qualunque attività ha un duplice pregio, uno materiale, uno ideale. Il pregio materiale sta nel valore che il lavoro ha per l'esistenza della comunità. Quanto più grande è la quantità dei cittadini che traggono utilità da una data attività, utilità diretta o indiretta, quanto più deve essere considerato il pregio materiale. Questa considerazione trova espressione reale nel compenso materiale che l'uomo riceve per la sua prestazione.

A quest'attività esclusivamente materiale si contrappone quella ideale. Questa non si basa sul valore materiale ma sulla sua utilità in sé. La necessità materiale d'una invenzione può essere maggiore di quella di una prestazione manuale, ma è certo che la comunità si fonda tanto sulla piccola prestazione quanto su quella grande. Si può distinguere materialmente nel giudicare l'utilità del singolo servizio per la comunità e si può manifestare questa distinzione nel compenso dato; ma idealmente deve dare un ugual valore a tutte le attività, visto che l'uomo si sforza di dare il meglio di se stesso nel suo settore, qualunque questo sia. Ma il giudizio sul pregio di un uomo deve basarsi su ciò, non sul compenso accordato.

In uno Stato razionale, si deve operare in modo che all'uomo venga assegnato quel lavoro che corrisponde alle sue capacità, o, in altre parole, i dotati devono essere istruiti sul lavoro a loro pertinente, ma il talento non può essere inculcato, deve essere naturale, perché è un dono della natura, non una facoltà acquisita dall'individuo. Perciò, la totale scala di valori borghese non può regolarsi secondo l'attività data in una certa maniera all'individuo. Perché quest'attività dipende dalla sua nascita e dall'educazione ricevuta a causa delle sue origini, per mezzo della comunità. Il giudizio dell'individuo deve essere basato sulla maniera in cui egli diventa adatto alla mansione datagli dalla comunità. Perciò l'attività che l'uomo fa non è il fine della sua vita ma il mezzo. Egli deve, come uomo, continuare ad imparare ed a migliorarsi, ma può fare ciò soltanto all'interno della sua comunità di cultura che deve sempre fondarsi sulla base di uno Stato. Egli deve cooperare per il mantenimento di tale fondamento.

La forma di questo contributo è assegnata dalla Natura. Fondamentale è solo rendere e attuare alla comunità nazionale ciò che la comunità ha dato all'uomo. Chi si comporta così merita stima e grande reputazione. Il compenso materiale può essere dato a quello che con il suo lavoro giova alla comunità; ma il compenso ideale sta nella stima che ognuno può avere, se mette al servizio della propria nazione le qualità che la natura ci donò e che la collettività nazionale educò e sviluppò. In questo caso non è più biasimevole essere un bravo artigiano: invece è biasimevole essere un funzionario incapace e rubare al buon Dio il tempo e al buon popolo il pane quotidiano. E allora sarà considerato normale che non si affidino ad un uomo servizi ai quali è inadatto. D'altra parte, questo tipo di attività dà il solo concetto del diritto alla totale parità giuridica del lavoro borghese. I nostri tempi si distruggono da soli: permettono il suffragio universale, parlano d'uguaglianza di diritti, ma non trovano una base etica di ciò. Riconosce nel compenso materiale l'espressione del pregio di una persona e con ciò aumenta i fondamenti della migliore eguaglianza che possa esserci. Perché l'uguaglianza non consta e non può constare sull'attività dei singoli in sé; ed è solo attuabile nel momento in cui ciascuno fa il proprio determinato dovere. Solo in questo modo sparisce, nel valutare un uomo, il caso, che è opera della Natura, e l'individuo diventa autore del proprio pregio sociale.

Nella nostra epoca, in cui interi gruppi di uomini sanno solo più stimarsi gli uni con gli altri secondo lo stipendio che ricevono, queste cose non si capiscono. Non per questo noi smettiamo di sostenere i nostri principi. Al contrario: chi vuole salvare il nostro tempo, malato e corrotto, deve come prima cosa avere l'audacia di riconoscere i motivi di questa malattia. E di ciò deve curarsi il movimento socialnazionalista: riunire, superando ogni mediocrità piccolo-borghese, estraendole dalla nostra nazione e incanalare quelle forze che sono adatte a farsi modelli di un nuovo concetto del mondo.

Si contesterà che normalmente non è facile dividere la valutazione materiale da quella ideale e che la minor stima del lavoro manuale è il risultato del minor compenso che esso riceve. Si dirà che la ricompensa inferiore è a sua volta cagione di un minore entusiasmo dell'uomo per la cultura del suo paese, che così si deteriora proprio la cultura ideale dell'individuo, la quale non ha nulla a che vedere con il suo lavoro.

Si dirà ancora che l'odio per il lavoro manuale ha radice nel fatto che a causa del minor compenso, il grado culturale dell'artigiano fu reso inferiore: cosa che rende giusta una minore stima generaie. In ciò, c'è molta verità. Ma proprio per questo dobbiamo impedire in futuro una troppo grande differenza tra le retribuzioni. Non si affermi che in questo caso avremo servizi meno buoni.

Sarebbe dolorosissimo indice della decadenza di un tempo se la spinta ad una migliore prestazione intellettuale fosse esclusivamente data da uno stipendio superiore. Se in questo nostro mondo una tale idea fosse sempre stata diffusa, l'umanità non avrebbe mai ottenuto i suoi pregiati beni scientifici e culturali.

Perché le più grandi invenzioni, le più grandi scoperte, le attività scientifiche più nuove, i più meravigliosi monumenti dell'umana civiltà non furono dati al mondo dal desiderio di far denaro. Al contrario: sovente la loro origine segnò la rinuncia alla felicità terrena avuta con la ricchezza. È possibile che oggi il denaro sia diventato il solo padrone dell'esistenza: ma in futuro l'uomo tornerà ad adorare più elevate divinità. Nel presente molte cose debbono la loro vita soltanto alla brama di denaro e delle ricchezze; ma fra esse, molto poche quelle che, se mancassero, renderebbero più misera l'umanità. La nostra organizzazione ha pure questa missione di presagire una epoca che darà all'individuo il necessario per vivere, ma terrà salda l'idea che la persona non vive solo per la gioia materiale. Ciò si esprimerà in una graduazione di qualità, stabilita con senno e che possa garantire anche all'infimo onesto lavoratore una vita normale, nella sua qualità di uomo e di componente della nazione.

Non si affermi che questo è uno stato ideale che non si può attuare in realtà, e non si attuerà mai. Poiché anche noi non siamo così stupidi da ritenere possibile di creare in futuro un'epoca perfetta. Però sentiamo il dovere di lottare contro gli sbagli noti, di vincere le debolezze, di spingerci con forza verso l'ideale. Già di per se stessa la dura realtà ci opporrà fin troppi limiti: e proprio per questo l'individuo tenterà di attuare la più alta meta e gli sbagli non devono allontanarlo dai suoi propositi, così come egli non può privarsi di una Giustizia solo perché anche questa può sbagliare cosi come non si rinuncia alla medicina solo perché le malattie continuano ad esistere.

Ciò che a quel tempo portò gli uomini a morire non fu i I pensiero del pane quotidiano ma il patriottismo, la certezza della grandezza di questa, il comune senso della gi della nazione. Solo nel momento in cui il popolo tedesco tralasciò questi ideali, per accettare le promesse materiali della rivoluzione e smise di combattere, giunse, non I paradiso terrestre ma al purgatorio della totale disistima della generale povertà. Perciò bisogna prima di tutto opporre ai rappresentanti dell'attuale repubblica materiale la fede di un Reich ideale.

Bisogna badare a non dare poco valore alla forza di un ideale Se qualcuno è, su questo punto, vile, e se è stato sol(lato, io gli rammenterò quell'epoca in cui il coraggio fu i dovuto alla totale accettazione della forza degli ideali.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo III

Generalmente quell'organizzazione che attualmente viene chiamata Stato conosce solo due tipi di persone: cittadini e stranieri. Sono cittadini quelli che per la loro origine o per essere stati inclusi in seguito hanno il diritto di cittadinanza; stranieri sono quelli che hanno questo diritto in un altro Stato. Fra questi vi sono delle apparizioni: gli "apolidi ", individui che hanno l'onore di non far parte di nessuno degli Stati attuali, e perciò non hanno in nessun posto il diritto di cittadinanza. Il diritto di cittadinanza si ottiene attualmente nascendo entro i confini di uno Stato. La razza o l'essere leggittimamente di una nazione non hanno in questo nessun valore. Un Negro, vissuto in precedenza nelle terre di protettorato tedesco e ora abitante in Germania, genera un figlio che è cittadino tedesco. E cosi qualunque figlio di Ebrei, o di Polacchi, o di Africani, o di Asiatici può essere sicuramente chiamato cittadino tedesco. Oltre la cittadinanza ottenuta con la nascita si può diventare cittadini in seguito. Ciò se sussistono svariate premesse, per esempio, se colui che aspira ad ottenerla non è né un ladro, né un lenone e non costituisce un rischio dal punto di vista politico, che non sia un onere alla sua nuova patria politica.

Naturalmente la nostra epoca materialistica pensa solo ad un onere finanziario. Anzi per ottenere prima la cittadinanza è utile che l'aspirante sia un buonissimo pagatore di tasse in avvenire. Considerazioni razziali non vi hanno la minima importanza.

Ottenere la cittadinanza è come essere ammessi ad un elenco automobilistico. L'aspirante presenta la sua domanda, si indaga, la domanda viene accettata, e un bel giorno gli si rende noto con una missiva che è divenuto cittadino dello Stato. E l'annuncio gli è dato in forma comica: a colui che finora è stato uno Zulù si rende noto che " è diventato Tedesco "!

Questo miracolo viene fatto da un comune funzionario. In pochissimo tempo questo funzionario fa ciò che neanche il Cielo potrebbe fare. Un segno di penna e un Mongolo diviene un vero " Tedesco ". Non soltanto non ci si preoccupa della razza di quel nuovo cittadino, ma neanche della sua integrità fisica.

Egli può essere anche ammalato di sifilide, tuttavia è bene accetto come cittadino dallo Stato attuale, purché non costituisca né un peso finanziario né un rischio politico. Così ogni anno quell'essere orribile, cosiddetto Stato, accetta elementi venefici che non può più allontanare. Il cittadino medesimo si distingue dallo straniero, solo perché può occupare uffici pubblici, che deve in caso di bisogno fare il servizio militare e che può partecipare in modo attivo e passivo alle elezioni. Nell'insieme consiste tutto in questo. Perché sovente anche lo straniero ha la protezione (lei diritti civili e della libertà individuale: per lo meno, così avviene nell'odierna repubblica tedesca. So che queste cose non si sentono di buon grado: ma non c'è niente di più anormale di più indignante dell'attuale diritto di cittadinanza. C'è oggi uno Stato in cui si notano già le premesse di i i n'idea superiore: e non è la nostra meravigliosa repubblica tedesca, ma l'Unione Americana, dove si cerca di ragionare. LUnione Americana non accetta gli individui cattivi dell'immigrazione, e rifiuta comunemente ad alcune razze ]a concessione della cittadinanza; e con ciò presagisce i principi ancora fragili d'una idea che è tipica della conce,,,Ione nazionale di Stato.

Lo Stato nazionale divide i suoi membri in tre classi: cittadini appartenenti allo Stato e stranieri. L'origine dà soltanto appartenenza allo Stato. Questa in sé stessa non rende la possibilità di occupare posti pubblici né di esercitare un'opera politica, partecipando alle elezioDi . Per ogni membro dello Stato si deve, per principio, decidere la razza e la nazionalità. Il membro dello Stato può sempre rinunciare ad appartenervi e divenire cittadino dello Stato la cui nazionalità corrisponde alla sua. Lo straniero è differente dal membro dello Stato solo per questo, che l'a parte pure di uno Stato straniero. Il giovane tedesco, componente dello Stato ha il dovere di ricevere l'educazione scolastica obbligata ad ogni tedesco. Così riceve l'educazione indispensabile per diventare un membro del popolo che ha il senso della razza e della nazionalità. Dovrà in seguito avere una educazione fisica ordinata dallo Stato e alla fine entrare nell'esercito.

L'istruzione dell'esercito è totale: deve comprendere ogni individuo tedesco e renderlo adatto a far uso delle sue capacità fisiche ed intellettuali per impieghi militari. Quando il giovane, sano e valoroso, ha finito il servizio militare gli viene dato il diritto di cittadinanza. È questo il migliore documento per la sua esistenza terrena. Con esso prende tutti i diritti del cittadino e ne riceve tutti i profitti. Perché lo Stato deve distinguere chiaramente fra quelli che, come componenti del popolo, sono autori della sua vita e della sua grandezza e quelli che abitano entro i confini di uno Stato esclusivamente per proprio vantaggio. Uattestato di cittadinanza deve essere dato con un solenne giuramento da fare alla collettività nazionale e allo Stato. Questo certificato deve essere come un laccio che tiene unite tutte le classi che supera tutti gli abissi. L'essere in qualità di spazzino componente di un Reich, è un onore più grande che essere re in uno Stato Straniero.

La ragazza tedesca è membro dello Stato: solo il matrimonio la rende cittadina. Ma il privilegio della cittadinanza può anche essere dato alle tedesche, componenti dello Stato, che lavorano. A chi non ha valore né volontà, al volgare criminale, al traditore della Patria può sempre essere tolto questo privilegio; e così ritorna ad essere un comune componente dello Stato. Il cittadino ha una posizione di rilievo nei confronti dello Straniero. È il signore di un Reich. Ma questo alto privilegio porta con sé dei doveri.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo IV

Se lo Stato nazionale, nazional-socialista, riconosce la sua missione nella formazione e nel mantenimento del rappresentante dello Stato, non gli è sufficiente però favorire gli elementi razziali ed istruirli alla vita reale: è anche utile che lo Stato armonizzi con questa missione il proprio organismo.

Sarebbe pazzia valutare l'individuo per la razza da cui proviene e combattere l'idea marxista dell'eguaglianza degli uomini fra loro se non si è decisi a trarre da ciò gli estremi risultati. L'ultimo risultato dell'accettazione del valore del sangue, cioè dei principi razziali in generale, sta sul singolo. lo, normalmente, devo giudicare in maniera diversa i popoli basandomi sulla razza da cui provengono; e sullo stesso fondamento devo. giudicare gli uomini all'intemo di una comunità nazionale. La constatazione che un popolo è diverso da un altro si trasferisce agli uomini di una nazione, nel senso che una mente è diversa da un'altra necessariamente, poiché anche in questo caso le caratteristiche del sangue, sono in linea generale, le stesse, ma negli individui sono soggette a mille sottilissime differenziazioni. Il primo effetto di questa nozione è piuttosto grossolano: consiste nell'incrementare gli elementi, che all'interno della collettività nazionale, furono riconosciuti più pregiati per la razza.

Questa mansione è piuttosto grossolana perché può essere assolta in maniera quasi meccanica. Meno facile è scegliere nella comunità le menti veramente dotate intellettualmente e idealmente e assegnare loro quell'autorità che non solo è diritto di questi animi superiori ma è utile a tutta la nazione. Questa scelta a seconda delle qualità e facoltà non può essere fatta in maniera meccanica, ma è un'opera di cui si occupa di continuo la lotta per la sopravvivenza.

Un concetto del mondo tendente a negare l'idea democratica di massa e dare alle persone migliori della nazione questa terra, deve inevitabilmente obbedire anche all'intemo di questa nazione allo stesso principio aristocratico e garantire alle menti più dotate il comando e la massima autorità nella nazione di cui si tratta. Con questo, essa non costruisce sulla concezione di maggioranza ma su quella della personalità.

Chi oggi pensa che uno Stato politico, nazional-socialista, debba distinguersi dagli altri Stati in maniera semplicemente meccanica per una migliore edificazione della sua econornia, per un minore squilibrio fra povertà e ricchezza, o per una maggiore partecipazione di estesi ceti alla economia nazionale, o per una retribuzione migliore, si èfermato in superficie e non ha nessuna cognizione di ciò che è per noi un'idea del mondo. Tutte queste cose non danno la più piccola sicurezza di stabilità e di grandezza. Una popolazione che si ritenesse paga di queste modifiche superficiali non avrebbe nessuna sicurezza di vittoria nella lotta totale tra i popoli.

Un movimento che limitasse il suo compito soltanto in un tale giusto adeguamento, non si rafforzerebbe e non porterebbe nessuna consistente modifica alla situazione esistente, perché il suo lavoro si fermerebbe in superficie. E al popolo non sarebbe fornita quella profonda preparazione che sola gli permetta di superare le debolezze che attualmente ci dilaniano.

Forse, per capire meglio ciò, è necessario rivolgere gli occhi ancora una volta sul principio e sulle vere cause dello sviluppo civile degli uomini. Il primo stadio che diversificò in modo visibile l'uomo dalla bestia fu quello dell'invenzione. In principio, l'invenzione consiste nel cercare astuzie o simulazioni adatte a favorire la lotta con le altre creature per la sopravvivenza e a garantire successo. Queste originarie invenzioni non mostrano visibilmente l'uomo, perché l'osservatore successivo, l'osservatore attuale ne prende coscienza solo come di fenomeni di massa. Certa astuzia, certe furbe misure che l'uomo può vedere nella bestia gli si manifestano come un fatto sommano: egli non è capace di capire il motivo: e se la cava chiamando istintivi questi metodi.

Ma nel nostro caso il termine non soddisfa. Perché chi crede ad uno sviluppo elevato degli uomini deve affermare che ogni manifestazione del loro impulso vitale e di lotta deve essere cominciato un giorno e che un solo individuo (leve aver cominciato a manifestare il suo impulso naturale. i Poi questo metodo si ripeté sempre più spesso e si allargò, li nché passò nell'inconsapevole di tutti i componenti di una (lata razza e venne chiamato "istinto ". È meno difficile capire e credere ciò nell'uomo. I suoi primi assennati provvedimenti nella lotta contro le bestie furono certamente, al principio, lavoro di individui forniti d I capacità particolari.

Pure in questo caso la personalità rese possibili determinazioni e attività che in seguito divennero fatti naturalissimi per tutta l'umanità. Allo stesso modo certi "fatti naturali " dell'arte della guerra sono attualmente diventati il fori(lamento di ogni strategia, in principio, dovettero la loro ongine ad una data mente e solo dopo migliaia di anni fui ono accettati da tutti come sicuramente normali.

L 'uomo aggiunge alla sua prima invenzione una seconla: impara a sottomettersi ad altre creature perché lo salvano nella lotta per la sopravvivenza; impara molte cose; e così ha inizio la vera opera inventiva dell'uomo, oggi manifesta a tutti.

Le invenzioni materiali, che cominciano dall'uomo della pietra come arma e che portano ad ammansire una bestia, che danno all'uomo la capacità di fare il, fuoco e concludere nelle meravigliose invenzioni odierne, permettono di riconoscere chiaramente nell'autore di tante meraviglie, lo uomo, quanto esse più sono vicine ai nostri giorni e quanto più ne è decisivo il pregio.

In ogni caso, le scoperte materiali che li circondano sono l'effetto della capacità creatrice del singolo individuo. E tutte queste scoperte cooperano ad innalzare sempre più l'uomo sopra il livello bestiale e a differenziarlo chiaramente da questo. Sono utili dunque per lo sviluppo dell'uomo, sempre più verso l'alto. Ma pure quello che allora, come semplice finzione, rendeva più facile all'uomo che cacciava nella foresta primitiva la lotta per la sopravvivenza, attualmente è utile sotto forma di acute nozioni scientifiche; alla lotta dell'umanità per la propria sopravvivenza e a creare le armi per le lotte future. Ogni pensiero, ogni scopena umana è utile, nel suo risultato finale, prima di tutto alla lotta dell'individuo per l'esistenza su questa terra, anche quando il cosiddetto vantaggio materiale di un ritrovato o di una scoperta o di uno sguardo profondo gettato dalla scienza nell'intima natura delle cose, non è, in quel momento, percepibile.

Tutto ciò coopera ad innalzare continuamente l'uomo sugli animali, lo rende forte e saldo nella sua condizione e gli permette di essere una creatura dominante su questo pianeta. Perciò tutte le scoperte sono l'effetto della capacità creativa di un uomo. Questi individui sono, lo si desideri o no, più o meno grandi benefattori dell'umanità. La loro attività dà in seguito, a miliardi di esseri umani, mezzi e risorse per facilitare la lotta per l'esistenza. Così, alla base dell'attuale civiltà materiale notiamo sempre singoli individui, in qualità di inventori, essi si completano l'uno con l'altro, l'uno continua a costruire sulle basi create dall'altro. La stessa cosa succede per l'introduzione e l'uso delle scoperte degli inventori. Perché pure i complessi processi di produzione sono nel loro principio paragonabili ad invenzioni, e quindi derivano da uomini.

Adolf Hitler La medesima opera esclusivamente teorica che non è valutabile nei particolari delle future scoperte materiali, sembra a sua volta, un esclusivo frutto di un singolo individuo. Una collettività umana sembra bene organizzata se rende facile l'opera di queste capacità creative, se le usa a vantaggio della comunità. Quello che ha più importanza in una invenzione materiale o teorica è soprattutto l'inventore come uomo.

È perciò, prima e massima mansione dell'organizzazione, della comunità nazionale, quella di renderlo proficuo per la nazione. Sì, l'organizzazione deve solo servire ad attuare quest'idea: in questo modo si salva dall'esecrazione del meccanismo e diventa cosa vivente. Deve tendere ad elevare i geni dalla massa e a sottomettere la massa ai geni. Cosi l'organizzazione non solo non deve ostacolare i geni ad emergere, ma deve facilitare questo sollevamento, grazie alla propria formazione e natura.

Per questo scopo deve servirsi della sentenza che per l'umanità la benedizione non fu mai nella massa ma nelle menti creative che sono perciò i veri benefattori della umanità. È nell'utilità dell'umanità garantire loro la dovuta autorità e agevolarne l'attività. Certamente, non si serve a quest'utilità né la si appaga lasciando dirigere agli inabili e agli incapaci, ma solo concedendo il comando a quelli che I hanno avuto in dono dalla Natura particolari facoltà. Come affermammo, la dura lotta per la sopravvivenza, pensa a scegliere questi cervelli. Molti si spezzano e muoiono, pochi sembrano scelti. Nel settore del pensiero, della creazione artistica e dell'economia quest'opera di scelta avviene anche attualmenle, anche se, specialmente nell'economia, sia molto intralciata. L'amministrazione dello Stato e l'autorità manifestata nella forza di difesa ordinata della nazione, sono pure assoggettate da questo principio.

In ogni luogo è sovrano ancora il principio della personalità, dell'influenza della persona sugli esseri soggetti e della responsabilità verso i superiori. Solo la politica si è accontentata di questa idea naturale. Mentre tutta la civiltà degli uomini è solo la conseguenza dell'opera creatrice dell'individuo, al comando della collettività nazionale c'è solo il principio dell'importanza determinante della maggioranza che di là inquina e distrugge l'esistenza della nazione. Anche i risultati distruttivi dell'opera degli ebrei su altri componenti della nazione si debbono imputare all'immorale tentativo di insidiare il valore dell'individuo nei popoli di cui è ospite e di tramutarlo in valore delle masse. E in questo modo, il principio ordinatore dell'umanità varia, si trasforma in principio sterminatore degli ebrei: esso diviene "fermento di disgregazione " di popolazione e razze e in senso più lato, demolitore della civiltà umana.

Il marxismo rappresenta il tentativo, spostato nel settore della cultura, degli ebrei, di distruggere in tutti gli aspet(i dell'esistenza umana la predominanza della personalità e (il rimpiazzarla con quantità della massa. A questo corri sponde in politica il governo parlamentare, tanto fatale, dalle più piccole cellule del. comune, fino al massimo governo del Reich, e in economia, una forma sindacale che non giova ai reali interessi del lavoro, ma solo agli annientanti desideri del giudaismo internazionale.

Nel medesimo momento in cui l'economia non è più sottoposta al principio di personalità ed è lasciata all'influsso e alle forzature della massa, essa deve perdere la sua facoltà di prestazione, che è utile a tutti ed è per tutti valida, e lentamente disgregarsi.

Adolf HitlerLe riunioni di fabbrica che invece di salvaguardare gli interessi degli operai, tendono ad influire sulla produzione medesima, hanno lo stesso scopo annientatore. Recano danno alla produzione totale e perciò anche al singolo. Perché, col passar del tempo, i membri di una nazione, non restano appagati da sole parole teoriche, ma dalla ricchezza della vita di tutti i giorni dovute a ciascuno, e dalla concezione che ne deriva, che una comunità nazionale, garantisce, nel complesso dei suoi compiti, gli interessi dell'individuo. Ha poca importanza che il marxismo, fondatosi sull'idea di massa, sembri atto ad occuparsi ad evolvere l'economia attuale.

Per un giudizio sulla precisione o imprecisione di questo giudizio non è determinante la prova dell'abilità del marxismo a conservare ciò che già esiste, ma la prova che esso sia capace di costruire una tale civiltà. Il marxismo potrebbe mille volte assumersi l'onere di amministrare l'odierna economia senza che un suo probabile buon esito provasse niente contro il fatto che non riuscirebbe a creare, usando il suo principio, ciò che oggi esiste e di cui esso si appropria.

E che non ne sia capace, il marxismo, l'ha dimostrato realmente. Non seppe creare in nessun posto una civiltà o anche un'economia prospera, e non seppe neanche evolvere secondo i suoi principi quelle che già c'erano; già dopo pochissimo dovette percorrere la strada dell'ammissione del concetto della personalità, alla quale non poté sfuggire neanche nel proprio ordinamento. L 'idea nazionale si differenzia principalmente da quella marxista in questo, che essa ammette l'importanza della razza e perciò pure l'importanza dell'individuo e ne fa una delle colonne della sua costituzione. Questi sono i principi più importanti della sua idea del mondo.

Se il movimento nazional-socialista non capisse l'importanza di base di quest'ammissione generale, aggiustasse solo superficialmente lo Stato attuale e riconoscesse il punto di vista della massa, in pratica sarebbe solo un partito in concorrenza col marxismo. E non potrebbe chiamarsi un'idea universale.

Se il nostro movimento sociale progettasse solo di impedire alle personalità di evolversi e nel mettere al posto di questa la massa, il nazional-socialismo medesimo sarebbe avvelenato dal marxismo, come i nostri partiti borghesi. Lo Stato nazionale deve preoccuparsi del benessere dei Suoi membri, riconoscendo in ognuno e in tutti l'importanza della persona e incrementando in tutti i settori quell'elevata capacità di produrre che assicura all'individuo, un elevato grado di compartecipazione.

Deve quindi lo Stato nazionale liberare senza compassione il comando supremo, ossia politico, del principio parlamentare, secondo il quale la decisione spetta alla maggioranza, cioè alla massa, e mettere al posto di quella il totale diritto dell'individuo.

Da ciò consegue questa cognizione: la costituzione statale è la forma di Stato più valida e quella che con naturale certezza, dà valore direttivo e autorità estrema ai migliori cervelli della comunità nazionale. Ma come nell'economia gli esseri dotati non possono essere scelti dall'alto, ma devono emergere da sé, e come in questo caso c'è una lunghissima scuola che va dalla piccolissima bottega alla più grossa azienda, una scuola dove la vita promuove e seleziona; cosi non è possibile che i talenti politici vengano scoperti all'improvviso.

La mente sovrumana non è materia che si adatti all'umanità comune. Lo Stato deve tener legato nel suo ordinamento il principio della personalità, partendo dal più piccolo organismo della società per giungere all'estremo comando del Reich. Non ci sono determinazioni di maggioranza, ma soltanto uomini responsabili. Ogni uomo ha vicino dei consiglieri, ma la decisione è compito di un solo individuo.

Il principio di base che rese l'esercito prussiano il meraviglioso strumento del popolo tedesco, dovrà essere in futuro il fondamento della nostra organizzazione statale: autorità di ogni dirigente verso il basso, responsabilità verso i superiori.

Anche in avvenire non potremo privarci di quelle corporazioni che chiamiamo Parlamenti. Ma allora essi consiglieranno veramente, mentre un solo individuo, avrà la responsabilità e di conseguenza l'autorità e il comando. I parlamenti in sé, sono utili perché in essi i cervelli dotati hanno la possibilità di emergere: quella a cui in seguito potranno essere affidate mansioni di responsabilità. Consegue questo quadro.

Lo stato nazionale non ha, a partire dal comune, fino al Comando del Reich, corpi responsabili che decidono a maggioranza di voti, ha solo corpi consiglieri, che aiutano il capo momentaneamente eletto e ai quali il capo divide l'attività. Questi corpi, secondo la necessità, hanno in dati settori la responsabilità totale, come ha in misura più grande il capo o il presidente di ogni corporazione.

Lo Stato nazionale non sopporta, per principio, che per un problema particolare (per esempio economico) sia chiesto un consiglio o una valutazione dei fatti a individui, che per l'istruzione avuta, o per il carattere della loro attività, non s'intendono di quel problema. Perciò esso dispone e organizza i suoi corpi rappresentativi in camere politiche e professionali,Per assicurare una comune proficua opera delle une e delle altre, è sopra di esse un particolare senato, composto dei migliori membri della nazione. In nessuna camera, in, nessun senato, si fanno mai votazioni. Essi sono organismi di lavoro e non macchine per votare. Il singolo membro ha voto consultivo, mai decisivo.

Hanno voto decisivo solo i capi responsabili. Questo principio, dell'unione della totale autorità con la totale responsabilità formerà lentamente una scelta dei capi che è inconcepibile, al tempo del parlamentarismo incosciente. Così la formazione statale della nazione viene ammortizzata con quella legge a cui la nazione deve già la sua grandezza nel settore dell'economia e della cultura.

Quanto all'eventualità di attuare questi principi, prego di non scordare che il principio della democrazia parlamentare decisione di maggioranza, non prevalse sempre, anzi dominò solo in epoche brevissime della storia, che furono sempre periodi di decadenza di Stati e di popolazioni. Certo, non si deve pensare che una tale modifica si possa attuare solo con provvedimenti soltanto teorici dall'alto verso il basso, perché essa naturalmente non si deve fermare alla costituzione Statale e penetrare fino in fondo tutta la legislazione e anche l'esistenza dei cittadini. Uno sconvolgimento così esteso può solo avvenire grazie ad un moto popolare già basato su quest'isola e perciò portare già in sé lo stato futuro.

Perciò, il movimento social-nazionalista deve fin da ora fare sue queste idee ed eseguirle praticamente all'interno della propria organizzazione: potrà così un giorno non ..solo dare allo Stato i principi direttivi, ma mettere al servizio dello Stato stesso il corpo completo della sua organizzazione statale.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo V

Lo Stato nazionale, di cui ho provato a delineare i principi generali, non sarà ancora attuato col solo riconoscimento di ciò di cui ha bisogno. Non è sufficiente sapere quale forma deve avere lo Stato nazionale. Ha molto valore il problema della sua origine. Non si deve attendere che i partiti attuali, i quali sono soprattutto profittatori dello Stato odierno, arrivino da soli ad un rivolgimento del regime, e cambino volontariamente l'atteggiamento avuto finora. Ciò è ancora più difficile, perché gli elementi che in pratica li guidano sono gli ebrei, sempre e soltanto gli ebrei.

Se si continuasse come attualmente, un bel giorno gli ebrei distruggerebbero veramente i popoli della terra e ne diventerebbero padroni. L'ebreo, perfettamente conscio del suo fine, continua a percorrere con volontà la sua strada di fronte ai milioni di "borghesi " e proletari tedeschi, che nella maggior parte, per pigrizia, ignavia e scemenza, vanno verso la loro distruzione. Perciò un partito comandato da lui non può fare altri interessi che i suoi, interessi che non hanno niente a che vedere con i problemi dei popoli arii.

Quindi, se si vuole tentare di attuare l'immagine ideale dello Stato nazionale, si deve, escludendo le odierne potenze della vita pubblica, cercare una nuova forza, determinata, e in grado di lottare per un ideale come questo. Perché in questo caso si tratta di combattere: il primo dovere non è quello di formare una costituzione nazionale dello Stato, ma quello di annientare gli ebrei. Come accade sovente nella storia, la difficoltà principale non è quella di formare un nuovo stato di cose, ma creare un posto per esso. Utilità e preconcetti cooperano per formare una moltitudine compatta e armata e tentano con tutti i mezzi di impedire la vittoria d'una concezione che sia per loro sgradita e rischiosa.

Perciò, il modello del nuovo ideale, è sfortunatamente obbligato, pur sottolineandone l'aspetto positivo, ad assumere prima di tutto l'aspetto negativo della lotta, quello che deve portare all'eliminazione della situazione attuale. Una nuova dottrina, di gran valore e novità, deve, anche se ciò può dispiacere ai singoli, usare per prima arma la sonda della critica, con severità.

Èdimostrazione di conoscenza incompleta dell'evoluzione storica il fatto che oggi quelli che chiamiamo nazionalisti ci tengano a dire che non è loro intenzione fare una critica negativa ma solo eseguire un'opera costruttiva. Questi sono discorsi stupidi, ingenui, degni di "popolari " e dimostrano che in quei cervelli passò senza lasciar traccia anche la storia della loro epoca. Anche il marxismo aveva un fine, anche esso conosce un lavoro costruttivo. Anche se per questo intenda solo la costituzione di una tirannia giudaica economica internazionale. Però esso da settant'anni esercita la critica; una critica sgretolante, annientatrice, finché non ebbe indebolito e portato alla distruzione il vecchio Stato. E ciò fu normale, logico e razionale. Non è sufficiente per distruggere uno Stato esistente il semplice desiderio e rappresentazione di uno Stato futuro. Non bisogna pensare che i partigiani o quelli che traggono profitto dalla situazione già in atto possano essere convinti a mutare idea con la sola constatazione di un bisogno e guadagnati ad una rivoluzione.

Invece non è difficile che succeda che rimangano, in tal caso, due concezioni diverse, una vicino all'altra e che perciò la cosiddetta idea del mondo diventi un partito e debba rimanere tale. Perché l'idea del mondo non può sopportare né ritenersi paga di essere un partito vicino agli altri ma richiede con forza di essere accettata come sola ed esclusiva, così come richiede che tutta la vita pubblica venga modificata e adattata alle sue idee. Perciò non può permettere che esista accanto a sé, la situazione precedente. Ciò è valido per le religioni.

Anche il cristianesimo non poté appagarsi di costruire il suo altare: dovette per forza distruggere le are pagane. Solo cominciando con questa entusiastica intolleranza poté formarsi la fede indiscutibile, di cui l'intolleranza è proprio la necessaria condizione preliminare. Si può contestare che in questi fenomeni della storia del mondo si tratta specialmente di una mentalità ebraica: che questo tipo di intolleranza e di fanatismo è tipico degli ebrei. Ciò può essere verissimo, e si può criticare coll'accorgersi con giustificato dolore che la manifestazione dell'intolleranza e del fanatismo nella storia degli uomini è un fatto che prima non si era mai verificato: ma con ciò non si modifica niente del fatto che attualmente tale situazione esiste.

Le persone che vogliono liberare il popolo tedesco dalla sua condizione attuale non devono sforzarsi a pensare quanto sarebbe meglio se questa o quella cosa non ci fosse, devono cercare la maniera di distruggere ciò che c'è. Ma un'idea del mondo piena di dannata intolleranza può essere soltanto annientata da un'altra vivificata e spinta da uno spirito simile, da una simile volontà, da una concezione nuova che sia incontaminata e completamente vera. Attualmente l'individuo deve notare con sofferenza, che nel mondo antico, molto più libero del moderno, apparve, con la venuta del cristianesimo, la prima paura spirituale. Ma non si può obiettare che da quel tempo è pervaso e dominato da quella oppressione, che solo l'oppressione distrugge l'oppressione, solo la paura, la paura. Soltanto dopo si può pensare di creare una condizione nuova.

I partiti politici accettano di scendere a patti, le idee de mondo no. I partiti politici contano anche sui nemici, le idee del mondo dichiarano la propria infallibilità. Pure i partiti politici hanno, alla base, quasi sempre la tendenza a conquistare per sé il potere: è spesso nascosta in essi una piccola tendenza ad un'idea del mondo. Ma già la limitatezza del loro programma li priva di quel sentimento eroico che una tale idea richiede. Lo spirito di accordo che vivifica le loro volontà porta ad essi le teste mediocri e fragili, con le quali non si può cominciare una crociata. Perciò spesso restano fermi alla loro mediocrità, rinunciano a combattere per un'idea universale, e cercano di ottenere, con la cosiddetta "collaborazione positiva " in fretta, un piccolo posto nella mangiatoia del governo presente e di rimanervi più tempo possibile. In questo consiste tutto il loro sforzo. Se un giorno un avversario alquanto feroce li cacciasse dalla mangiatoia generale tutte le loro attività e idee cercherebbero di avanzare di nuovo, magari con la forza e con l'inganno, nella mandria degli affamati, per satollarsi nuovamente, a costo magari delle loro più sante idee, all'adorata fonte alimentare. Sciacalli della politica! Un'idea del mondo non accettando mai di dividere con un altra, non può accettare di operare insieme ad un tipo di governo che essa disprezza; ma sente il dovere di lottare contro questo governo e contro tutte le convinzioni dei nemici, con ogni mezzo, e di distruggerle.

Questa battaglia annientatrice richiede campioni decisi, di cui i nemici riconoscono subito la pericolosità e quindi si legano per difendersi a vicenda, quanto la lotta positiva che sta per far predominare le sue proprie concezioni. Perciò un'idea del mondo porterà alla vittoria le sue idee se riunirà nelle sue file gli individui più coraggiosi e forti della sua epoca e formerà loro in una compatta organizzazione guerriera. Ma a questo scopo è indispensabile che essa, considerando questi individui, scelga dalla propria visione generale del mondo date convinzioni e dia loro un aspetto atto a servire da professione di fede, nella sua delimitata e precisa brevità, ad una nuova comunità di persone. Mentre il programma di un partito politico non è altro che il rimedio per un successo nelle elezioni seguenti, il programma d'una idea universale dichiara guerra alla situazione presente, al governo presente, insomma ad una presente idea del mondo.

Non è indispensabile che ogni combattente per quest'idea abbia una cognizione completa delle ultime concezioni, negli ultimi pensieri dei dirigenti del movimento. A lui è sufficiente sapere con esattezza alcuni, i più grandi punti di vista; nella sua mente devono essere impressi in modo inalterabile i principi basilari della dottrina, in modo che resti completamente sicuro della necessità della vittoria del suo movimento. In questo modo, il singolo soldato non viene istruito sui problemi dell'alta strategia: a lui basta essere educato ad una ferrea disciplina, ad una entusiastica convinzione del buon diritto e dell'energia della sua causa e alla completa abnegazione ad essa. Lo stesso, deve succedere nel singolo partigiano di un movimento molto, grande, di grande avvenire, di fortÈ volontà. Come non sarebbe valido, un esercito in cui i soldati fossero o credessero di essere generali, così non sarebbe valido un movimento politico come rappresentante di una idea, se non fosse altro che un unione di individui coscienti. No, ad esso servono anche i soldati semplici, senza i quali non si attua una profonda disciplina.

Una organizzazione, può soltanto per il suo ultimo essere, sopravvivere, se una grande moltitudine sentimentale è soggetta ad un più alto comando intellettuale. Un gruppo di 200 uomini d'uguale quoziente intellettuale sarebbe, col passar del tempo, meno disciplinabile che una compagnia di 190 con un quoziente intellettuale inferiore e 10 di grande cultura. In ciò trovò un giorno grande vantaggio la socialdemocrazia. Prese i componenti di varie classi del nostro popolo, già congedati dal servizio militare dove erano già stati educati all'ordine, e li inserì nell'ordine del partito, egualmente duro. Pure la loro organizzazione formò un esercito di soldati e di ufficiali. L'operaio tedesco, finito il servizio militare diventò il soldato, il colto ebreo diventò ufficiale: i dirigenti dei Sindacati Tedeschi possono essere ritenuti il corpo dei sottufficiali. Il fatto, guardato con freddezza dalla nostra borghesia, che fecero parte del marxismo soltanto le classi incolte, fu in verità la condizione preliminare del trionfo del marxismo.
Perché, mentre i partiti borghesi, nel loro uguale grado intellettuale, formano esclusivamente un gruppo insubordinato e inabile, il marxismo costituì col suo meno dotato materiale umano, un esercito di soldati di partito, che ora sono subordinati al loro capo ebreo, così come un tempo erano subordinati al loro ufficiale tedesco. La borghesia tedesca che non si era mai curata di problemi psicologici, non trovò neanche in questo caso utile pensare all'intimo significato e nascosto rischio di questo fatto.

Si ritenne, al contrario, che un partito politico costituito solo di uomini delle classi intelligenti, fosse di maggior pregio, che avesse maggior diritto e maggior possibilità di arrivare al potere che la moltitudine incolta. Non si comprese mai che la forza di un partito politico non si trova nella grande e singola intelligenza dei componenti una in una ordinata subordinazione dei componenti verso il comando intellettuale. Ciò che decide è la medesima direzione.

Se due eserciti combattono, non trionferà quello dove ogni componente ha la più elevata cultura militare, ma quella che ha un comando più forte e contemporaneamente la truppa più obbediente, e resa più abile. Dobbiamo sempre ricordare questo fatto di base quando valutiamo le probabilità di attuare un'idea del mondo. Se per portare un'idea al trionfo dobbiamo trasformarla in un moto di lotta, è ragionevole che il programma del movimento consideri il materiale umano di cui dispone. I fini e le idee di comando devono essere stabili, ma il programma e la diffusione devono essere con talento e con esattezza psicologica adattati alla mentalità di quelli senza il cui aiuto la concezione migliore, resterebbe sempre una concezione.

L'idea nazionale, se dalla incomprensibile volontà attuale vuole arrivare ad un chiaro trionfo, deve scegliere dal saio esteso mondo di idee alcune prestabilite sentenze direttive ve, adatte, per la loro essenza e per la loro materia, ad unire a sé grosse masse di uomini: la moltitudine dei lavoratori tedeschi, quella che, sola, garantisce la eventualità di una lotta adatta alla nostra concezione. Quindi il programma del nuovo movimento fu riassunto in 25 massime o punti di base Essi servono a dare all'individuo del popolo, prima di tutto, un'idea generale della volontà del movimento e dei suoi progetti. Sono, per spiegare, una professione di fede politica, che cerca di diffondere il movimento ed è capace (il unire gli accoliti con doveri riconosciuti in comune.

In ciò dobbiamo sempre ricordare quanto segue: poiché il cosiddetto programma del movimento è valido nei suoi fini, tuttavia nel formularsi dovette pensare a caratteristiche psicologiche, potrebbe quindi, a lungo andare, nascere l'idea che certi propositi si possono formulare diversamente. Ma ogni prova di differente formulazione porta ad un insuccesso. Perché con essa si tralascia la discussione, cosa che dovrebbe restare ferma ed indistruttibile. E la discussione, quando un solo argomento perde la certezza, non forma certamente una ulteriore certezza migliore, ma porta a dispute interminabili e ad un disorientamento totale.

In questo caso bisogna sempre considerare che cosa sia migliore: un'espressione nuova e più felice, che dia motivo ad una chiarificazione all'interno del movimento, o una formula, forse non ottima, ma che rappresenti un organizzazione chiusa, indistruttibile e unita. Ogni prova dimostrerà che è preferibile il secondo tra questi due casi. Perché dove si tratti, nei rivolgimenti, solo superficiali, tali modifiche sembreranno sempre desiderabili e possibili. Ma alla fine, vista la superficialità degli uomini, c'è sempre un grosso rischio, che gli individui riconoscano nell'espressione solo superficiale di un programma la missione fondamentale di un movimento. E con ciò si indebolisce la volontà e la capacità di lottare per l'idea e la opera che dovrebbe rivolgersi all'esterno si perde in lotte programmatiche interne. In una dottrina che in generale sia valida, è meno rischioso mantenere una formula, anche se non corrisponde completamente alla realtà, che abbandonare una legge di base del movimento, fino a oggi ritenuta ferrea, alla disputa generale con i suoi pessimi effetti; ciò poi è addirittura impossibile fino a che un movimento lotta per il trionfo. Poiché, come si può inculcare ad altri cieca fede nella precisione di una dottrina se con continue modifiche fatte alla struttura esterna di quella si sparge la perplessità e il dubbio?

L 'importante non deve essere mai ricercato nell'espressione superficiale, ma solo nel significato profondo. Questo significato profondo non varia, e a suo vantaggio si può solo desiderare che il movimento, allontanando ciò che decompone e provoca dubbio, trovi la forza indispensabile al buon esito. Pure su questo punto la Chiesa cattolica ci è maestra. Anche se la sua costruzione dottrinale è su molti argomenti in lotta con le scienze positive e con l'indagine scientifica, essa non è disposta a modificare neanche una parola dei suoi insegnamenti. Si è accorta che la sua capacità di resistenza non sta in un adeguamento più o meno grande ai passeggeri risultati della scienza, in pratica eternamente soggetti a cambiamenti, ma nel mantenere saldi i dogmi, stabiliti e fissati, i quali danno al tutto il carattere d'una fede. E quindi è attualmente più forte che mai. Si può presagire, che mentre i fenomeni passano, essa, punto fisso nei fenomeni oscillanti, avrà sempre più ciechi adepti. Chi dunque vuole realmente e seriamente la vittoria di un'idea nazionale, deve riconoscere che per attuare questa vittoria è necessario un movimento adatto alla lotta e che questo movimento resterà incrollabile. Soltanto sul fondamento di una indistruttibile certezza e saldezza del suo programma. Il movimento non deve assoggettarsi a fare concessioni, formulando il suo programma, alla mentalità dell'epoca, ma quando ha trovato un'espressione buona, deve mantenerla sempre o almeno fin quando abbia ottenuto il trionfo. Prima del trionfo ogni prova di dare spiegazioni o fare discussioni sull'uno o l'altro argomento del programma distrugge l'unità e la capacità di lotta del movimento nella Misura in cui i suoi adepti parteciparono ad una tale discussione interna. Poiché' non è provato che una modifica oggi fatta, non possa essere già domani criticata di nuovo, per trovare dopodomani una sostituzione migliore. Chi toglie i confini, apre una via di cui si conosce il principio, ma che finisce in un mare senza rive.

Questa fondamentale cognizione deve essere apprezzata nel movimento nazional-socialista. Il partito operaio tedesco nazional-socialista si formò, col suo programma in 23 massime, un fondamento che deve essere indistruttibile. Mansione degli attuali e futuri componenti del nostro movimento non può essere la modifica di quelle tesi, ma il lasciarle inalterate. Altrimenti, la prossima generazione. potrebbe, con lo stesso diritto, sciupare la propria forza in una simile opera solamente formale all'interno del partito, invece di fornire al movimento nuovi adepti e perciò nuove forze. Per la grande moltitudine dei nostri adepti il significato profondo del nostro movimento si troverà meno nell'esattezza delle nostre massime che nel significato che noi siamo capaci di dar loro. A queste concezioni il nuovo movimento dovette prima di tutto il suo appellativo, in corrispondenza con essi fu in seguito formato il suo programma e in essi si basa la maniera della sua diffusione.

Per portare in trionfo le concezioni nazionali, si dovette costituire un partito del popolo, un partito formato non soltanto di dirigenti intellettuali ma anche di lavoratori. Ogni prova di attuare la concezione nazionale senza una tale organizzazione battagliera sarebbe attualmente, come fu in passato e sarà in avvenire, destinata ad un esito negativo. Il movimento ha non soltanto il diritto ma il dovere di sentirsi modello e rappresentante di quella concezione. Come la concezione di base del movimento nazional-socialista è nazionale, così le concezioni nazionali sono nazionalsocialiste. Però il nazional-socialista se vuole vincere deve constatare ciò e attenersi a questa constatazione con fermezza. Anche in questo caso ha non soltanto il diritto ma il dovere di far prevalere il fatto che ogni prova di rappresentare la concezione nazionale all'esterno del partito operaio tedesco nazional-socialista è impossibile e di più imbrogliona. Se attualmente qualcuno rimprovera al nostro movimento di comportarsi come se "avesse fatta sua " la concezione nazionale, gli deve rispondere solo cosi: "non solo l'ha fata sua ma l'ha formata per la realtà ". Perché quello che fino ad ora si intende con quest'idea, non era adatto ad avere il più piccolo influsso sul futuro della nostra popolazione, essendo tutti questi concetti privi di una precisa formulazione. Nella maggior parte erano cognizioni isolate, senza legame fra loro, più o meno giuste e sovente si contraddicevano, e non mai completamente collegate fra loro: tanto fragile che non si sarebbe mai potuto costruire su di esse un movimento. Solo il movimento nazional-socialista fu capace di fare ciò.

Se attualmente tutte le leghe e le associazioni, i gruppi e i gruppetti e anche i "grossi partiti " vogliono chiamarsi "nazionali " questo è già un risultato del movimento nazional-socialista. Senza la nostra opera a tutte quelle organizzazioni non sarebbe mai venuta l'idea di pronunciare il termine "nazionale ", non si sarebbero messe queste etichette, e specialmente i loro dirigenti, non si sarebbero mai trovati d'accordo con questa idea. Soltanto la nostra opera ha trasformato quest'idea in un termine colmo di contenuto, che ora è sulla bocca di ogni tipo di individui. Specialmente il nostro movimento nel suo efficace lavoro di propaganda, dimostrò e documentò la forza dell'idea nazionale cosicché, anche gli altri, se vogliono procurarsi seguaci, si trovano obbligati a volere le medesime cose, o a far finta di volerle. Tali partiti, che fino ad ora assoggettarono tutto ai loro gretti interessi elettorali, anche attualmente si servono dell'idea nazionale, solo come d'una parola d'ordine superficiale, vuota, con cui provano a indebolire la forza di adesione che il nostro movimento ha, arruolando i loro stessi adepti.

Perché solo il pensiero di durata e il terrore dell'accrescimento del nostro movimento, spinto da una nuova idea, movimento di cui intuiscono il valore universale e la rischiosa esclusività, fa pronunciare loro parole che otto anni fa ignoravano, sette anni fa deridevano, sei anni fa ritenevano idiote, cinque anni fa combattevano, quattro anni fa odiavano, tre anni fa perseguitavano, e infine, due anni fa accettarono e unendole al loro precedente tesoro di termini, usarono come urlo di battaglia nella lotta.

Ancora attualmente è utile far notare che tutti questi partiti non hanno la minima cognizione di quello che serve al popolo tedesco. Ne è prova definitiva la superficialità con cui pronunciano il termine "nazionale ". Non meno rischiosi sono quelli che pretendendo di essere nazionali, vanno in giro creando piani fantasiosi, e di più non avendo come base altro che qualche idea fissa, che per se stessa potrebbe essere valida ma che non essendo collegata ad altra è inadatta all'educazione di una grande, unita comunità di combattenti e ancor meno alla costruzione di essa. Queste persone che in parte con concetti propri, in parte con ciò che ha letto, delineano malamente un programma sono sovente più rischiosi degli avversari noti dell'idea nazionale. Nel caso migliore, sono teorici infecondi, ma per di più sono pericolosi spacconi e spesso pensano di poter nascondere, portando una lunga barba e dandosi l'atteggiamento di antichi Germani, la fatuità spirituale e ideale del loro comportamento e delle loro capacità. Perciò, per combattere questi vani tentativi, è bene ricordarsi l'epoca in cui il nuovo movimento nazional-socialista cominciò la sua lotta.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo VI

La prima grande riunione del 24 febbraio 1920 nel Salone della Birreria di Corte non aveva ancora spento i suoi echi e già iniziava la preparazione della seguente. Mentre prima sembrava rischioso il tenere, in una città come Monaco mensilmente o ogni quindici giorni una piccola riunione, adesso doveva aver luogo settimanalmente una vasta adunanza di masse.

Noi eravamo presi dal terrore: parteciperebbe gente? Ci ascolterebbe? lo personalmente avevo già a quel tempo la ferrea sicurezza che le persone, una volta venute, si sarebbero fermate e avrebbero sentito il discorso. Allora, il Salone della Birreria di Corte a Monaco, per noi nazional-socialisti, acquistò un valore quasi sacro. Ogni settimana una riunione, quasi sempre in quel luogo e ogni volta la sala era più piena e il pubblico più interessato. Cominciando dalla responsabilità della guerra, a cui allora nessuno pensava, e passando per i trattati di pace, si parlò di tutto ciò che era necessario ad esaltare gli animi e a propagandare le idee. Grande e speciale attenzione fu data ai trattati di pace. Molte cose profetò allora il nuovo movimento alle grandi masse e quasi sempre ha colto il segno. Attualmente non è difficile parlare o scrivere di tali argomenti. Ma a quel tempo una pubblica assemblea di masse in cui c'erano non piccoli borghesi, ma proletari agitati, e dove si parlava sul tema: "il trattato di pace di Versailles " aveva il significato di un attacco alla Repubblica e un carattere di mentalità reazionaria anche se non monarchica. Già alle prime parole che erano una critica della pace di Versailles, si poteva essere certi di sentirsi contestare con il convenzionale grido: "E Brest-Litowsk? ". E la moltitudine si metteva a far chiasso, finché non aveva più voce e chi parlava rinunciava al tentativo di convincere.

Si sarebbe voluto sbattere il capo contro il muro, per disperazione di un tale popolo! Esso non voleva sentire né comprendere che Versailles era uno scandalo e un insuccesso umiliante, che quel trattato era un inconcepibile ladrocinio del nostro popolo. L'opera disgregatrice del marxismo e la propaganda avvelenatrice degli avversari aveva levato il senno a quelli. E non si aveva neanche il diritto di lamentarsi. Perché quanto era immane la colpa dell'altra parte! Cosa aveva fatto la borghesia per mettere fine a quella terribile corrosione, per combatterla, specificando meglio le cose, facilitare la strada alla verità? Nulla, nulla. Allora io non li ho mai visti, i grandi apostoli attuali della nazione. Forse discutevano in piccoli gruppi, nelle sale da tè, o nei circoli con quelli che avevano le stesse idee, ma lì dove avrebbero dovuto essere, fra i lupi, non si arrischiavano mai: a meno che trovassero motivo di urlare coi lupi. lo però notavo allora chiaramente che per il piccolo gruppo di cui in principio si formò il movimento doveva essere controllato e chiarito il problema della colpa della guerra per stabilirne la verità storica. Il fatto che il nostro movimento permettesse alla moltitudine di conoscere il trattato di pace, era una premessa al futuro buon esito del movimento. Allora le masse riconoscevano ancora in quella pace una vittoria della democrazia, quindi ci fu bisogno di combattere questa convinzione e inserirsi nelle menti delle persone come avversario di quel trattato, in modo che in seguito, quando la cruda verità ne dimostrasse tutta l'odiosità, la memoria della posizione da noi presa ci conquistasse la fiducia del popolo. Già allora nei problemi importanti in cui la mentalità generale percorreva una strada sbagliata, io, senza preoccuparmi della popolarità, dell'odio, dell'avversione, mi misi contro quella. Il partito nazional-socialista non doveva essere l'usciere ma il Signore dell'opinione pubblica! Non schiavo ma padrone della moltitudine! Com'è normale, per un movimento ancora fragile esiste il desiderio di comportarsi come si comporta il nemico che è più forte e che è stato capace con la sua forza di persuasione di spingere il popolo a decisioni pazze, o ad un comportamento sbagliato.

Questo desiderio è forte specialmente quando è dettato da particolari motivi sia pure errati, nell'utilità del giovane movimento. L'indolenza degli uomini cerca allora con tanto zelo tali motivi, e spesso ne trova qualcuno e crede che ci sarebbe un po' di ragione per partecipare anche dal proprio modo di vedere al crimine commesso dal nemico. In alcuni casi a me fu necessaria una forza suprema per non permettere che la nave del nostro movimento, seguisse la corrente fatta ad arte, la corrente generale.

L'ultima volta, quando la nostra dannata stampa, alla quale non interessa affatto la nazione, riuscì a dare al problema dell'Alto Adige un valore che doveva essere fatale al popolo tedesco, privi di partiti e di padroni, molte persone riflettenti associazioni cosiddette nazionali, solo per paura dell'opinione pubblica, incitata dagli ebrei, si associarono al chiasso generale e stupidamente cooperarono a facilitare la lotta contro un movimento di cose che proprio a noi tedeschi deve sembrare, nella condizione attuale, come il solo raggio di luce in un mondo che tramonta. Mentre il mondo ebraico internazionale ci disgrega a poco a poco ma sicuramente, i nostri cosiddetti patrioti gridano contro un individuo e contro un movimento che ebbero il coraggio, almeno in un posto sulla terra, di sottrarsi alla tenaglia ebraico-massonica e mettere contro una resistenza nazionalistica all'inquinamento internazionale del mondo. Ma era troppo affascinante, per caratteri fragili, girare la vela a seconda del vento e arrendersi di fronte alle grida della mentalità generale.

Perché fu in pratica una resa! Forse la malvagità umana, l'abitudine a mentire non lo ammetteranno, forse alcuni lo negheranno anche di fronte a se stessi: ma sicuro è questo, che solo la viltà, il timore del popolo incitato dagli ebrei portò certe persone ad unirsi a quelli che urlavano. Tutte le altre ragioni riportate non sono altro che compassionevoli scuse di piccoli peccatori consci del loro sbaglio. Ci fu bisogno allora di raddrizzare con un colpo energico il movimento, per non permettere a questo orientamento di distruggerlo. Certamente, non si acquista una buona fama col tentare un tale raddrizzamento nel momento in cui l'opinione generale, incitata da tutti i capi, avvampa come una grossa fiamma in un solo verso: spesso si corre il rischio di perire.

Ma nella Storia, non poche persone furono, in occasioni simili, lapidati per un gesto di cui i posteri li ringraziarono in ginocchio. Ma un movimento deve pensare ai posteri, non al successo presente. È possibile che in momenti come questo ognuno passi ore di disperazione, ma costui non deve scordare che dopo viene la liberazione e che un movimento che vuole rinnovare il mondo deve servire non al momento che passa ma all'avvenire. A questo proposito si può notare che in genere i più grandi e più durevoli successi della Storia sono quelli che al principio non furono compresi, perché erano opposti alla mentalità comune, con i punti di vista e i desideri di questa.

Ciò provammo già allora, nei primi tempi della nostra apparizione. In realtà non abbiamo cercato il plauso della moltitudine, ma abbiamo combattuto, in ogni luogo, la pazzia del nostro popolo. Quasi sempre in quel periodo succedeva questo: io mi presentavo a un'adunanza di uomini che credevano al contrario di ciò che io desideravo dire, che desideravano il contrario di ciò che io credevo. Allora per tre o quattro ore cercavo di far mutare idea a due o tre mila uomini, distruggevo a colpo a colpo le basi delle loro opinioni e infine li dirigevo nel campo della nostra convinzione, della nostra idea.

Allora appresi in poco tempo un fatto fondamentale, cioè togliere subito dalle mani dell'avversario le armi della obiezione. Ci si accorse presto che i nostri nemici, particolarmente nella persona dei loro oratori che guidavano la disputa usavano un "repertorio " stabilito. con cui combattevano le nostre affermazioni con alcune repliche sempre pronte. La compattezza di questa maniera di discutere era data dal fatto che quelli avevano avuto una educazione compatta e conscia della sua meta. Ed era realmente così. Potemmo qui accorgerci della impensabile disciplina della propaganda dei nostri nemici, attualmente sono ancora orgoglioso di aver trovato il modo di rendere inefficace tale propaganda e di vincere con essa quelli che la facevano.

Solo due anni dopo io conoscevo completamente quella arte. Fondamentale era chiarire prima di cominciare e per ogni discorso, sul momento supposto e sulla caratteristica delle obiezioni che ci si potevano aspettare nella disputa, per parlarne e combatterle già nel mio primo discorso. A tale scopo era necessario citare già tutte le eventuali repliche e dimostrarne l'infondatezza; così l'ascoltatore di buona fede (anche se già pieno delle repliche che gli erano state insegnate) era facilmente reso disponibile, grazie all'anticipata esclusione delle opinioni inculcate nella sua mente. L'argomento insegnatogli restava confutato da sé ed egli diventava sempre più attento al mio discorso. Per questi motivi, io già dopo il mio primo discorso sul "Trattato di Versailles ", che ancora come istruttore avevo tenuto davanti all'esercito, cambiai titolo e argomento e trattai di "Trattati di Brest-Litowsk e di Versailles ".
Poiché fin dal principio, fin dalle dispute che tennero dietro a quel mio primo discorso, potei notare che gli uomini in realtà erano completamente all'oscuro del trattato di Brest-Litowsk, mentre l'astuta propaganda dei partiti era riuscita a presentare come uno dei più vergognosi atti di aggressione del mondo. È dovuto alla testardaggine con, cui fu sempre riportata alla moltitudine questa bugia, il fatto che milioni di tedeschi abbiano riconosciuto nel trattato di Versailles come la giusta punizione del crimine da noi commesso a Brest-Litowsk e, colmi di sdegno, abbiano, giudicata ingiusta ogni lotta contro Versailles. E questo fu, anche il motivo per cui poté avere il diritto di circolare in Germania, il termine tanto spudorato quanto mostruoso di "riparazione ".

Questa bugia, questa falsità, sembrò a milioni di nostri eccitati concittadini, il compimento di un'elevata giustizia. È mostruoso, ma fu così. Lo documenta il buon esito della propaganda da me cominciata contro il trattato di Versailles, alla quale premisi un chiarimento del trattato di Brest-Litowsk. Paragonai fra loro i due trattati di pace, riga per riga, dimostrai che l'uno era di una immensa umanità a confronto dell'immane ferocia dell'altro: il risultato fu miracoloso. Trattai allora quest'argomento in un'adunanza di duemila persone, al cospetto, talvolta di mille e ottocento ascoltatori contrari. E tre ore dopo avevo davanti a me una moltitudine piena di sacro furore e indignazione. Una grande bugia era stata tolta dal cuore e dalla mente di una massa formata di migliaia di uomini, e al suo posto era stasa messa una verità. I due discorsi su "le vere cause della guerra mondiale " e sui "trattati di pace di Brest-Litowsk e di Versailles ", furono da me ritenuti allora i più importanti di tutti; perciò li ripetei, cambiandone la forma, dozzine di volte. Così, almeno su questi argomenti, si diffuse una certa stabilita idea, precisa e unitaria, fra gli individui, da cui il nostro movimento tolse i primi suoi componenti. Queste assemblee avevano inoltre, per me, il vantaggio di formarmi lentamente come un vero oratore di comizio: mi assuefeci al rituale da adunanza e ai gesti utili in grossi locali, che contenevano migliaia di uomini. A quell'epoca (all'infuori, come dissi, in piccoli circoli) non vidi nessun partito istruire il popolo in questo modo: nessuno di quei partiti che oggi parlano come se fossero stati loro a fare una modifica nella opinione generale. Ma ciò che allora aveva valore non era questo, ma soltanto per acquistarsi il consenso, con la propaganda e le delucidazioni, uomini che finora la loro educazione ed il loro temperamento aveva trattenuto tra gli avversari. Anche il foglio volante ci servi per questa propaganda. Già da militare avevo scritto un foglio volante dove erano paragonati i trattati di Brest-Litowsk e di Versailles; quel foglio fu diffuso in gran quantità di copie. In ,seguito lo utilizzai per il partito, anche in questo caso con buon esito. Le prime assemblee erano contrassegnate dal fatto che le tavole erano ricoperte da ogni tipo di fogli volanti, giornali, libretti, ecc. Però, il valore massimo veniva (lato alla parola. Questa solo è capace di portare a grandi modifiche e ciò per ragioni generali di carattere psicologico. Tutti gli straordinari avvenimenti che cambiarono l'aspetto del mondo furono attuati non con gli scritti, ma con le parole. Su ciò si fece in parte della stampa, una lunga disputa nella quale, si capisce, le nostre acute menti borghesi., avversarono violentemente la mia tesi. Ma già il motivo per cui ciò accadde confuta gli indecisi. L 'intelligenza borghese espresse la propria disapprovazione su quell'idea solo perché, è chiaro, è priva di forza e di capacità di avere autorità con la parola sulla moltitudine; perciò essa si è servila sempre più dell'opera di scrittori e ha rinunciato a orazioni veramente istigatrici.

Ma, col tempo, questo uso, porta inevitabilmente a ciò che oggi è tipico della nostra borghesia, cioè la perdita dell'intuizione psicologica per operare ed influire sulla folla. L'oratore riceve dalla massa stessa a cui si rivolge una continua rettifica del suo discorso stesso, perché dal viso degli ascoltatori può sapere se e quanti di essi possono capire ciò che egli afferma e se le sue parole producano il risultato e l'impressione voluta. Al contrario, lo scrittore non conosce i suoi lettori. Quindi egli non tende a priori ad una prestabilita massa umana trovantesi di fronte a lui e parla in maniera vaga.

Con ciò perde, fino ad un certo punto, l'acutezza psicologica e l'elasticità. E perciò un bravo oratore sa scrivere meglio di quanto un bravo scrittore sappia parlare, a meno che lo scrittore faccia continuamente dei discorsi. Si aggiunga che la folla in se è indolente, resta legata ai vecchi usi e non prende mano volentieri da sola agli scritti, se questi non corrispondono a quello che essa pensa e non contengono quello che essa desidera. Perciò uno scritto di una data tendenza, è, per lo più, letto, da chi ha attrazione per quello. Tutt'al più un foglio volante o un manifesto può, per la sua brevità, sperare di trovare per un attimo attenzione presso chi ha un'altra idea. Maggiore possibilità ha l'immagine in tutte le sue caratteristiche, compreso il film. In questo caso c'è ancora meno bisogno di usare l'intelligenza: è sufficiente guardare, tutt'al più leggere piccoli testi: per questo molti accettano più di buon grado una spiegazione data con l'immagine che di leggere un lungo libro. L'immagine dà, in poco tempo, quasi di colpo, spiegazioni e cognizioni che lo scritto permette di ricevere solo da una noiosa lettura.

Ma fondamentale è questo, che non si sa mai in quali mani arrivi uno scritto: e tuttavia deve mantenere la sua prestabilita compilazione. Normalmente l'impressione è tanto più grande quanto più questa compilazione corrisponde al grado intellettuale e alla mentalità di coloro che lo leggeranno. Un libro scritto per grandi masse deve perciò tentare di operare, con lo stile e con l'elevatezza di concetti, in altra maniera che uno scritto destinato a classi superiori. Solo in questo tipo di capacità di adattamento il libro opera quasi come la parola. L'oratore può parlare dello stesso argomento di un libro, ma se è un brillante e dotato oratore popolare, non riporterà mai due volte, nella medesima forma lo stesso argomento, lo stesso contenuto d'idea. Si lascerà sempre guidare dalla grande folla in modo che gli vengano e gli scorrano con semplicità proprio quelle parole di cui ogni volta ha bisogno per toccare il cuore degli ascoltatori. Se erra, ha sempre di fronte a sé la rettifica vivente.

Come affermai, egli può vedere nel cambiamento di espressioni dei suoi uditori se essi capiscono ciò che dice, se possono seguire l'argomentazione complessiva e se siano persuasi che ciò che sentono è giusto. Se l'oratore si accorge che non lo capiscono, ripeterà le sue affermazioni in maniera più facile e precisa, in modo che anche il meno intelligente le possa apprendere. Se vede che i suoi ascoltatori non riescono a stargli dietro, manifesterà le sue idee con tanta saggezza e lentezza che neanche il più povero di spirito resti indietro. E se gli sembrerà che gli ascoltatori non siano convinti dell'esattezza di quello che hanno sentito, ripeterà molte volte, con nuovi esempi i suoi argomenti, dirà egli stesso le repliche non fatte e le confuterà e dividerà finché l'ultimo gruppo di oppositori dimostri, col suo modo di fare e col cambiamento delle espressioni, che si è arreso d fronte alle prove portate dall'oratore.

Spesso bisogna abbattere, nelle persone, preconcetti non basati sulla ragione ma inconsci, fondati solo sul sentimento. Il distruggere questo muro di istintivo odio, di avversione sentimentale, di dissenso prevenuto è di molto più difficile che correggere un'idea scientifica difettosa e sbagliata. Convinzioni false o cultura errata possono essere eliminate dall'insegnamento: la forza del sentimento no. In questo caso può essere utile solo un appello a queste forze nascoste; e questo appello può farlo l'oratore, mai lo scrittore.

Ne è documento risolutivo il fatto che, a dispetto di una stampa borghese, molto ben fatta, diffusa in milioni di copie fra il nostro popolo, la moltitudine diventò nemica dichiarata proprio del mondo borghese. La pioggia di giornali, tutti i testi pubblicati di anno in anno dagli intellettuali, cadono sui milioni di individui delle classi più basse come l'acqua sul cuoio unto d'olio. Ciò dimostra che uno di questi due fatti o che la materia di tutti questi libri del mondo borghese è bugiarda, o che non si può giungere solo con gli scritti al cuore della grande massa. Specialmente se tali scritti sono psicologicamente così imperfetti come è accaduto finora. Non si contesti (come cercò di fare un grande giornale tedesco-nazionale di Berlino) che è dimostrato il contrario di questa tesi col fatto che il marxismo ebbe una vasta influenza coi suoi scritti, specialmente con l'opera fondamentale di Carlo Marx. Questo significa solo appoggiare nella maniera più superficiale un'idea sbagliata. Ciò che permise al marxismo una incredibile influenza sulle masse, non fu il pregio formale, scritto, di condizioni ebraiche, ma la miracolosa propaganda verbale che col passar del tempo conquistò la' grande massa.

In media su centomila operai tedeschi neanche cento hanno letto quel libro, che fu mille volte più studiato dagli intellettuali e specialmente dagli ebrei, che da veri adepti di quel movimento, provenienti dalle classi più basse. D'altra parte, Il Capitale non fu scritto per le grandi masse, ma soltanto per la direzione intellettuale della organizzazione ebraica per la conquista del mondo; organizzazione che poi, fu riscaldata con tutt'altra materia: con la stampa. Perché questo è ciò che contraddistingue la stampa marxista da quella borghese: la stampa marxista è scritta da istigatori, quella borghese vorrebbe attuare l'agitazione per mezzo di scrittori.
Il redattore social-democratico, che quasi sempre arriva in redazione dal locale delle assemblee, conosce benissimo i suoi polli.

Lo scrittorucolo borghese invece, che esce dalla sua stanza di lavoro per presentarsi alla massa, s'ammala già per l'odore della folla e i suoi scritti non gli sono affatto utili. Ciò che rese ben disposti al marxismo milioni di lavoratori non è tanto lo stile dei dotti marxisti quanto l'inesauribile e veramente formidabile opera di propaganda di decine di migliaia d'instancabili agitatori, dal grande apostolo incitatore, fino al piccolo dirigente di sindacato, all'uomo di fiducia e all'oratore di comizio.

Oltre a ciò, le centinaia di migliaia d'assemblee, dove questi oratori del popolo, saliti sul tavolo di osterie piene di fumo, ripeterono le loro concezioni alla folla, diedero loro una meravigliosa cognizione del materiale umano e furono capaci di scegliere le armi migliori per assalire la fortezza dell'opinione pubblica. E furono utili anche al socialismo le grandissime dimostrazioni di massa, quelle schiere di centomila uomini che diedero al piccolo individuo meschino la certezza di essere sì un piccolo venne, ma nello stesso tempo un componente di un grosso drago, sotto l'alito bruciante del quale l'odiato mondo borghese andrebbe un giorno in fiamme e la dittatura proletaria otterrebbe il trionfo finale.

Da una tale propaganda vennero fuori individui pronti e preparati a leggere scritti socialdemocratici: scritti che, alla loro volta non sono stampati, ma parlati. Poiché, mentre, nel settore borghese, professori e uomini colti, teorici e scrittori di ogni tipo talvolta cercarono di parlare, nel marxismo, gli oratori cercano spesso anche di scrivere. E proprio l'ebreo, che qui si presenta sovente, generalmente e grazie alla sua falsa capacità e classicità dialettica ha, pure come scrittore, fin l'aspetto di un oratore rivoluzionario che quello di una persona che scrive. Per questa ragione il campo giornalistico borghese (non considerando il fatto che anch'esso è in gran parte ebraicizzato e perciò non trova utilità nell'impartire giuste istruzioni alla grande moltitudine) non può influire affatto sulla mentalità dei più estesi, ceti del nostro popolo.

È difficile cancellare prevenzioni sentimentali, condizioni d'animo, mentalità e sostituirli con altri; il buon esito dipende da situazioni e influssi impensabili: l'oratore di intuito sensibile può calcolare tutto questo da ciò, anche l'ora del giorno in cui il discorso avviene ha un influsso determinante sull'esito di questa. Il medesimo discorso, il medesimo oratore, lo stesso argomento danno risultati diversissimi alle dieci di mattina, alle tre del pomeriggio, e di sera. Anch'io, agli inizi, stabilii assemblee per le ore mattutine; rammento, specialmente, una manifestazione, che facemmo, nelle cantine Kinde di Monaco, per protestare contro la schiavitù di alcuni stati tedeschi. A quell'epoca, quello era il locale più grande di Monaco. Per facilitare l'avvento a quelli che erano favorevoli al partito e a tutti quelli che volevano essere presenti, stabilii la riunione per le 10 antimeridiane di una domenica. La conseguenza fu umiliante, ma anche molto educativa: il locale fu pieno di impressione profonda, ma lo stato d'animo freddo! Nessuno si entusiasmò, e anch'io, come oratore mi sentii profondamente addolorato di non essere stato capace di stabilire un'intesa col pubblico. Penso di non aver mai parlato peggio di allora, ma il risultato sembrò negativo. Completamente scontento anche se arricchito di un'ulteriore esperienza, uscii dal locale. In seguito ripetei prove di questo tipo, ma sempre con lo stesso effetto. Di questo nessuno deve stupirsi. Ci si rechi a teatro e si assista ad una commedia alle 3 di pomeriggio e alle 8 di sera, e si resterà meravigliati dell'impressione e dell'effetto. Un individuo di intuito sensibile, che sappia spiegarsi questa diversa condizione di spirito, si accorgerà che la rappresentazione fa minore impressione di giorno che di sera.

E ciò è valido anche per uno spettacolo cinematografico: cosa fondamentale, poiché per il teatro si potrebbe affermare che di giorno l'attore non si sforza tanto quanto di sera, mentre il film è sempre lo stesso, tanto nel pomeriggio quanto alle 9 di sera. No, in questo caso, è il tempo, l'ora, che influisce in un dato modo come su me influisce lo spazio, la sala. Certe sale lasciano insensibili, per ragioni difficili da capire e impediscono di creare un'atmosfera favorevole. Inoltre certe memorie, o idee di tradizione, che sono insite nella persona, possono esercitare un influsso sull'impressione prodotta.

Così, una rappresentazione di Parsifal produrrà in Bayrenth un'impressione diversa che in nessun altro posto del mondo. Il fascino segreto del teatro "sul colle della pasta " nell'antica città del Margravio non può essere paragonato o sostituito da altro. In tutti questi casi si tratta di esercitare un'influenza sulla libertà della volontà degli uomini: ciò è valido specialmente per le adunanze dove ci sono persone di contrarie volontà, che devono essere persuase ad una nuova volontà. La mattina e durante il giorno, sembra che le forze della volontà umana si ribellino con massima energia ad ogni prova di imposizione della volontà o dell'idea dell'altro: di sera invece si assoggettano facilmente all'autorità di una volontà superiore Perché, in pratica, ognuna di queste adunanze costituisce una lotta fra due forze contrarie. Le qualità oratorie di un carattere di un apostolo e di dominatore saranno più capaci di convincere alla nuova volontà individui naturalmente più indeboliti nella loro capacità di resistenza, che individui ancora nel completo possesso delle loro facoltà volitive e intellettuali.

A questo scopo è utile pure l'artificiale e segreta semioscurità delle chiese cattoliche, i ceri accesi, l'incenso, il turibolo, ecc. Nella battaglia fra l'oratore e il nemico da convincere, l'oratore si guadagnerà per fasi quella meravigliosa intuizione delle condizioni psicologiche della propaganda di cui è privo quasi sempre chi scrive. Lo scritto, in genere, per il suo risultato ristretto, serve invece a mantenere, a rinvigorire e approfondire un'opinione, un modo di pensare già esistente, un'opinione in atto.

Tutti i capovolgimenti storici veramente grandi non furono provocati dagli scritti: furono, tutt'al più uniti ad essi. Non si deve pensare che la rivoluzione francese avrebbe potuto aver luogo, se non avesse avuto un esercito di incitatori, diretti da demagoghi di grande valore, che frustarono e accesero le passioni del popolo afflitto finché ne conseguì quella terribile cultura vulcanica, che spaventò tutta l'Europa. Così anche, la più grande rivoluzione della nostra epoca, quella bolscevica in Russia non fu prodotta dagli scritti di Lenin, ma dall'opera oratoria che diffondeva odio, di moltissimi grandi e piccoli apostoli aizzatori. La moltitudine di analfabeti russi non fu affascinata dalla rivoluzione comunista leggendo le teorie di Carlo Marx ma dalle promesse di felicità fatte al popolo da migliaia di incitatori, soggetti a un'idea. È sempre stato così, e sempre sarà così. È adeguato ai nostri incorreggibili intellettuali, uomini che vivono al di fuori della realtà, il pensare che lo scrittore debba inevitabilmente, avere più spirito che l'oratore. Questa visione dei fatti è manifestata benissimo da una critica del giornale nazionale di cui ho già parlato, il quale nota che sovente si prova una grossa delusione leggendo il discorso di un grande oratore. Ciò mi ricorda un'altra critica che mi capitò tra le mani nel periodo della guerra.

Essa faceva un esame particolareggiato dei discorsi di Lloyd George, a quel tempo ministro delle armi e arrivava alla comica constatazione intellettuale e scientifica, che generalmente il loro argomento era volgare e non originale. Mi capitarono allora fra le mani, alcuni di quei discorsi, sotto forma di opuscolo, dovetti ridere del fatto che un comune scrittorucolo tedesco non capisse affatto quelle opere psicologiche eccellenti sull'arte di dominare la folla. Questo scrittorucolo valutava quei discorsi soltanto dall'effetto che producevano sulla sua insensibilità, mentre il grande demagogo inglese tendeva esclusivamente a produrre una grande impressione sulla moltitudine dei suoi uditori e su tutto il popolo inglese dei ceti bassi. Considerati sotto questo aspetto, i discorsi di quell'inglese erano stimabili, perché attestavano una stupefacente conoscenza dell'animo delle grandi classi popolari. In pratica ebbero un risultato eccezionale.

Si paragoni con essi l'inutile balbettio di un Bethmmann-Hollweg. In superficie i discorsi di quest'ultimo erano più dotati di spirito, ma in pratica dimostravano l'incapacità di Bethmmann-Hollweg di comunicare col suo popolo, che non conosceva. E tuttavia, la mente da uccellino di uno scrittore tedesco dotato certamente di una elevata erudizione scientifica, riconosce il pregio spirituale del ministro inglese dall'effetto che un discorso tendente ad influire sulla folla provoca sulla sua mente inaridita nella scienza pura e lo confronta a quello di un uomo di stato tedesco le cui futili parole briose trovano in lui un terreno adatto.

Lloyd George non è solo uguale, ma mille volte più dotato di un Bethmmann-Hollweg, come è reso evidente anche da questo, che i suoi discorsi gli aprivano il cuore del suo popolo e finirono col permettere che quel popolo fosse soggetto al suo desiderio.

Proprio nella naturalezza delle sue parole, nella novità delle sue frasi, nell'uso di esempi intellegibili, facili da capire sta la prova della superiore qualità politica di quell'inglese. Perché non si deve valutare il discorso di una persona di Stato alla sua popolazione dall'effetto che ha su un professore universitario ma dall'impressione che produce sulla popolazione. La mirabile evoluzione del nostro movimento che solo pochi anni fa venne fatto dal niente e attualmente è già considerato degno di essere duramente perseguitato da tutti gli avversari interni ed esterni della nostra nazione, si deve al continuo riconoscimento e applicazione di queste cognizioni.

Per il nostro movimento, gli scritti hanno valore, ma, nella condizione attuale, sono utili soprattutto per formare un'educazione eguale e senza dislivelli ai dirigenti alti e bassi e a rendere favorevoli moltitudini nemiche. Non avviene spesso che un social-democratico persuaso e un comunista entusiasta acquisti un opuscolo o un libro nazionalsocialista, lo legge, e si costituisca con esso un'idea della nostra concezione del mondo, o studi la critica della sua. Anche i giornali che non fanno parte del partito vengono letti raramente.

D'altra parte, le letture, avvantaggerebbero poco: perché l'immagine generale di una sola copia di un giornale è così vaga che provoca un effetto così disorganico il quale non influisce affatto sul lettore casuale. E di individui obbligati a dare valore anche ad un solo soldo non si può pensare, che solo per desiderio di essere oggettivamente illuminati, si abbonino ad un giornale contrario.

Soltanto chi già fa parte di un movimento leggerà in maniera continuata il giornale del partito, specialmente per seguire costantemente il partito stesso. Ben diversamente avviene col foglio volante "parlato ". Specialmente se viene regalato, esso capiterà nelle mani di questo e di quello, e sarà letto con più piacere se nella soprascritta viene trattato con immagini un argomento di cui tutti si interessano. Forse il lettore, dopo aver guardato il foglio più o meno velocemente, si sentirà spinto ad una nuova visione, a nuove idee e la sua attenzione sarà richiamata su un nuovo partito. Ma in questo modo, anche nelle occasioni migliori, viene data solo una piccola spinta, non si forma però mai il fatto compiuto.

Perché il foglio volante può soltanto attrarre l'attenzione su un argomento e può destare impressione solo se è seguito da chiarimenti e istruzioni di base dati al suo lettore. E il dare è e resta mansione delle riunioni di moltitudini. L 'adunanza di masse è utile già per questo, che in essa l'individuo, che in principio, essendo soltanto sul punto di diventare un membro del giovane partito, si sente isolato e preso dal terrore di essere solo, vede per la prima volta lo spettacolo di una grande collettività e ne rimane incoraggiato e irrobustito. Un individuo, posto in una compagnia, o in un battaglione, circondato dai suoi commilitoni, si getterà più di buon grado nella lotta, che se fosse solo. Nelle masse si sente ben protetto, anche se vi fossero mille prove per pensare il contrario.

Le manifestazioni di massa non solo irrobustiscono l'uomo, ma lo legano e cooperano a formare lo spirito di corpo. L'individuo che, come primo membro di una nuova dottrina, è esposto, nella sua azienda e nella sua officina, a pericolosi intralci, ha necessità di essere irrobustito nella persuasione di essere componente e modello di una estesa collettività.

E soltanto una manifestazione di massa può dargli la certezza dell'esistenza di questa collettività. Se egli uscendo dalla piccola azienda o dalla grande industria, dove si sente così piccolo, entra per la prima volta in un'adunanza di moltitudini. L'adunanza di masse è utile già per questo uomini che pensano come lui, se è trascinato dall'affascinante fanatismo di altre tre o quattro mila persone quando ancora cerca la sua via, se il palese trionfo e il plauso di migliaia di uomini dimostrano che la nuova dottrina è valida e gli insinuano l'incertezza sulle idee sinora avute, allora egli stesso soggiace alla deduzione di quello che noi chiamiamo "fascino della massa ".

La volontà, la brama e anche l'energia di migliaia si ammassano su ogni singolo. La persona che è entrata indecisa e incerta nell'adunanza, ne esce convinta: è diventata componente di una comunità. Il movimento nazionalsocialista non deve mai tralasciare questo e non deve mai subire l'influenza di quei merli borghesi che sanno tutto, ma tuttavia hanno rovinato un grande Stato e la loro vita e l'autorità del loro ceto. Sì, sono colmi di capacità, tutto possono e tutto colpiscono: ma una sola cosa non hanno mai capita, la maniera di non permettere al popolo tedesco di cadere nelle mani del marxismo. In questo hanno fallito miseramente e il loro orgoglio è pari solo alla loro imbecillità. Questi non danno importanza alla parola parlata soltanto per questo che, grazie al Cielo, si sono persuasi che le loro ciarle rimangono del tutto prive di risultato.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo VII

lo li ho conosciuti, i profeti dell'idea della classe borghese e, lontano dallo stupirmi, capisco il motivo per cui essi non danno nessuna importanza alla parola parlata. Nel 1919, 1920 e 1921 sono stato presente ad adunanze cosiddette borghesi. Ebbero sempre su di me l'effetto che mi faceva da bambino l'olio di fegato di merluzzo che ero costretto ad ingoiare. Bisognava ingoiarlo, avrebbe fatto molto bene, ma aveva un sapore pessimo. Se il popolo tedesco fosse avvinto con lacci e spinto a forza in queste assemblee borghesi, se fino al termine di ogni manifestazione le porte fossero serrate e a nessuno fosse permesso di uscire, queste adunanze, potrebbero forse, tra qualche secolo, portare ad un esito positivo. Quanto a me, devo confessare sinceramente, che in questo caso non sarei più contento nella vita e non vorrei più chiamarmi tedesco. Ma siccome ciò, grazie al Cielo, non può avvenire, non è da meravigliarsi che la parte sana e incontaminata del popolo eviti le riunioni di folle borghesi, come il diavolo evita l'acqua benedetta.

Frequentai allora assemblee di democratici, di componenti del partito popolare e anche di membri del Centro Bavarese. Ciò che subito mi impressionava era lo stesso genere, la compattezza degli ascoltatori. Di tali assemblee facevano parte quasi esclusivamente gli iscritti al partito. Non c'era obbedienza e, in generale, ciò era simile più ad un circolo di annoiati giocatori di carte che all'adunanza di un popolo che da poco aveva fatto la sua maggiore rivoluzione. E gli oratori operavano in modo di mantenere queste pacifiche tendenze.

Pronunciavano, anzi nella maggior parte dei casi leggevano un discorso nella forma di un vivace articolo di giornale o di un trattato scientifico, evitavano i termini violenti e ogni tanto inserivano una professionale battuta comica, del quale il benemerito tavolo della presidenza, come era suo compito, rideva, non forte ma con quel tono basso che è dimostrazione di raffinatezza. Ah, quel tavolo dei presidenti!

Feci parte una volta di un'adunanza nel locale Wagner di Monaco: in occasione dell'anniversario della battaglia di Lipsia. Il discorso commemorativo era fatto o letto da un degno anziano signor professore d'Università. Sul palco c'erano i presidenti. A sinistra un monocolo, a destra un monocolo, e al centro, un tipo privo di monocolo. Tutti e tre in frac, sicché sembrava un tribunale in attesa di una sentenza di morte, o di un battesimo imponente: in ogni caso, di una cerimonia religiosa. Il cosiddetto discorso produsse un'impressione disgustosa.

Già dopo tre quarti d'ora tutto il pubblico era in uno stato di sonno, solo interrotto dalla silenziosa uscita di qualcuno, del chiacchierio delle cameriere e dagli sbadigli dei sempre più numerosi ascoltatori. Tre operai che erano li per curiosità o per delega ricevuta, si guardavano di tanto in tanto con un risolino di disprezzo mal contenuto e dopo essersi toccati col gomito, uscirono silenziosamente dal locale. Forse non volevano infastidire. Dopo che il professore, la cui voce nel frattempo era diventata sempre più bassa, ebbe messo termine alla sua conferenza, si alzò il presidente dell'adunanza, che era tra i due portatori di monocoli e disse ai "fratelli e sorelle" tedesche intervenuti che egli era gratissimo e che tutti dovevano essere gratissimi, al professor Tal dei Tali del meraviglioso discorso da lui fatto. Aggiunse che il discorso aveva entusiasmato, turbato e procurato un'intima felicità, che aveva costituito "un profondo evento", anzi un'azione.

Sarebbe significato violare un momento sacro, il far seguire una disputa ad una conferenza così intellegibile; egli era perciò sicuro d'interpretare il desiderio di tutti i presenti rinunciando alla disputa, invitando gli intervenuti a levarsi in piedi e ad urlare compatti: "noi siamo un solo popolo di fratelli". E per finire cominciò a cantare l'inno tedesco. E tutti si unirono a lui nel canto, e a me sembrò che alla seconda strofa le voci diminuissero, e alla terza questa mia, idea fu confermata, cosicché pensai che non tutti ne conoscessero perfettamente le parole. Ma che valore ha questo, quando l'inno sale a Dio da ardenti animi nazional-tedeschi? Poi l'adunanza si sciolse, cioè ognuno corse alla birreria e al bar o all'aperto. Si, all'aria aperta e pulita, lontano, lontano da là. Anch'io non volevo altro. E questa era la celebrazione della valorosa battaglia 'combattuta da centinaia di migliaia di Prussiani e Tedeschi? Quale disonore! Ohibò, ohibò! Certo il popolo gradisce queste cose: queste riunioni sono pacifiche. E il nostro non ha niente da preoccuparsi riguardo alla pace e alla disciplina, può essere sicuro che le onde del fanatismo non andranno mai fuori dai limiti del decoro borghese e che il pubblico, nell'ardore della emozione, non uscirà dalla sala per marciare, ordinati per quattro, nelle strade della città cantando "Onore alla Germania!" recando fastidi ad una polizia bisognosa di calma, invece di andare al caffè o alla birreria.

Di cittadini come questi si può essere contenti. Al contrario, le assemblee nazionalsocialiste non erano per niente calme. Là combattono due idee contrarie, le adunanze non finivano col canto di un inno patriottico ma coll'entusiastico dilagare di un sentimento nazionale. Fin dal principio bisognò introdurre nelle nostre riunioni una disciplina cieca e garantire il potere dei dirigenti delle adunanze. Perché quello che noi affermavamo non erano deboli chiacchiere di un oratore borghese: erano cose adatte, per la forma e per l'argomento, a spingere il nemico ad una risposta. E di nemici ce n'erano nelle nostre riunioni! Sovente entravano in folti gruppi, e tra essi c'erano degli agitatori e su tutti i visi si leggeva l'idea: oggi vi distruggiamo!

Talvolta furono portati in grosse schiere, dai nostri amici comunisti, colla mansione di sparpagliare la marmaglia nazionalsocialista e di porre fine a tutta quella storia. E soltanto la forza senza scrupoli dei dirigenti della nostra assemblea, il feroce intervento dei nostri agenti dell'ordine impedivano che si attuassero le intenzioni del nemico. I nemici, d'altra parte, avevano ogni motivo per essere irritati.

Il colore rosso dei nostri manifesti li attirava nei locali delle nostre assemblee. La borghesia era spaventata dal fatto che noi usavamo il rosso dei bolscevichi e vedeva in questo un gesto molto incerto. I nazional-tedeschi si dicevano l'un l'altro a bassa voce il dubbio che, in fondo, non fossimo altro che una specie del marxismo, o forse soltanto marxisti, o meglio socialisti sotto falsa spoglia.

Perché finora questi cervelli acuti non hanno compresa la differenza tra marxismo e socialismo. Quando poi si accorsero che noi nelle nostre assemblee non chiamavano i presenti "signori e signore" ma soltanto "compatrioti", e fra noi, ci chiamavamo solo compagni di partito, a molti dei nostri avversari sembrò evidente il triste prospettarsi del marxismo. Spesso ci piegavamo dal ridere per queste stupide preoccupazioni borghesi, per queste intelligenti ricerche sulla nostra origine, sulle nostre tendenze, sui nostri fini.

Abbiamo, dopo attenta e oculata riflessione, scelto per i nostri manifesti il colore rosso, per aizzare alla violenza i partiti di sinistra, per spingere i loro adepti a venire nelle nostre assemblee, magari soltanto per ostacolarle. Così trovammo la maniera di discutere con quegli uomini.

È utile chiarire il valore, la confusione che dimostrarono i nostri nemici in quel periodo con la loro strategia sempre indecisa. Prima impedirono ai loro seguaci di curarsi di noi e di non venire alle nostre assemblee; e, generalmente, furono obbediti. Ma siccome, col passare del tempo, alcuni di essi parteciparono, il loro numero cresceva continuamente e divenne chiaro l'effetto esercitato dalla nostra dottrina, i dirigenti nemici lentamente diventarono nervosi e preoccupati e decisero che non si poteva in eterno continuare a fare da spettatori al nostro partito, ma era necessario mettergli fine con la paura.

E allora si verificarono gli inviti di "proletari evoluti consapevoli" di venire in massa alle nostre adunanze, per colpire, coi pugni del proletariato, la "marmaglia monarchica e reazionaria" nei suoi rappresentanti.

Le nostre adunanze, già 45 minuti prima di iniziare erano piene di operai. Sembravano un barile di polvere con la miccia accesa, che potesse scoppiare da un momento al' l'altro. Ma i fatti si svolgevano sempre in altra maniera. G operai entravano come nostri avversari e uscivano, se no come adepti, almeno come critici e dubbiosi della validi della propria dottrina. Lentamente accadde che, dopo che avevo parlato per tre ore, amici e nemici si univano in una folla fanatica. E allora non c'era più l'eventualità di danneggiamento.

I dirigenti marxisti cominciarono a preoccuparsi e si volsero nuovamente a quelli che in precedenza si erano dimostrati contrari a questa strategia e che ora, con qualche motivo giusto, si richiamarono alla loro convinzione, doversi impedire completamente agli operai la presenza alle nostre assemblee. Gli operai non parteciparono più, o parteciparono in pochi.

Ma dopo poco tempo il gioco ricominciò. La proibizione non fu osservata, i compagni parteciparono sempre più numerosi e alla fine trionfarono i partigiani della tattica decisiva. Bisognava annientarci. Quando, dopo due, tre e sovente otto o dieci comizi risultò evidente che era più facile parlare di annientarci, che farlo, ad ogni nostra assemblea seguiva un frazionamento delle schiere nemiche; si tornò di colpo al vecchio ordine: "Proletari, compagni e compagne non partecipate alle adunanze degli agitatori nazionalsocialisti". D'altra parte, questa strategia indecisa fu adottata anche dalla stampa comunista. Ora ci si tralasciò completamente, ma subito ci si accorse della inutilità di questa prova e si provò col contrario, Ogni giorno si parlò in qualche maniera di noi, specialmente per spiegare agli operai il comico della nostra esistenza. Ma dopo qualche tempo quei Signori dovettero rendersi conto che ciò non ci danneggiava, anzi ci giovava nel senso che tanti dovettero chiedersi per quale motivo si sprecassero tante parole ad una manifestazione così comica. Gli uomini s'incuriosirono.

Allora sventolarono il vessillo e ci dichiararono criminali, malfattori del genere umano. In molti articoli la nostra delinquenza fu chiarita e sempre nuovamente provata: e si inventarono dal principio alla fine favole vergognose su di noi. Dopo poco tempo si convinsero dell'inefficacia di questa tattica, che in fondo, erano utili solo per farci notare da tutti. Allora io mi misi in questa opinione: non ha nessuna importanza che ci deridano, che ci insultino, che ci chiamino pagliacci o criminali: importante è che parlino di noi, che si occupino di noi che gli operai ci vedano come la sola potenza con la quale, in futuro, si avrà una spiegazione. Un giorno dimostreremo alle critiche della stampa ebraica chi siamo e che cosa vogliamo.

Certamente, se a quel tempo non ci furono opere di danneggiamento dirette delle nostre assemblee, ciò fu dovuto in parte alla inconcepibile vigliaccheria dei capi dei nostri nemici. Nelle situazioni critiche, mandavano avanti gli umili e gli sconosciuti, mentre loro attendevano, fuori del locale, il risultato del danneggiamento. Noi eravamo quasi sempre ben informati dei progetti di questi signori. Non soltanto perché, per motivi d'opportunità, mettemmo molti dei nostri adepti dentro le organizzazioni dei comunisti, ma perché gli stessi capi comunisti. parlavano, a nostro vantaggio, fatto sfortunatamente assai diffuso nel popolo tedesco. Quando avevano qualche intenzione, non riuscivano a tacere e nella maggior parte dei casi cantavano prima di: aver fatto l'uovo. Così noi facevamo spesso i più grandi preparativi, senza che i capi comunisti avessero la più piccola intuizione della loro prossima cacciata.

Dovemmo, a quel tempo, occuparci noi stessi della, protezione delle nostre riunioni, perché non potevamo fare, affidamento su quella delle autorità. Anzi i fatti ci hanno dimostrato che la forza dell'ordine era sempre dalla parte degli aizzatori. Al massimo, l'operazione della forza dell'ordine consisteva nello sparpagliamento dell'assemblea. E questo era il solo fine e il proposito degli agitatori contrari. Generalmente la forza dell'ordine operò nel modo più terribile e illegale che si possa concepire.

Se in seguito a minacce i dirigenti politici erano informati che si correva il rischio che un'adunanza fosse boicotto tata, essi non fermavano quelli che minacciavano: impedivano l'assemblea degli altri, che non avevano colpa. o ,' questo la forza dell'ordine ritiene di dimostrare grande saggezza: e lo chiama mezzo per prevenire una inosservanza della legge.

Perciò è sempre possibile ad un criminale impedire a una persona onesta la sua attività politica. Fingendo di favorire la calma e la disciplina, i funzionari dello Stato si assoggettano al criminale e ammoniscono l'altro a non infastidirlo. Quando i nazional-socialisti decisero, in alcuni posti, di riunirsi in assemblea e i Sindacati dissero che i loro componenti lo avrebbero impedito, le forze dell'ordine no si accanirono contro quei furfanti e non li mandarono in galera, ma ostacolarono l'assemblea.

Sì, l'autorità giudiziaria osò perfino informarci per iscritto sul divieto, spesso, se volevamo evitare tale possibilità dovevamo fare in modo che ogni intenzione al boicottaggio fosse eliminata all'origine. E dovemmo anche considerare ciò: qualunque comizio che è protetto soltanto dalle forze dell'ordine, torna a svantaggio degli organizzatori di fronte alla folla. Le arringhe il cui libero svolgere assicurato soltanto da un massiccio intervento della polizia non convincono alcuno, perché il presupposto della vittoria sugli echi bassi di un popolo è una forza evidente e presunta. Come una persona ardita avrà successo meno difficilmente di un vigliacco nel cuore delle donne, così un partito valoroso fa breccia nel cuore di una popolazione meglio che un partito vigliacco, rafforzato solo dalla protezione delle forze dell'ordine.

Principalmente per questa ultima ragione il nuovo movimento dovette preoccuparsi di provvedere da sé alla propria conservazione, a difendersi da solo e spezzare da solo la minaccia nemica La sicurezza delle adunanze si basò su una direzione forte e adeguata delle stesse adunanze, su una schiera disciplinare ben articolata. Quando noi nazional-socialisti organizzavamo a quel tempo un assemblea, ne eravamo i soli dominatori. E continuamente senza sosta affermavamo quel nostro diritto di dominatori. I nostri oppositori sapevano con sicurezza che gli agitatori sarebbero stati eliminati senza delicatezza, anche se noi fossimo stati solo 12 fra 500.

Nelle assemblee di quell'epoca, specialmente fuori di Monaco per 15 o 16 nazional-socialisti c'erano 500 o 600 oppositori. Ciò nonostante noi non avremmo sopportato nessuna istigazione e i presenti avevano ben chiaro che noi ci saremmo piuttosto fatti uccidere che arrenderci.

Spesso un gruppo di nostri alleati fece fronte trionfalmente all'attacco di una chiassosa e insensata maggioranza comunista. Certamente, in queste situazioni i 15 o 16 nazional-socialisti avrebbero finito per avere la peggio. Ma agli altri era noto che prima che ciò succedesse, un numero doppio o triplo dei loro sarebbero stati malmenati e questo pericolo preferivano evitarlo. Abbiamo tentato di apprendere e abbiamo appreso dallo studio della tattica delle assemblee marxiste e borghesi. I marxisti ebbero sempre una disciplina cieca, cosicché non poteva nascere, almeno- nella borghesia l'intenzione di mandare all'aria un'assemblea marxista. Invece i comunisti si proposero sempre più di boicottare le assemblee borghesi. Un po' per volta arrivarono ad una certa destrezza in questo settore, fino al punto di nominare in alcune zone del Reich, un'assemblea marxista, come una istigazione contro il proletariato. E questo specialmente quando i capi intuivano che nell'assemblea si sarebbe letto il libro delle loro colpe e rivelato, l'obbrobrio della loro azione tendente a mentire al popolo e ad ingannarlo. Nel momento che una di queste assemblee veniva annunziata, la stampa comunista urlava follemente;: queste persone che per principio non rispettano la legge, sovente ricorrevano alle autorità con minacce e con petulanti richieste di impedire subito "quella istigazione contro la massa operaia, per sfuggire al peggio". Essi adeguavano le loro espressioni alla dabbenaggine delle autorità e ottenevano un buon risultato. Ma se, per caso, c'era un vero funzionario tedesco e non un burattino e non raccoglieva la spudorata pretesa, faceva seguito la ben nota richiesta a non sopportare una tale istigazione del proletariato e a intervenire a frotte alla assemblea per "sistemare colla forte mano dell'operaio gli esponenti della borghesia".

E bisogna essere stati presenti ad una di queste mani stazioni borghesi, bisogna aver visto i suoi dirigenti in tutta l'ansia di darne prova! Sovente in seguito alle minacce marxiste si desisteva senza dubbio dal tenere la assemblea. Ma il terrore era sempre tale che invece di iniziare al' 8 si iniziava verso le 9: il dirigente cercava di far crede con opportunismo ai signori avversi convenuti all'assemblea, che egli e tutti erano contentissimi (vera finzione!) della partecipazione di uomini estranei alle loro ideologie, perché soltanto chiarimenti scambievoli potevano unire tendenze contrarie, stimolare la comprensione scambievole avvicinare i nemici. E approfittava dell'occasione per garantire che non era proposito dei fautori del comizio, allontanare qualcuno dalle convinzioni finora professate. No! Ognuno poteva scegliere la maniera di andare in Cielo, permettere la stessa cosa agli altri: perciò chiedeva che si lasciasse libero l'oratore di giungere alla conclusione delle sue dichiarazioni, molto breve, e che non si tenesse la manifestazione di lotta tra fratelli tedeschi...

Certamente, la maggior parte sinistra del popolo di fratelli non teneva conto di queste parole; l'oratore, ancora prima di aver iniziato, doveva troncare fra le ingiurie più folli: spesso si otteneva il risultato che egli ringraziava la sorte, dell'interruzione dell'estenuante procedura.

Cosi, fu un fatto nuovo per i marxisti quando noi nazional-socialisti facemmo le nostre prime riunioni, specialmente la maniera con cui le facemmo. Essi vennero con la certezza di poter ripetere il giochetto che aveva avuto spesso buon risultato: "oggi li annientiamo". Più di uno venendo nelle sale delle nostre assemblee, gridò superbo questa frase ai suoi compagni, per poi, prima di disturbare per la seconda volta, correre con la sveltezza di un fulmine sulla via! Da noi già la guida dell'adunanza era completamente diversa. Non pregavamo il pubblico di aver la gentilezza di ascoltare il nostro comizio, non garantivamo in anticipo completa libertà di obiezione ma decidevamo senza dubbio che i dominatori dell'adunanza eravamo noi e che perciò ci trovavamo in casa nostra e chiunque ardisse disturbare sarebbe stato fatto tornare al posto dal quale era venuto!

I toreri delle adunanze borghesi abbandonavano l'arena con grande rumore, a meno che come successe spesso non cadessero dalle scale con la testa sporca di sangue. Aggiungevamo che per i disturbatori non garantivamo niente; se fosse avanzato tempo e a noi fosse gradito avremmo permesso una disputa, altrimenti no e facevamo parlare il compagno di partito.

I nemici restavano meravigliati già di questo. Oltre a ciò avevamo vigilatori del locale severamente organizzati. Nei documenti borghesi sovente queste prestazioni disciplinari erano formate da signori che pensavano che la loro era avanzata desse loro un certo diritto al comando e alla stima Ma siccome le folle incitate dai marxisti non si curavano del comando della stima dell'età della guardia borghese in realtà era inefficace. Fin dall'inizio della nostra opera di conferenzieri instaurai l'organizzazione di un custode del locale sotto forma di una prestazione disciplinare costituita principalmente da giovani. Erano in parte compagni da me conosciuti fin dal servizio militare, in parte compagni giovani di partito conosciuti da poco i quali avevo istruito fin dai primi tempi sul fatto che la paura sì può solo distruggere con la paura, e che, in questa terra, il trionfo spetta solo ai valorosi e ai decisi; che noi ci battevamo per una meravigliosa concezione, così grande e alta, da meritare di essere difesa e protetta anche a costo della vita. E si insegnava anche loro che quando il ragionamento tace e spetta alla forza irruenta la decisione ultima, la migliore arma consiste nell'attacco; e che la nostra schiera di disciplina doveva essere preceduta dalla reputazione di costituire non un circolo da dissertazione ma da un gruppo combattivo e disposto a tutto. I giovani avevano aspirazioni di questo genere. La gente del nostro tempo che ha combattuto è delusa e irritata, colma di disgusto e di ripugnanza per l'indolenza borghese. E molti seppero che la risoluzione era stata facilitata solo dalla rovinosa guida borghese della nostra gente. Anche in quel tempo c'erano pugni pronti a difendere il popolo tedesco ma non c'erano stati cervelli per usarli. lo vedevo brillare gli occhi dei miei giovani quando parlavo loro dell'utilità della nostra missione, quando affermavo che tutto il senno di questo mondo rimane inefficace se la violenza non si assoggetta ad esso per difenderlo ed appoggiarlo, che la dea della pace può soltanto camminare vicino al dio della guerra e che ogni grande opera, della pace ha bisogno dell'aiuto della protezione della violenza. La convinzione del dovere del servizio militare nasceva in essa in maniera ben più attiva: non nella manie a, in cui la possedevano vecchie inaridite anime burocratiche, cioè quella di obbedire al morto comando di uno Stato morto, ma nella convinzione del dovere che grava sull'uomo di garantire, a costo della propria vita, la sopravvivenza della nazione ora, sempre e in ogni luogo. E i giovani si offrivano per questo dovere. Come uno sciame di calabroni si gettavano sugli agitatori delle nostre conferenze, senza preoccuparsi del loro numero superiore, senza temere le ferite né danni sanguinosi, tutti presi dal desiderio di facilitare la strada alla santa missione del nostro partito.

Già nell'estate del 1920 la schiera della polizia prese, gradualmente una forma ben definita, nella primavera del 1921 si ordinò in centurie divise in gruppi. E questo era assolutamente necessario perché la nostra opera di oratori i era nel frattempo incrementata di molto. Ci riunivamo sovente nella sala della Birreria di Corte a Monaco, e ancor più spesso nei vasti locali della città. La sala della Bürgerbräu e quella della cantina Kinde videro, nell'autunno inverno '20-'21 riunioni di moltitudini sempre più estese e la manifestazione era sempre la stessa: le assemblee del movimento nazional-socialista riunivano tanta gente che nella maggior parte dei casi le forze dell'ordine dovevano proibire l'ingresso da parte dei convenuti, poiché il locale era subito pieno. ***

L'ordinamento delle nostre schiere di disciplina ci pose davanti ad un dilemma molto importante. Fino ad allora il movimento non aveva distintivi né vessilli di partito. L'esser privi di questi simboli era svantaggioso per il presente e insostenibile per il futuro. I danni consistevano specialmente in questo, che i componenti del partito non avevano un segno esteriore manifestante la loro adesione al nostro movimento, per l'avvenire non si poteva ammettere la mancanza di un distintivo che avesse il carattere di un simbolo della nostra opera e che come tale potesse essere contrapposto all'internazionale. lo già da giovane avevo avuto modo di riconoscere e di capire Il valore psicologico d'un tale segno.

Poi, finita la guerra, fui presente ad una manifestazione marxista massiccia, davanti al Castello Reale e al Lustgarten. Un mare di vessilli rossi di nastri rossi e di fiori rossi davano un aspetto scatenato a quella manifestazione, alla quale parteciparono 120 mila uomini. Potei io stesso sentire e comprendere con quanta facilità il popolano si sottometta all'incanto affascinante di una potente messinscena. La borghesia che nella politica di partito non rappresenta nessuna idea mondiale, per questo motivo non ebbe un vessillo proprio. Era formata di "patrioti" e perciò usava il colore del Reich.

Se questi a loro volta avessero rappresentato una data idea, si sarebbe potuto capire che i dirigenti dello Stato riconoscessero nel vessillo statale anche il rappresentante della loro idea, perché il simbolo di questa era divenuto, a causa loro, vessillo dello Stato e del Reich.

Ma i fatti non si svolsero in questo modo. Il Reich fu costruito senza cooperazione della borghesia tedesca e il vessillo fu generato dal ventre della guerra. Perciò fu solo un vessillo di Stato e non significò altro compito di diffondere un'idea mondiale. In una sola zona di lingua tedesca accadde qualcosa di simile ad un vessillo di partito della borghesia, nell'Austria tedesca. Là, una parte della borghesia nazionale scelse il proprio vessillo di partito, i colori del 1848, nero-rosso-oro, costituendo così un simbolo che, privo di ogni valore mondiale, ebbe però un aspetto rivoluzionario nella politica statale. Allora, i più agitati oppositori del vessillo nero-rosso-oro furono (e ancora attualmente non lo si deve scordare) i social-democratici e i cristiano., sociali cioè i clericali. Essi oltraggiarono e sporcarono allora quei colori, così come in seguito, nel 1918, portarono nel fango la bandiera nero-bianco-rossa. Sicuramente il nero-rosso-oro dei partiti tedeschi dell'antica Austria era il vessillo dell'anno 1848, di un anno che fu bensì meraviglioso ma fu rappresentato dalle più sincere anime tedesche, sebbene non manifestamente l'ebreo nascosto conducesse l'azione. Così in pratica fino al 1920 nessun vessillo fermò il marxismo, nessun vessillo che riguardo l'idea e mondo ne fosse il totale contrapposto. La borghesia tedesca nei suoi partiti più validi dopo il 1918 non volle più ad tarsi ad avere come simbolo proprio il vessillo del Reich, nero-rosso-oro, finalmente scoperto: però non poté porre contro alla nuova evoluzione nessun programma propri per il futuro, o al massimo si propose la ristrutturazione Reich tramontato. A questo proposito il vessillo nero-bianco-rosso del vecchio Reich deve la sua rinascita come vessillo dei nostri cosiddetti partiti nazionali borghesi. È chiaro che il simbolo di una situazione che in condizioni poco valorose e fra eventi scandalosi, poté essere vinto d marxismo, non può servire da bandiera sotto la quale marxismo debba essere a sua volta distrutto.

Quegli antichi e bei colori erano amati e santi quando freschi e giovani furono uniti e così devono rimanere ogni buon tedesco che abbia lottato sotto di essi e abbia vi` sto molti sacrificarsi per essi ma questo vessillo non può essere segno per una lotta futura. lo al contrario dei politicanti borghesi ho sempre affermato nel nostro partito che per la nazione tedesca è un vantaggio l'essersi privati dell'antico vessillo.

L'attuale Reich, che vende sé e i suoi cittadini, non doveva usare la gloriosa eroica bandiera nera-bianca-ossa. Finché è presente lo scandalo di novembre, conservi il suo aspetto superficiale e non prenda possesso di quello di un passato onesto. I nostri uomini politici borghesi dovrebbero pensare coscientemente che chi vuole per questo Stato il vessillo nero-bianco-rosso, ruba al nostro passato. Il vessillo d'allora era adatto per il Reich d'allora, così come, grazie al Cielo, la repubblica scelse il vessillo adatto a lei. Per questa ragione noi nazional-socialisti non avremmo potuto accettare nessun segno espressivo della nostra opera nell'innalzare il vecchio vessillo. Perché non vogliamo resuscitare il vecchio Reich, finito per i propri sbagli, ma creare un nuovo Stato.

Non possiamo rimanere insensibili a quello che fa la repubblica sotto il vessillo proprio. Ma noi dobbiamo essere grati cordialmente alla sorte di aver protetto il più valoroso vessillo di guerra di tutti i tempi dal servire come lenzuolo alla più scandalosa prostituzione.

Fummo allora molto presi dalla questione del nuovo vessillo, cioè del suo aspetto. Da ogni luogo venivano proposte, che manifestavano buoni propositi, ma poco valore. Perché il nuovo vessillo non doveva soltanto essere il segno esteriore della nostra battaglia, ma anche procurare una forte impressione negli affissi, nei manifesti, ecc. Chi ha contatti con la folla sa che queste superficiali cose da poco conto, hanno un valore fondamentale. Una bandiera che esercita una grande impressione può in migliaia di situazioni dare la spinta iniziale ad occuparsi di un partito. Per tale ragione dovemmo rifiutare le proposte, venute da ogni parte, di riconoscere uguale, il nostro partito col Vecchio Stato, o meglio, con quei deboli partiti il cui solo scopo è la ristrutturazione di un regime orinai spento. Inoltre, il bianco non è un colore che ha prodotto grandi entusiasmi. È adeguato a pure organizzazioni di fanciulle, non a fanatici movimenti di un tempo rivoluzionario.

Fu anche proposto il nero: era adatto alla nostra epoca luttuosa, ma non aveva in sé nessuna evidente rappresentazione del nostro partito. E pure questo colore non è sufficientemente travolgente. Il bianco-azzurro, anche se di meraviglioso effetto estetico, non andava bene, Perché erano i colori d'uno specifico Stato Tedesco di una poco stimata tendenza a meschinità particolaristiche. D'altra parte, anche questi colori non avevano nessuna particolare relazione al nostro movimento. La stessa cosa si poteva affermare del bianco-nero. Al nero-rosso-oro era meglio non pensarci. E neanche al nero-bianco-rosso per le ragioni a cui ho già accennato: almeno, non nella maniera in cui quei colori erano disposti finora.

Quest'unione di colore è molto più ammirabile di qualunque altra. È l'accordo più felice che ci sia. lo fui sempre propenso a mantenere i vecchi colori, non soltanto perché per me, come militare, sono la cosa più santa che conosca, ma perché anche il loro aspetto esterno corrisponde al mio gusto. Però dovetti rifiutare, senza eccezione, la quantità di proposte che ci vennero fatte dall'interno del giovane partito e che quasi tutte inserivano la croce uncinata nel vecchio vessillo. lo stesso, come dirigente, non volli manifestare subito la mia proposta, essendo probabile che qualcun altro ne facesse una egualmente valida se non migliore.

Infatti, un dentista di Starneberg mandò un disegno, per niente cattivo, molto simile al mio, ma che aveva un'imperfezione: la croce uncinata, aveva l'uncino curvo ed era inserita in un cerchio bianco. Dopo moltissime prove, disegnai la forma finale: un vessillo rosso con un disco bianco, al centro del quale era posta una croce uncinata nera. Dopo molti tentativi trovai anche un dato rapporto fra l'ampiezza del vessillo e quella del disco bianco, così anche tra la forma e la grandezza della croce uncinata dipinta. Fu insomma il mio progetto. Mi furono proposti subito bracciali per le schiere di disciplina; una fascia rossa con sopra una croce uncinata nera. E nello stesso modo fu disegnato un distintivo: un disco bianco in un campo rosso e al centro la croce uncinata. Un orefice di Monaco, Füss, fece il primo abbozzo appena usabile, e fu assunto.

Nell'estate 1920 il nuovo vessillo fu portato per la prima volta davanti al popolo. Andava benissimo per il nostro nuovo partito: era originale e puro come quello! Nessuno, l'aveva visto prima: e destò l'impressione di una fiamma ardente. Noi tutti sentimmo una felicità quasi infantile quando una fedele compagna di movimento fece e consegnò il nuovo vessillo.

Già pochi mesi dopo, a Monaco, ne avevamo 6 e i sempre maggiori schieramenti polizieschi favorirono la diffusione del simbolo del partito. Ed è realmente un simbolo! Non soltanto perché i colori, così calorosamente graditi da noi tutti e che un tempo addussero tanta gloria al popolo tedesco, manifestano il nostro affettuoso ricordo del passato, ma anche perché racchiude in sé la volontà del partito. Come socialisti nazionali noi riconosciamo nel vessillo la nostra linea di azione. Nel rosso, riconosciamo l'idea sociale del movimento, nel bianco l'idea nazionalista, nella croce uncinata, l'impegno a combattere per l'affermazione dell'uomo ariano e per il diffondersi della tendenza al lavoro creativo, che fu e sarà sempre antisemitico. Due anni dopo, quando già lo schieramento di polizia si era organizzato in reparti di assalto formati da migliaia di uomini, sembrò indispensabile dare a questo corpo di difesa della nostra idea del mondo uno speciale simbolo di trionfo: lo stendardo. lo stesso ho disegnato anche questo e poi ho fatto eseguire il lavoro ad un vecchio affezionato compagno, l'orefice Gahr. Da allora lo stendardo è il simbolo di battaglia della lotta nazionalsocialista. Il lavoro di arringa, che nel 1920 si andò sempre più incrementando, arrivò al punto che tenemmo, qualche volta, due conferenze la settimana. La gente si accalcava con stupore davanti ai nostri manifesti, le più grandi sale della città erano gremite e decine di migliaia di marxisti corrotti ritrovavano la strada della loro collettività nazionale per diventare modelli di un prossimo libero Reich tedesco. Gli ascoltatori di Monaco avevano imparato a conoscerci. Parlavano di noi, il termine nazional-socialista fu noto a molti e significò già un programma.

Anche la squadra dei partigiani, anzi dei componenti del partito, aumentò senza sosta, sicché, già nell'inverno 1920'21 potemmo presentarci a Monaco come un partito vigoroso. Allora, al di fuori del marxista, non c'era nessun partito, specialmente nessun partito nazionale che potesse contare su manifestazioni di folle numerose come le nostre. La cantina di Kinde di Monaco, che poteva contenere 5000 uomini fu sovente colma: c'era un solo locale al quale non avevamo avuto ancora al coraggio di avvicinarci; Il Circo Krone. Alla fine del gennaio 1921, gravi pensieri oberarono di nuovo la Germania. L'accordo di Parigi col quale la Germania si impegnò a versare la folle somma di cento miliardi di marchi d'oro doveva attuarsi in forma del Trattato di Londra.

Una associazione di lavoro che sotto il nome di "Leghe popolari" già da tempo esisteva a Monaco volle approfittare di quel trattato di Parigi per farci partecipare ad una grande manifestazione di protesta. Il tempo passava ed io stesso ero irritato di fronte all'interminabile dubbio nell'attuare le determinazioni prese. Prima si accennò ad una manifestazione nella pubblica piazza, ma si rinunziò per paura di essere attaccati e sparpagliati dai comunisti e si ideò una dimostrazione di protesta davanti alla Feldherrnhalle ma pure a questa rinunciammo e alla fine fu proposta un'assemblea in comune nella cantina di Kinde di Monaco. Nel frattempo trascorrevano i giorni, grandi partiti erano all'oscuro del minaccioso evento e lo stesso proletariato non sapeva decidersi a fissare un giorno stabilito per la progettata dimostrazione.

Martedì primo febbraio 1921, pretesi una risoluzione finale che mi assicurarono per mercoledì L'indomani chiesi con insistenza che mi fosse esattamente detto il giorno e l'ora della riunione. La risposta fu incerta ed evasiva: mi riferirono che si "aveva l'intenzione di far aderire gli operai ad una manifestazione indetta per il mercoledì successivo". Andai in collera e stabilii di organizzare per mio conto la manifestazione di protesta. A mezzogiorno del mercoledì feci scrivere da un segretario il manifesto da me dettato e affittai il Circo Krone per giovedì 3 febbraio.

Era questa una soluzione molto pericolosa sia perché non si sapeva delle adesioni alla convocazione sia perché c'era il pericolo di essere intralciati. I nostri affiliati non erano sufficienti per una sala così enorme e mancavano di strategia in caso d'assalto. Infatti io pensavo che era più difficile difendersi da un attacco nel Circo che in una sala normale; anche se poi i risultati mi smentirono, in quanto nel grande locale era più facile controllare l'irruenza degli oppositori che in locali piccoli.

Comunque bisognava ad ogni costo ottenere un successo in quanto una nostra sconfitta avrebbe infranto la nostra saldezza e avrebbe incoraggiato gli avversari a rinnovare gli attacchi alle nostre successive riunioni, cosa che eravamo riusciti ad eliminare solo dopo mesi di lotte. Il tempo a nostra disposizione per apporre i volantini si riduceva al solo lunedì e il fatto che la stessa mattina pioveva faceva supporre che molta gente sarebbe rimasta a casa piuttosto che andare, sfidando neve e pioggia, ad una manifestazione in cui c'era pericolo di morte.

Giovedì mattina cominciai ad aver paura di non riuscire a riempire tutto quel locale, così da fare una pessima impressione alla comunità operaia. Feci scrivere velocemente dei volantini da distribuire nel pomeriggio, nei quali c'era l'invito a partecipare alla riunione.

Affittai due camion che dovevano servire, avvolti con drappi rossi e sui quali furono issate due bandiere, a trasportare 15-20 membri del partito ciascuno. Costoro dovevano girare per la città, distribuendo volantini e facendo il più possibile pubblicità per la manifestazione della sera. Per la prima volta dei camion imbandierati che attraversavano la città non ospitavano marxisti per cui la borghesia osservò stupefatta i drappi rossi e le bandiere uncinate con cui erano stati decorati. In periferia invece si trovò parecchia ostilità nelle persone che vedevano in quei camion una "provocazione contro il proletariato" e rivendicavano solo al marxismo la facoltà di fare manifestazioni e propaganda. Eravamo giunti già alle 7 di sera ma la gente che aveva preso posto nel Circo era ancora poca. Mi avvisavano ogni dieci minuti con un telegramma e io ero visibilmente agitato, perché in genere verso le sette i locali erano quasi pieni. Ma io non tenevo presenti le dimensioni gigantesche del Circo in cui mille persone non si notavano quasi, mentre nel salone della Birreria di Corte facevano un certo effetto. Un po' più tardi però mi giunse una lieta notizia: ad un quarto alle otto il Circo era per tre quarti colmo e davanti alla cassa v'erano lunghe file di persone. dopo questa notizia uscii e giunsi al Circo che mancavano due minuti alle otto. Li v'era ancora molta gente in cui si mischiavano curiosi e avversari che attendevano fuori l'esito degli avvenimenti. Mi si aprì il cuore di felicità allorché vidi il grande locale e fu la stessa emozione che provai nella prima riunione nel salone della birreria di Corte di Monaco. Ma in realtà solo dopo essere giunto nel palco rialzato mi accorsi della piena riuscita della manifestazione. Tutto il locale era pieno di gente perfino dove si ammaestrano i cavalli. Erano state consegnate 5600 tessere e se si contavano anche i disoccupati, gli studenti poveri e le truppe dell'ordine, si giungeva a 6500 persone. Il discorso era "Avvenire o tramonto" e io impazzivo di felicità sapendo che proprio davanti a me c'era l'avvenire. Fu un discorso di due ore e mezza e quasi subito fui certo del sicuro esito della riunione.

Agli applausi spontanei che interrompevano il discorso dopo la prima ora si era sostituito un'ora dopo un silenzio solenne, quasi una mistica partecipazione che in seguito si ripeté tante altre volte, che nessuno dei presenti potrà dimenticare. Verso la fine si sentiva solo il respiro della folla e infine dopo la mia ultima parola l'enorme locale parve scoppiare per il fantastico entusiasmo che ebbe il suo culmine nell'inno "DeutschIand über Alles".

Fermo al mio posto attesi che la folla lasciasse il locale, cosa che fece, a causa del grande numero, in quasi venti minuti, dopo di che io tornai a casa. Vi furono anche delle fotografie della riunione avvenuta nel Circo Krone e furono una grande testimonianza del successo ottenuto, mentre i giornali borghesi nei loro commenti, omettendo coloro che l'avevano organizzata, dissero che era stata una manifestazione nazionale. Ormai eravamo un'unità ben distinta e non potevano più ignorarci. Così per far notare il nostro reale successo feci una seconda riunione nello stesso circo la settimana seguente e la cosa si ripeté. E ancora una terza la settimana dopo e il circo fu ancora ricolmo di presenti. Visto il buon avvio dell'anno 1921 intensificai a Monaco i comizi. Ogni 2 volte la settimana tenevo riunioni generali nella metà dell'estate e nell'autunno anche tre. Il Circo era il luogo di riunione e ogni sera era un successo, tanto che si ebbe un enorme incremento di partigiani e di membri del partito.

Logicamente i nostri avversari erano in grande preoccupazione. Erano incerti se combattere con la violenza oppure passarci sotto silenzio, ma nessuna delle due era una buona politica. Risolsero infine di mettere fine alla nostra attività comiziale, con la scusa di un attentato, avvenuto in condizioni molto misteriose, contro un deputato della destra chiamato Erardo Auer. Si diceva che avessero sparato, contro costui; in realtà, si diceva che c'era stato solo il tentativo, in quanto la presenza di spirito e il coraggio dei capi social-democratici avevano mandato a rotoli l'insidia dei falsi attentatori. Logicamente il partito social-democratico di Monaco se ne servi per montare contro di noi la folla, in modo da reprimere in tempo il nostro movimento con i pugni dei proletari.

Intervento proletario che non tardò a giungere. Giunse proprio nella riunione tenuta nel salone della Birreria di Corte a Monaco. Tra le 6 e le 7 di sera del 4 novembre 1921 ebbi precise informazioni che la riunione doveva fallire e che per tale scopo gli avversari avrebbero mandato, forse, operai di fabbriche rosse.

Questa notizia non l'avemmo in tempo, in quanto proprio quel giorno ci eravamo trasferiti dall'ufficio nella Sterneckergasse di Monaco in un altro. Purtroppo sia nell'uno che nell'altro mancava il telefono, nel primo perché era stato staccato e nel secondo perché doveva essere fatto ancora l'impianto per cui andarono a vuoto i tentativi di avvisarci telefonicamente del tentativo di sabotaggio.

Così le truppe d'ordine per la difesa erano molto esigue, praticamente v'era una sola truppa di 46 uomini e in più non funzionava l'allarme per far affluire rinforzi nel giro di un'ora. E a fare corona a tutto questo v'era una specie d'incredulità da parte nostra a causa dei numerosi falsi allarmi tanto che ogni volta vedevamo riconfermato il detto "le rivoluzioni annunziate non scoppiano". Per tutto questo, forse, non furono prese quelle misure di sicurezza atte a difenderci da qualsiasi assalto. Inoltre c'era la convinzione che il salone della Birreria di Corte a Monaco fosse un ottimo luogo di difesa al contrario del Circo, opinione che però doveva essere cambiata. Più tardi ci ingegnammo, con metodo più razionale e scientifico, intorno a questi problemi e ottenemmo dei brillanti risultati che ebbero un grande valore per l'organizzazione e la tattica delle nostre squadre d'assalto.

Giunto alle 7 e tre quarti nell'atrio della Birreria capii subito le intenzioni dei rossi. La sala era piena di gente e l'accesso era vietato alla polizia. Feci chiudere le porte della sala e chiamata la squadra di protezione formata da 46 uomini parlai loro dicendo che dovevano dimostrare tutta la loro fedeltà non lasciando la sala per nessuna ragione e di contrastare ogni tentativo di disturbo tempestivamente, perché la miglior difesa è l'attacco, inoltre aggiunsi che qualsiasi cosa fosse successo, io sarei rimasto nella sala e che se ci fosse stato qualche vile io per primo gli avrei strappato bracciale e distintivo. La risposta -Heil- fu ripetuta per tre volte mentre ai miei orecchi acquistava un suono più duro e più risoluto del solito. Infine entrai nel locale e mi apparve chiara la situazione. Era pieno di avversari che parevano incenerirmi con i loro sguardi, che erano ora pieni di odio, ora di stizza e di rabbia mentre altri lanciavano grida e frasi significative, come che fosse giunta l'ora di "farla finita" con noi, e che dovevamo badare alla nostra vita o la nostra bocca sarebbe stata chiusa per sempre, ed altre di questo tipo.

Rudolph Hess

Tuttavia si apri il comizio e io incominciai a parlare, come al solito, posto da uno dei lati più lunghi, sopra un tavolo di birra che mi faceva da palco. Mi trovavo in mezzo ai miei avversari e ciò contribuì a creare nel locale uno stato d'animo che non avrei trovato in nessun altro posto. Davanti e alla mia sinistra c'erano solo i miei avversari; giovani e uomini robusti appartenenti soprattutto alle fabbriche Maffei, di Kustermann, alle officine Isara, etc. Si erano ammassati intorno al mio tavolo e bevevano birra riunendo i boccali sotto il tavolo per usarli più tardi, mentre dentro di me ero sempre più certo di come sarebbero andate a finire le cose. Il mio discorso durò, pur fra molte interruzioni, un'ora e mezza, tanto che mi sentivo quasi di tenerli in pugno. Anche i capi degli avversari sembravano consapevoli di questo fatto che non rientrava nei loro piani e lo manifestarono diventando sempre più nervosi e agitati.

Purtroppo un piccolo errore psicologico nel rispondere ad un'ennesima interruzione, errore che riconobbi subito, diede il segnale d'attacco. Ancora due interruzioni violente e poi al grido di "Libertà" da parte di un uomo salito su una sedia i campioni della libertà si scatenarono. In pochi attimi la sala fu piena di una folla esagitata, sulla quale volavano i boccali, mentre si udiva il rumore degli stessi che s'infrangevano e lo scricchiolio delle sedie rotte e le urla e le strida. Era una scena inimmaginabile, mentre io fermo al mio posto seguivo le vicende dei miei uomini che generosamente si prodigavano nel loro dovere.

Sarebbe stato divertente vedere una riunione borghese in una uguale situazione! La lotta era appena iniziata e già le mie truppe d'assalto (questo era il loro nome da quel giorno) attaccavano gli avversari. Come lupi, in gruppi di 8 o 10 si gettavano sugli oppositori e via via li buttavano fuori dalla sala. Dopo solo 5 minuti tutti grondavano sangue e proprio li io scoprii molti amici: primo fra tutti il generoso Maurice, il mio segretario privato Hess e molti altri che pur feriti in modo grave, ritornavano ad attaccare fino all'esaurimento delle forze. Quella scena violenta durò 20 minuti infine gli oppositori che erano in numero di 700-800 si ritrovarono, scacciati, a rotolare per le scale per merito di meno di 50 uomini.

Soltanto nella sinistra v'era un estremo tentativo. Allora dall'ingresso si sparò per due volte verso il palco e anche in altre direzioni. Il cuore pareva scoppiarmi di gioia nel vedere rinnovarsi episodi di guerra. Dopo questo non si poteva più capire chi sparasse ancora: potei solo notare come il furore dei miei uomini aumentasse sempre più e che ormai anche l'ultima resistenza veniva annullata e messa a tacere. Erano passati 25 minuti e la sala, prima luogo di battaglia, sembrava come essere stata devastata da una bomba.

Noi avevamo vinto anche questa battaglia sebbene molti dei miei uomini furono fasciati ed altri addirittura portati via a braccia.

Il direttore della riunione, cioè Herman Esser, disse: "Il comizio continua. Il relatore ha la parola". Ed io continuai il mio discorso. Dopo aver sciolto la riunione vedemmo precipitarsi, affannato, un tenente di polizia che gridò, gesticolando con le braccia " La riunione è sciolta ". Risi, senza volerlo, di quel ritardatario: una cosa propria della polizia! Quanto più queste persone sono piccole, tanto più tendono ad apparire grandi. Quella sera arricchì molto la nostra esperienza, ma anche i nostri avversari impararono molte cose. Da quel giorno fino all'autunno del 1923 il giornale "Münnehner Post" non fece più previsioni intorno a eventuali pugni del proletariato.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo VIII

Nel capitolo precedente ho parlato di una "Comunità di lavoro delle leghe tedesco-popolari", ora brevemente esporrò il problema di questa comunità. Per Comunità di lavoro s'intende un insieme di leghe che, per rendere più agevole il loro lavoro, creano dei rapporti mediante l'istituzione di una direzione comune avente maggiore o minore competenza e compiono quindi azioni in comune. Bisogna quindi intendere Leghe, associazioni o partiti che abbiano scopi e metodi affini.

Il cittadino normale gioisce e si sente più sicuro sentendo che quelle Leghe associandosi in "Comunità di lavoro" hanno trovato il "vincolo comune" e tolto "ciò che li separa ". E tutti sono convinti che simili associazioni abbiano un notevole aumento di forze e che piccoli gruppi, da soli deboli, diventino così una potenza.

Ma questo, per la maggior parte delle volte, è falso! Per comprendere bene il problema, mi sembra opportuno, chiarire come si giunga a formare Leghe, Unioni, etc. Sarebbe naturale che una sola Lega tenda ad un solo scopo e che non siano tante le Leghe che combattono per il medesimo fine. Una persona, in qualsiasi posto, annunzia una verità, sprona a risolvere un determinato problema, pone un fine e organizza un movimento per la realizzazione delle sue mire. Questo movimento, diventato cosa concreta, ha una specie di diritto di priorità. Mi pare logico che chiunque sia convinto degli scopi del movimento si debba inserire così da annientarne le forze e giungere insieme prima alla meta. Tutte le persone oneste dovrebbero sapere che solo questo inserimento è la premessa per il successo finale della lotta comune. E (presupposta una certa lealtà, che come vedremo è molto importante) per un solo fine dovrebbe formarsi un solo movimento. Se questo non avviene dobbiamo ricercare due cause. Una che definirei drammatica e l'altra che è deplorevole ed è causata dalla debolezza umana. Però, infine, intravedo in tutte e due fatti capaci di innalzare la volontà, l'energia e l'intensità di ciò ed a rendere finalmente certo, tramite la capacità della umana resistenza, il risultato del problema che ora andiamo a considerare.

Il guaio, per cui l'esito di un problema non viene mai dato ad una sola lega, è il seguente: ogni fatto di enorme portata sulla terra è quasi sempre la realizzazione di un desiderio, già nutrito da milioni di uomini, di un desiderio nascosto silenziosamente da molti. Succede che da moltissimi decenni molti desiderino la definizione di un certo problema, poiché zappano sotto uno stato attuale di fatti che è divenuto asfissiante, senza che si noti la soluzione di questo desiderio. Gente che non raggiunge più il risultato in questi casi può essere chiamata impotente, viceversa, la forza generatrice di una popolazione, il suo desiderio di vivere, appoggiato da quella paura, sono chiare, quando finalmente il caso gli fornisce la persona in grado di trascinarlo fuori da una grande ingiustizia, da una enorme miseria, o di accontentare la sua anima, privata di riposo in quanto è incerta. Quella persona riesce a donare il così lontano adempimento delle opinioni. Cosa comune delle grandi questioni del giorno è che tante persone cerchino di trovare delle soluzioni, sia comandate, che il destino faccia molti uomini per la scelta, per dare, nel libero giuoco delle farse, il successo al più forte, al più astuto e quindi a cedere a lui la soluzione del quesito.

Perciò può avvenire che persone, insoddisfatte dalla linea della loro vita religiosa, anelino ad un miglioramento e che con questo slancio psicologico nascano decine di persone che, fidandosi della loro intelligenza e sulle loro conoscenze, si sentono in grado di risolvere quel quesito e si facciano avanti come portatori di nuovi dogmi o almeno come oppositori di una antica dottrina. Certamente a causa di una posizione naturale, il più forte è destinato a portare a termine l'imponente missione: ma solitamente gli altri si accorgono troppo tardi che quella persona è quella chiamata, poiché l'umanità è il peggiore giudice in quanto raramente comprende qual è quello fornito di capacità rare e che quindi sia il solo che debba essere appoggiato. Perciò, nel passare dei decenni, nascono persone diverse, le quali danno vita a correnti in grado di raggiungere dei risultati che sono o vogliono essere gli stessi o che la moltitudine vede uguali.

Il popolo ha desideri confusi e ha generali idee che non sono ben chiare sulla sostanza del problema o sulla aspirazione o sul come raggiungerlo. Il dramma sta in questo, che gli uomini vogliono raggiungere risultati uguali percorrendo strade opposte, senza avere conoscenza, perciò pensando candidamente solamente alla propria unione, si sentono di percorrere la loro via, senza pensare ad altri. Queste correnti, parti di gruppi religiosi ciascuna indipendentemente tra loro, seguendo il volere della loro epoca, per raggiungere infine soluzioni uguali. Questo in un primo momento, sembrò drammatico, perché si potrebbe credere che disperdendo su iniziative opposte le forze si raggiunga il risultato molto meno in ritardo che se fossero concentrate le forze solamente su una direzione. Ciò non accade. Il compito è della Natura stessa, nella perfetta logica: la Natura, oppone le varie tendenze, le fa lottare per primeggiare e porta alla lotta quella tendenza che ha percorso la via più breve e più sicura. Ma non si può stabilire dal di fuori quale è la via esatta, allorché non si dia indipendenza al gioco delle forze Quindi l'ultima decisione non verrà mai dalle deduzioni dei teorici ma solo dal successo pratico che, unico, potrà determinare se l'azione è giusta o no. Se più persone tendono per vie diverse alla stessa meta, allorché sanno dei diversi sforzi per giungere a questa, hanno il compito di unirsi per giungervi al più presto. Grazie a questo ogni singola persona ne trae un giovamento: già in passato si è visto come l'umanità ebbe successo e sia riuscita a progredire proprio grazie all'esperienza tratta da precedenti insuccessi. Quindi proprio dal fatto che in un primo momento ci sia un certo frazionamento deriva il mezzo per conseguire la condotta migliore. Dalla storia si può notare come per giungere alla soluzione del problema tedesco, bisognava far coincidere a vista dei più le due strade i cui rappresentanti erano l'Austria e la Prussia, gli Asburgo e gli Hohenzollern: cioè unendo le forze, procedere insieme per l'una o l'altra via. Cioè si sarebbe giunti a percorrere la strada del più forte: ma in questa maniera i fini austriaci non sarebbero certo sfociati nella fondazione di un Reich tedesco.

Ora il Reich nacque dall'ultimo e più tragico segno della nostra lotta interna, per cui i tedeschi furono colpiti fino nel profondo del cuore, cioè dal campo di battaglia di Sadowa e non, come si ritenne in seguito, dalla battaglia nei pressi di Parigi. Così anche la formazione del Reich tedesco non fu determinata dalla unione delle volontà singole tendenti allo stesso fine battendo vie comuni, ma fu il risultato di una lotta non sempre consapevole per l'egemonia di cui fu vincitrice la Prussia. Guardando le cose obiettivamente si deve riconoscere che la razionalità umana non riesce a giungere alla stessa saggia decisione a cui poi giunge la vita, o meglio il libero giuoco delle forze.

Infatti chi 200 anni fa avrebbe mai pensato che la Austria e la Prussia, gli Asburgo e gli Hohenzollem sarebbero diventati il fondamento e la base del nuovo Reich? E nello stesso tempo volendo dimostrate che il destino ha agito bene chi, oggi, potrebbe pensare a un Reich fondato sulle basi di una dinastia corrotta? Questo sta a dimostrare che l'evoluzione naturale ha collocato ognuno al posto che gli spettava: e sarà sempre così. Quindi non bisogna lamentarsi se più persone procedono per diverse vie per giungere alla stessa meta, infatti solo così il migliore e il più forte primeggerà sempre.

V'è una seconda causa che è tragica e commiserevole nello stesso tempo e cioè che nella vita dei popoli, movimenti omogenei tentino di raggiungere un fine che solo esteriormente è uguale. E questo deriva da invidia, astio, ambizione, egoismo che, talvolta risiedono in una sola persona. Allorché spunta all'orizzonte un uomo che consapevole delle tragedie del suo popolo, avendone trovato la causa, cerca la via di sanarle, subito, appena l'ha intrapresa, molte persone di poco conto sono attirate e seguono l'opera di quell'uomo che ha concentrato su di sé l'attenzione. Gli uomini si comportano come i passeri, che con estrema noncuranza, ma con reale attenzione badano al compagno che è riuscito ad accaparrarsi una briciola di pane e al momento opportuno, sfruttando una eventuale disattenzione, gliela portano via, cioè gli uomini appena hanno individuato dov'è la briciola, cioè la meta, affrettandosi, vi giungono da una via diversa e più rapida. Così appena si fonda un nuovo movimento e si redige un programma, arrivano sempre delle persone che con la scusa di adoprarsi per giungere allo stesso fine, non si curano di riconoscere la priorità, ma s'impossessano dei fondamenti di questo per fondare un nuovo partito. E spudoratamente dichiarano pubblicamente che da tempo progettavano la stessa cosa, e così piuttosto che ricevere il generale disprezzo sono anche esaltati.

Infatti è un'azione vile sbandierare a tutti idee, direttive e programmi di altri come propri e poi percorrere questa via proprio come se tutto ciò fosse suo personale. Il culmine di questa azione meschina si nota soprattutto quando le stesse persone che causarono frazionamenti e dispersioni, vedendo gli avversari essere in notevole vantaggio su di loro e sentendosi impossibilitati a raggiungerli, si fanno paladini della necessità di essere uniti. A questo modo di agire si deve aggiungere il cosiddetto frazionamento nazionalista. Certamente la formazione di movimenti e di partiti che si chiamano "nazionali" fu negli anni 1918-1919, pretesa dagli stessi fondatori come l'evoluzione naturale degli avvenimenti. Così già nel 1920 il nazional-socialismo si era imposto e alla lunga era uscito vincitore. Ogni fondatore, agendo onestamente, avrebbe dovuto sacrificare il proprio partito fondendolo a quello più forte.

Infatti si comportò così il principale esponente del partito sociale tedesco a Norimberga Julius Streicher. Il suo e il nostro partito avevano gli stessi fini anche se avevano completa autonomia, come tese a precisare lo stesso Julius Streicher allora docente a Norimberga, il quale era completamente votato alla missione e al futuro del suo movimento. Ma quando si accorse della forza e della supremazia del partito nazional-socialista esortò i suoi compagni a militare nelle file di questo per il fine comune.

Decisione terribilmente difficile e propria di un magnanimo. Dalla risoluzione presa non derivò alcuna dispersione di forze tanto che la rettitudine degli uomini di quel tempo portò alla giusta conclusione. Ma il frazionamento nazionale è derivato dalla seconda causa esposta: cioè persone ambiziose, senza scrupoli, si sentirono ad un tratto chiamati, loro che non avevano avuto né ideali né mete, proprio nell'istante in cui videro concretizzarsi la nostra meta. In un attimo sorsero ideali, fini, programmi copiati completamente dai nostri e per i quali noi avevamo tanto combattuto. In tutte le maniere si cercò di ingannare la gente cercando di far credere loro nella necessità di fondare nuovi partiti sebbene ci fosse già il nazional-socialismo: ma le frasi suonavano tanto più false quanto più nobili erano i motivi da cui erano mosse. In pratica s'era seguito un solo filo conduttore e cioè l'egoismo smoderato dei fondatori, i quali volevano sostenere compiti che in realtà non sentivano e di cui si erano appropriati con la loro bassezza degna di un malandrino.

Così il loro desiderio di grandezza li spingeva a servirsi, senza scrupoli, di ideologie altrui. In seguito proprio questi furono coloro che inneggiarono alla "necessità dell'unità" contro il frazionamento nazionale, che essi deprecavano. Questi scellerati avevano in mente di abbindolare gli altri, così che questi, fiaccati dalle accuse menzognere, cedessero agli stessi furfanti non solo la loro ideologia ma gli stessi movimenti atti a concretizzarla. Fallite le loro mire, per la loro incapacità, moderarono le loro pretese e furono soddisfatti nell'attuare soltanto le Comunità di lavoro.

Tutto quello che vacillava per la propria debolezza, trovava un saldo appoggio in queste comunità come se otto persone menomate unite insieme dessero come risultato un gigante. Ma anche se ci fosse stata una persona sana tra i menomati, questa avrebbe dovuto far ricorso a tutta la sua energia per sostenere gli altri, e così restava ella stessa imprigionata. Noi dobbiamo ritenerci come una questione pratica il riunirci in queste Comunità di lavoro, ma nel prendere una decisione dobbiamo aver chiaro questo monito: il riunirsi in una Comunità di lavoro non comporta il rafforzamento di una Associazione debole, anzi è vero il contrario, cioè che si potrebbe determinare l'indebolimento di una Associazione forte a causa di queste. Non è quindi vero che dall'unione viene la forza perché, e molti esempi sono testimoni, la maggioranza tenderà sempre verso una forma di oscurantismo e di indigenza. Quindi una comunità di lavoro dipendente da una direzione i cui esponenti sono stati eletti dalle singole Associazioni, tenderà sempre verso l'inoperosità a causa della pigrizia. Inoltre queste unioni non favoriscono certo il gioco delle forze, per cui il migliore resta impedito e sacrificato e non può aspirare alla vittoria finale.

Quindi queste unioni sono per lo più di ostacolo al fine ultimo. Può anche succedere che il gruppo dirigente di un movimento, per un fine pratico, si voglia unire alla Comunità di lavoro per la risoluzione di alcuni problemi, ma questa unione non deve essere eterna, se no verrebbe meno alla sua missione. In quanto, allorché si sia legato per sempre a una di quelle Comunità non avrà più il mezzo di far sviluppare organicamente il proprio programma in modo da arrivare vincitore alla meta proposta. D'altronde se guardiamo ai grandi successi ottenuti sulla terra dobbiamo riconoscere che essi furono dovuti all'abilità di una sola persona e non fu quindi il frutto di più persone riunite insieme e allorché sono dovuti a questo, allora fin dall'inizio avevano il germe della futura rovina. Se si considerano le rivoluzioni di carattere spirituale, che diedero un altro volto al mondo, osserviamo che non derivano da una coalizione ma solo dalla grandezza di singole persone. E cosi lo Stato nazionale, non potrà mai sorgere da una Comunità di lavoro, ma solo chi fa rettitudine e perseveranza di un solo movimento che superiore agli altri riesca a marciare con sicurezza verso la meta.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo IX

Lo stato precedente poggiava le sue basi sopra tre tipi di fondamento: la forma statale monarchica, la burocrazia e l'esercito. Con la rivoluzione del 1918 abbiamo il totale crollo di queste fondamenta e di riflesso crollò anche l'autorità statale che in queste ha quasi sempre gli elementi della propria autorità. La popolarità è la prima pietra per creare l'autorità, ma se questa fosse l'unico caposaldo, l'autorità sarebbe ancora molto insicura e traballante, quindi qualsiasi autorità ha il compito di rinforzare la prima mediante la formazione della forza. Quindi è nella creazione della forza che si deve ricercare la seconda pietra fondamentale dell'autorità, che pur essendo più sicuro non è più saldo del primo. Allorché un'autorità basata su forza e popolarità dura un certo periodo, allora si può pensare che fondandola anche sulla tradizione si riesca a rinforzare le basi a tal punto da ritenerla incrollabile. Con la rivoluzione però si ebbe lo sfacelo completo di questa teoria. Insieme alla fine del Vecchio Reich, e delle sue istituzioni, della sua grandezza, la stessa tradizione fu colpita a morte insieme all'autorità dello Stato. D'altronde non ci si poté affidare neanche alla forza, in quanto era stato disgregato lo stesso esercito facendo entrare nel giuoco della rivoluzione alcune persone corrotte che vi facevano parte. Si salvavano da questa corruzione solo gli eserciti del fronte che purtroppo col passare del tempo risentirono enormemente della completa disorganizzazione che v'era in patria tanto che dovettero cedere e adattarsi all'obbedienza volontaria dei Consigli di. soldati. Purtroppo non si poteva più ristabilire una autorità su questi soldati ribelli che consideravano il loro compito come un qualsiasi impiego tanto che la garanzia dell'autorità era inesistente e la rivoluzione poteva basare questa solo nella popolarità, che non dava certo una grande sicurezza. Così l'antico edificio statale crollò solo perché l'equilibrio del nostro popolo era stato già minato dalla guerra. Ogni popolo può essere diviso in tre ordini: il primo formato da uomini che basavano sulla abnegazione al dovere e sul coraggio ogni loro virtù, il secondo contraddistinto da forti egoismi e vantaggi personali, il terzo la parte più omogenea in cui non primeggiano né i caratteri dell'uno né dell'altro. Così avremo un continuo progredire solo quando la prima classe, la più nobile, riesce a prevalere, mentre ci sarà un periodo di calma, di stabilità, quando domina la terza classe, e si equilibrano le altre due, e infine un oscurantismo e un crollo allorché domina la seconda. È importante osservare come la terza classe formata dalla massa delle persone, riesca a dominare solo quando le altre due si contendono il potere, ma appena una delle due riesce a vincere essa si subordina al volere del più forte senza lottare mai.

Ora, la guerra durata quattro anni e mezzo ha rotto l'equilibrio delle tre classi indebolendo non solo la terza ma soprattutto la prima, la più nobile che con estremo senso del dovere non esitò a sacrificare la propria vita per la patria. Si hanno migliaia di esempi di volontari in tutti i campi, da quelli al fronte, a quelli di perlustrazione, per i battaglioni d'attacco, per i sottomarini, per gli aerei.

Ci furono sempre i volontari pronti a compiere il loro dovere, dal giovane all'uomo maturo, spinti tutti dallo stesso ardore. Alla lunga questi eroi si assottigliarono sempre di più. Quelli che non trovarono la morte rimasero gravemente menomati e così esposti a qualsiasi colpo. Nel 1914 vi furono interi eserciti di volontari i quali impreparati completamente alla guerra, a causa degli stolti governanti, furono mandati a morire come carne da macello.

Nessuno poté ridare la vita alle quattrocentomila persone che morirono o rimasero menomati nella battaglia delle Fiandre, non solo come militari, ma come uomini magnanimi di forti e grandi ideali e insieme a loro fu spezzato completamente l'equilibrio che favorì la classe più vile e, più marcia che, consapevole solo dei propri interessi, s'era saputa conservare intatta durante i quattro anni e mezzo di guerra, tanto che si può dire che per ogni eroe che dopo la morte sali al Walhalla vi fu un traditore o un imboscato che- preferii evitare la morte per giovare alla patria. Cosi, finita, la guerra e tirate le somme ci si accorse di come il pesantÈ, tributo della guerra fosse stato pagato soprattutto dalla classe media e da quella più nobile, mentre la più infame, favorita dalla non osservanza di alcune leggi, si salvò quasi completamente. Così questa poté fare la rivoluzione non avendo di fronte più nessuno che li potesse contrastare. Non fu quindi una rivoluzione sentita da tutta la massa tedesca, ma un tradimento compiuto dalla feccia più bassa della società.

Il soldato che aveva combattuto fu felice di poter tornare nel focolare domestico tra i suoi cari, ma non partecipò alla rivoluzione, non la riconobbe, non riconobbe gli uomini che l'avevano fatta. Con la lunga guerra aveva imparato a dimenticare i caratteri dei movimenti politici e i loro intrighi non gli interessavano più. Solo una piccola parte del popolo la accettò, e cioè in quella videro nel sacco alla tirolese il distintivo dei cittadini bene meriti del nuovo Stato, e furono vicini ad essa solo per le sue ripercussioni. Ma un'autorità solida non si poteva basare sul successo di questi intriganti marxisti. Ciò nonostante lo sforzo principale della rivoluzione era quello di ricercare ad ogni costo un'autorità, se non voleva veder fallito il suo tentativo da una controrivoluzione fatta dalle ultime sagge persone del nostro paese. Così accanto alla sua instabile popolarità costituì una forza organizzata che le assicurasse l'autorità. Così quando i principali esponenti della rivoluzione nel periodo che va tra il dicembre 1918 e il gennaio 1919 percepirono che i loro sforzi stavano per fallire cercarono nella forza dell'esercito il mezzo per non crollare.

Così quella che era una repubblica antimilitarista dovette far ricorso alla milizia. Ma poiché la loro popolarità, su cui fondavano l'autorità, era costituita solo da ubriaconi, manigoldi, vigliacchi, cioè dalla feccia del paese, non si potevano trovare persone disposte a morire per il nuovo ideale. Questa marmaglia che caratterizzava il nuovo ideale e che aveva fatto la rivoluzione, era completamente impossibilitata a formare un esercito per difenderla, giacché il loro fine non era organizzare una repubblica, ma creare il caos per poter espletare i propri istituti e il segno di riconoscimento non era costruire ma dilaniare la repubblica tedesca. Per questo non fu raccolta in quel ceto l'implorazione dei delegati del popolo, che anzi, produsse solo repulsione, in quanto con quel gesto si intravide un venir meno ai patti e nella concretizzazione di una autorità fondata non solo sulla popolarità ma anche sull'esercito, vi era il germe della lotta contro tutto ciò che per quel ceto era basilare, cioè contro il diritto al saccheggio e al governo di ladri, di criminali evasi o liberati, insomma di tutta la feccia.

Così, benché i delegati del popolo sbraitassero e si affannassero, nessuno si mosse e anzi furono considerati traditori proprio da coloro su cui si basava la popolarità. Così per reazione, guidati dal loro ardore giovane e in difesa della tranquillità e dell'ordine, giovani volontari si misero a loro disposizione e di nuovo militari si posero in difesa della patria contro gli eventuali distruttori. Così, pur odiando la rivoluzione, indossarono la divisa e incominciarono a difenderla, in pratica la rinforzarono.

Così l'unico vero promotore della rivoluzione, colui che valutò i risultati, cioè l'ebreo cosmopolita, gioì della situazione. I tedeschi non erano ancora giunti come i russi al punto di essere trasportati nella sanguinosa fogna bolscevica e questo perché non ci fu mai divario tra gli intellettuali e gli operai tedeschi in quanto, erano, come in altri stati, amalgamati gli uni negli altri, perché c'era una più salda unità di razza, cosa che non ci fu mai in Russia. Lì infatti l'Intellighenzia per la maggior parte non era di origine russa o almeno non aveva una individualità di rosso slavo. Così lo scarso numero di intellettuali faceva sì che questi potessero essere annullati grazie anche alla deficienza di persone intermedie che li amalgamassero con la massa, nella quale era quasi nullo il livello spirituale e morale. Così fu sufficiente scatenare questa massa ignorante contro gli intellettuali, da cui essa era staccata per ottenere la vittoria della rivoluzione. Il popolo ignorante divenne schiavo dei suoi dittatori ebrei, i quali mascherarono la loro carica sotto il nome di "dittatore del proletariato".

In Germania la spinta per avviare la rivoluzione avvenne solo grazie allo sfacelo dell'esercito che non fu procurato dal combattente in prima linea ma dalle leve che covavano nell'ombra e dalle guarnigioni più interne. Come è logico il menefreghista per paura di morire in prima linea rischiava sempre la vita.

Al fronte l'unica maniera per trattenere al proprio p sto chiunque abbia paura di morire è di fargli capire che morrà lo stesso se si comporterà da disertore: anzi, mentre nel primo caso se la può cavare, nel secondo la morte lo colpirà certamente. Solo in questa maniera si sarebbe posto fine a qualsiasi tentativo di diserzione e proprio a questo effetto tendevano gli articoli di guerra. Era insensato pensare di poter difendere il paese basandosi solo sulla coscienza del singolo, e dal riconoscimento del bisogno, in quanto, questa convinzione è giusta solo nei riguardi delle persone più nobili mentre non è più valida per le altre. È proprio per questo che deriva la necessità di regolamenti particolarmente severi: come le leggi contro il furto che tesero a colpire le persone senza scrupoli, le malvagie, non quelle oneste. Ed anche per non far passare l'onesto per sciocco e far sì che creda giusto rubare piuttosto che farsi derubare. Fu un grande errore credere di poter vincere una guerra che sin dall'inizio si prospettava lunga e difficile, senza ricorrere a precise sanzioni contro coloro, che, deboli di natura non avrebbero il coraggio di resistere al loro posto. Quando si combatte ogni giorno con la morte, sotto il vento e la pioggia, in mezzo a tutte le difficoltà il soldato non completamente sicuro di sé si può scoraggiare e allora a trattenerlo non basta lo spauracchio della prigione, occorre porre davanti ai suoi occhi la pena di morte. La recluta specialmente, vede nella reclusione un evadere dalla morte e la preferisce senz'altro alla guerra: li sarà al sicuro.

Eliminando la pena di morte si commise, un grande errore e praticamente si annullarono i regolamenti di guerra. Così migliaia di disertori, principalmente nel 1918, ripararono in patria e formarono quella congregazione che dopo il 7 novembre 1918, fu la maggiore forza della rivoluzione. Ma di questo i soldati al fronte non ne avevano colpa, essi desideravano la pace e infatti proprio queste diedero i più grandi grattacapi ai rivoluzionari i quali si domandavano stupefatti, se i soldati del fronte avrebbero tollerato quella nuova situazione. Così nelle prime settimane la rivoluzione si presentò esternamente blanda per non correre il pericolo di essere annullata dalle truppe tedesche. Infatti se un solo comandante di divisione avesse voluto annientare con i suoi fedeli soldati, gli stracci rossi e passare per le armi i Consigli, di soldati la sua divisione si sarebbe in brevissimo tempo centuplicata. E proprio questo temevano gli ebrei che erano promotori della rivoluzione. Così la rivoluzione assunse un aspetto moderato, diversa appunto da quella bolscevica e tendente a far credere suo unico scopo la tranquillità e l'ordine. Da questa paura derivarono le molte elargizioni, i riferimenti alla passata burocrazia e ai vecchi generali in quanto in quel momento si aveva necessità di questi.

Infatti una volta che la loro funzione venne meno furono scaraventati da una parte per lasciare libero gioco ai rivoluzionari. Solo così si riuscì a rendere innocua a priori ogni opposizione e nello stesso tempo a far vedere quanto utile fosse il nuovo governo. Fu una tattica riuscitissima, ma i rivoluzionari erano formati da gente violenta, priva di scrupoli e beati del caos.

Essi infatti credevano che la rivoluzione non si svolgesse secondo i loro schemi, ma per questioni pratiche non si poteva spiegare la divergenza dal regime da loro voluto. Cosi mentre la socialdemocrazia aumentava di numero perdeva sempre più il carattere rivoluzionario. Certamente lo ideale sarebbe stato quello rivoluzionario e i suoi maggiori esponenti avevano teso sempre a questo, ma alla fine era rimasto solo un ideale e non un'élite atta a farla: con dieci milioni di affiliati non si può fare una rivoluzione. Infatti l'estremismo di pochi, l'unico attivo idoneo a fare una rivoluzione, aveva lasciato il posto alla massa cioè alla lassatezza. Per questo gli ebrei ancora durante la guerra scissero la socialdemocrazia. Così si tolsero gli estremisti dal partito, mentre il grosso della socialdemocrazia rimaneva pigramente ancorato a posizioni di difesa nazionale e i nuovi elementi furono la base di un nuovo attacco.

Esempio degli estremisti-attivisti del marxismo rivoluzionario fu il movimento indipendente e la Lega Spartaco. Ad essi toccava di sopportare il peso della rivoluzione, spianando cosi il terreno alla massa informe del partito socialdemocratico che fu considerata alla stregua dei vigliacchi, tanto è che nessuno di questa massa, fece parte del movimento pur essendo cosciente della scarsa resistenza che avrebbe opposto il già logoro regime.

Dopo il buon esito della rivoluzione per un attimo si credette che le fondamenta del paese fossero infrante, ma non si fece il conto con le truppe che tornavano dai campi di battaglia e di cui non si potevano prevedere le reazioni, per cui si dovette moderare la regolare genesi della rivoluzione: così la maggior parte dell'esercito fu messa ai posti ottenuti, scansando da una parte le truppe indipendenti e spartachiste che pur erano servite per il buon esito della rivoluzione. Certamente ciò non avvenne per tacito consenso. Ci fu la lotta da parte degli attivisti che sentendosi me nomati e traditi, continuarono a combattere da soli, ma questa loro nuova ostinazione non era più gradita a coloro che avevano in mano le sorti della rivoluzione.

Tra i rivoluzionari si formarono due fazioni, da una parte i moderati e dall'altra i sanguinari. Logicamente la borghesia si accostava al partito più moderato e più tranquillo. Così per i borghesi vi fu di nuovo la possibilità di riprendere quota politicamente anche se ciò era dovuto all'alleanza che essi tanto temevano e odiavano.

I borghesi poterono così combattere i bolscevichi fianco a fianco con quei disgraziati capi marxisti. Così già tra il dicembre 1918 e il gennaio 1919 nel paese c'era quest'ordine di cose: una minoranza senza scrupoli ha fatto una rivoluzione alla quale vanno dietro i movimenti marxisti e nello stesso tempo acquista un carattere, cosa che non va giù agli esaltati estremisti i quali cominciano a mettere bombe, a sparare, ad occupare edifici pubblici, così da mettere in crisi la rivoluzione moderata. Questo fece correre ai ripari il nuovo governo che alleatosi col vecchio incominciò a lottare contro quei disturbatori dell'ordine pubblico.

Così quelli che erano nemici della repubblica mettendo da parte l'ostilità l'aiutarono a sgominare altri che erano nemici se pure per altri motivi. Nello stesso tempo non si doveva più temere alcuna rivalsa tra i componenti del vecchio regime. Solo considerando questo fatto si può capire come sia riuscita una rivoluzione fatta da un decimo della popolazione. In mezzo alle lotte si assottigliavano soprattutto le forze estreme, cioè da una parte gli spartachisti delle barricate e dall'altra gli esaltati e i nazionalisti, e così via via che questi si indebolivano avanzava la classe di mezzo. La Borghesia e il Marxismo si unirono allorché le fazioni erano state fatte e così lo Stato iniziò a fortificarsi. Per un certo periodo i borghesi propugnarono ancora la causa monarchica, pur non sentendola più, all'unico scopo di ottenere voti e questo comportamento sleale, faceva sentire quanto alto fosse il potere di corruzione del nuovo governo.

Come ho già detto, dopo lo smembramento dell'esercito, la rivoluzione dovette formare una nuova base di saldezza per rendere costante la sua autorità. L'esercito di cui aveva bisogno non poteva derivare da elementi simili al suoi, ma solo dai suoi oppositori, ed anche se limitato a causa dei numerosi trattati, in seguito cambiò la sua concezione per diventare un'arma del nuovo Governo. Non considerando i difetti e i vizi del precedente governo si può definire che esso crollò a causa del mancato dovere e senso di responsabilità, a causa del continuo astenersi dei partiti conservatori. Inoltre dobbiamo considerare che lo scarso senso di responsabilità e del dovere è causa di una educazione soprattutto statale e troppo poco campanilistica e nazionale. Inoltre non va compreso il mezzo con il fine: il senso del dovere non deve essere fine a se stesso come non deve essere un fine a sé lo Stato, ma devono essere mezzi per poter raggiungere il benessere di tutti i cittadini. La borghesia per questo si trova meglio ora nella fogna della corruzione repubblicana che nella lucentezza del vecchio regime.

Però, se noi consideriamo il momento in cui lo Stato sta venendo meno a causa di una rivoluzione, fatta e voluta da pochi, obbedire a questa solo per un presunto senso del dovere, diventa pura follia e scempiaggine; al contrario, un netto rifiuto può rendere salvo uno Stato.

Secondo le attuali disposizioni il comandante avendo, ricevuto dai superiori l'ordine di non sparare ha agito bene se non ha sparato perché l'obbedienza formale ad un ordinamento borghese è più importante del futuro stesso del, Paese. La mentalità nazional-socialista in tali frangenti.. avrebbe ordinato esattamente il contrario in quanto essa considera sacra la patria e non presta orecchio ad ordini di funzionari deboli. In simili frangenti, da soli, si doveva prendere la responsabilità di fronte all'intera nazione. Questa conoscenza non esisteva più nel nostro paese, anzi nel governo, a cui vi era stata sostituita una teoria di puri concetti formali, causa prima del successo dei rivoluzionari. Perché il marxismo ebbe come base il principio che è necessario l'uso delle armi come mezzo pur di raggiungere, il fine proposto. Il pericolo che va dal 7 all' 11 novembre 1918 confermò l'esattezza di questa tesi.

Così, il marxismo, scavalcando il parlamentarismo e la democrazia, diede loro il colpo di grazia con criminali senza scrupoli che non esitarono a sparare. Logicamente lÈ chiacchiere borghesi non servirono a molto. Dopo la rivoluzione i partiti borghesi, anche se sotto un'altra forma riaffiorarono nell'orizzonte politico, uscendo fuori dalle loro tane e dai loro nascondigli. Ma purtroppo la passata esperienza non aveva insegnato loro assolutamente niente tanto è vero che rispolverando l'antico comportamento continuarono ad avere nelle loro chiacchiere l'unica arma. Così anche dopo la rivoluzione non ebbero mai il successo popolare.

Quanto all'astensione dei partiti conservatori, questa derivò dal venir meno dei progressisti e dei migliori che avevano lasciato la vita sui campi di battaglia. Inoltre, questi, che praticamente rappresentavano le uniche opposizioni politiche durante il vecchio governo, ritenevano di dover difendere le loro posizioni solo verbalmente in quanto l'uso della forza era compito unicamente dello Stato. Questo modo di pensare denotava una mancanza di solide basi e un serpeggia re di decadenza che era del tutto anacronistico per quei tempi in cui diversi partiti di opposizione non esitavano di ricorrere alla lotta aperta pur di raggiungere i propri scopi. Specialmente al sorgere del marxismo nel mondo democratico l'avviso a combatterlo con armi intellettuali era del tutto assurdo e se ne risentirono le conseguenze. Quando si propose la legge per difendere lo Stato, coloro che erano propensi ad essa non erano sufficienti per la maggioranza e fu allora la codardia dei borghesi, timorosi di essere picchiati dalla folla marxista raccolta davanti al Reichstag, che la fece passare. Purtroppo, a causa di questo atto, non furono picchiati. Così lo sviluppo politico del paese avvenne per una sola via, mancando una vera forza all'opposizione. Le uniche opposizioni vennero dai corpi franchi e dai sistemi di protezione personale e in ultimo dalle Leghe tradizionali.

Ma non influirono sulla storia della Germania in quanto mancavano dell'unica forza dei partiti borghesi, cioè un vero ideale politico cui portare avanti la loro causa. Quello che aveva portato alla vittoria marxista fu proprio il compenetrarsi dell'ideale politico alla forza bruta. E fu proprio per questa deficienza che la Germania nazionale non poté portare alcun contributo alla causa del partito in quanto mancavano di una vera forza per la realizzazione di questo ideale. Le leghe di difesa avevano l'unica arma nella forza ma purtroppo nessuna coscienza politica che la potesse avvicinare alla Germania nazionale. E sia nell'uno che nell'altro caso la furbizia ebrea seppe trarre il dovuto vantaggio da queste défaillances avversarie. Gli ebrei, mediante la potente arma della stampa inculcarono l'idea del marchio non politico delle leghe di protezione, e la politica, altrettanto furbescamente ammirò e pretese la semplice intellettualità della lotta. E milioni di tedeschi da perfetti imbecilli la pensarono alla stessa maniera legandosi mani e piedi e immettendosi così nel giuoco ebreo. Ma v'è una scusa anche per questo in quanto la mancanza di un vero grande ideale fu sempre la causa inibitrice della volontà di combattere, in quanto la presa delle armi, per la gravità delle conseguenze, è sempre subordinata alla realizzazione di un nuovo ideale che porti a un nuovo assetto completamente differente, questa infatti è l'unica maniera per fare ricorso alle armi. La rivoluzione francese poté ottenere successo grazie soprattutto al suo nuovo ideale e così la rivoluzione russa, e sempre da questo derivò la forza che permise al fascismo di dare al paese un nuovo regime.

I partiti borghesi sono impossibilitati a compiere tanto. Non solo i borghesi si rifacevano a schemi ormai superati ma anche le leghe di protezione, sempre nella quantità in cui si occupavano della vita sociale. In esse v'erano le superate tendenze alle Associazioni di combattenti che inibirono ancora di più le armi della Germania nazionale e la resero schiava della repubblica. Anche se queste leghe agirono sempre onestamente non sminuisce la caratteristica suicida del loro avanzare. Per questo nella restaurata Reichswehr il marxismo ottenne la forza di cui mancava e coerentemente smitizzò la funzione delle leghe di protezione. Così furono accusati e imprigionati i capi a loro non fedeli e tutti ebbero il destino che si erano voluti.

Col sorgere del nostro partito si ebbe un movimento che non adagiandosi su soluzioni anacronistiche tese a dare una nuova organica alla insensata organizzazione statale. Fin dal primo momento il nostro partito si pose come scopo un ideale non disdegnando in caso di bisogno il ricorso alle armi pur di giungere allo scopo.

La piena volontà di realizzare questo fine diede il convincimento che per esso si sarebbe dovuto sacrificare qualsiasi cosa. Già ho parlato di una difesa del popolo, e di come, per entrare nelle sue grazie, un movimento lo debba difendere opponendosi alla brutalità degli avversari. Leggendo la storia si può notare come uno Stato senza una reale forza e convinzione, sia impotente a contrastare il pericolo derivato da un nuovo fine e che questo può essere sconfitto solo contrapponendo in maniera risoluta una nuova volontà. Questo fatto, odioso alla burocrazia statale, rimane pur sempre un punto fermo.

Infatti un ordinamento statale potrà assicurare pace e tranquillità solo quando in esso vi sia la concretizzazione dei suoi ideali, nel qual caso qualsiasi ribellione viene considerata criminale e tesa a ledere la concezione stessa della Nazione.

Così per quanto uno stato tenti di sopprimere con l'uso delle anni ogni tentativo rivoluzionario, dovrà capitolare allorché si trova privo di questa concezione. Il marxismo attaccò lo stato germanico e dopo 60 anni di lotte trionfò benché il governo non fosse stato avido di condanne e di pene anche capitali. Il governo che cedette le anni al marxismo il 9 novembre 1918 non potrà mai uscire vincitore sul marxismo.

Già adesso gli incapaci borghesi, le cui mire sono rivolte a conservarsi una poltrona al ministero affermano che la loro politica non deve andare contro gli interessi degli operai intendendo per operai il marxismo. Ma unendo le due cose non solo falsano la verità, ma cercano di nascondere il loro fallimento di fronte all'idea e al meccanismo marxista. Questo continuo cedere da parte dello Stato, aumenta nel movimento nazionalista la volontà di combattere apertamente contro la valorosa Internazionale per realizzare insieme ai russi intellettuali il successo del suo ideale. Ho già messo in evidenza come per prudenza fin dall'inizio abbiamo organizzato gruppi di difesa nei comizi e piano piano essi siano divenuti truppe d'ordine e tesero ad un organico inquadramento. La quale organizzazione poteva sembrare simile alle leghe di protezione ma in effetti se ne distaccava parecchio. In quanto le Leghe non avevano una dimensione politica e si riducevano alla protezione personale organizzata proprio per questo fine: erano un rinforzamento illegale delle forze statali. La loro franchezza dipendeva esclusivamente dalla loro organizzazione e dalle circostanze in cui si dibatteva lo Stato: comunque non si potevano considerare delle istituzioni indipendenti dedite all'esplicazione. Ma non erano tali in quanto non ponevano la loro autonomia al servizio di un nuovo ideale, anche se vi erano alcune prese di posizione che si rivolgevano contro il governo.

Non è sufficiente pensare che l'attuale sistema manchi di ideali per raggiungere una concretezza nell'ideologia stessa, la quale si raggiunge soltanto nel momento in cui si conosce un valido ordinamento da sostituire e si pensa che l'unico fine della vita dell'uomo sia quello di vederlo attuato.

La differenza sostanziale tra le nostre truppe d'ordine e quelle delle Leghe consiste nel fatto che le nostre rifiutarono di seguire la rivoluzione, ma si impegnarono solo per la realizzazione di una nuova Germania. All'inizio il loro reale compito era quello di prevenire disturbi e attacchi degli avversari durante i comizi. Fin d'allora caricò sempre a testa bassa non per un cieco gusto di violenza ma perché sapeva benissimo che le parole suadenti non servivano a molto allorché si è presi a botte: e il passato è ricco di esempi in cui grandi personalità perirono a causa di insignificanti persone. Quindi il loro scopo era proprio quello di poter permettere ai loro esponenti di divulgare le concezioni del loro movimento senza dover temere il bastone avversario, e d'altra parte capi che non era suo compito difendere un governo che non difendeva il paese. Altresì si pose a difendere il popolo e la Nazione da chi voleva minacciarli.

Dopo l'avventurosa riunione tenuta nella Birreria di Corte a Monaco furono fregiati del titolo di reparto di assalto, che voleva mettere in evidenza il loro compito distinguendolo da tutti gli altri e inserendolo nell'organico del movimento. La loro funzionalità e importanza non scaturirono solo da quel comizio ma anche allorché allargammo a tutta la Germania le idee del nostro movimento. Così il marxismo appena vide in noi un possibile rivale tentò con ogni mezzo di sabotare le nostre riunioni. Logicamente il suo gesto, avvenuto a livello politico, destò la massima approvazione nel partito. Ma come si può comprendere la gioia dei borghesi quando la fortuna ci voltava le spalle, essendo stati essi stessi battuti dal marxismo e non avendo più l'appoggio popolare? Forse erano felici solo perché vedevano che non v'era nessuno che poteva riuscire a sconfiggere il marxismo che li aveva sottomessi.

Come bisognava comportarsi con i delegati statali, con i questori di polizia, con i ministri che forgiandosi del titolo di nazionali si trovavano sempre a scindere gli interessi dei marxisti in opposizione a quelli nazional-socialisti? Come bisognava comportarci con uomini che pur di ottenere l'appoggio della stampa ebraica si scagliavano contro coloro che li avevano salvati dalla morte e avevano fatto in modo di prevenire la loro impiccagione a qualche lampione? Questo stato di cose colpi tanto duramente il già presidente Pöhener da gridare scandalizzato: "Per tutta la vita il mio scopo principale è stato quello di essere tedesco e non vorrei essere mai scambiato per uno di quei dirigenti che ignobilmente fanno i leccapiedi a chiunque sia il più forte in quel momento".

Ma il fatto più grave fu che a causa di questo comportamento molte persone il cui scopo era quello della difesa del paese, furono dominati da gente simile e per di più cominciarono a comportarsi alla stessa maniera. Quei leccapiedi non esitarono a sfogarsi contro la brava gente, riuscirono a togliere loro il posto e il grado, questo sotto la lurida maschera di nazionali. Nessun aiutò si poteva pretendere da simili persone e solo pochissime volte, ci fu concesso. Solo costruendosi una propria forza ci si poteva basare su una sicurezza e su un rispetto universale che sono propri di chi sa difendersi in ogni occasione, potevano sperare. Per l'organizzazione del reparto d'assalto si tese soprattutto a realizzare un'efficiente forza mediante una preparazione fisica e, nello stesso tempo, mediante un preparazione morale, da renderlo il più radicato assertore dell'ideale nazional-socialista, il tutto fatto apertamente senza occulte trame.

Soprattutto un fatto mi convinse che il nostro reparto non doveva prendere l'aspetto delle Leghe di protezione e cioè che la difesa di una popolazione può essere attuata solo con l'aiuto statale. Chi la pensa diversamente pecca di presunzione. Infatti non si potranno raggiungere risultati militari da movimenti formati da adesioni volontarie, in quanto proprio per il carattere particolare di questi mancherebbe la base dell'autorità, cioè la punizione. Nella primavera 1919 si poterono realizzare dei corsi franchi ma solo perché nel loro seno vi erano moltissimi ex combattenti ligi agli ordini militari e perché il genere di incarichi che affidavamo comportavano una cieca obbedienza. Cosa che ora non esiste assolutamente nel presente sistema di difesa volontario. Tanto più esso si amplia, tanto meno si può pretendere disciplina da ogni affiliato, e tanto meno assumerà il carattere politico alla stregua delle ex associazioni di combattenti e di veterani.

Non si può dare un vero ordinamento militare a tante persone allorché manca la potenza del comando. Solo pochi si adatteranno ad obbedire con la stessa rigidità che vige nell'esercito. Inoltre bisogna tener presente anche i pochi mezzi che possono essere messi a disposizione da una lega di protezione, mentre proprio da questa dovrebbe scaturire un'educazione gagliarda, degna di credito. Sono già trascorsi diversi anni dalla fine della guerra e d'allora più nessun giovane ha ricevuto una concreta educazione militare e non deve essere certo compito della lega ricevere nel suo seno solo persone dotate di esperienza militare se no sarà indirizzata ad una lenta morte. Tra vent'anni la leva del 1918 non potrà più combattere e così questo movimento prenderà sempre più la caratteristica delle vecchie Associazioni di combattenti. Ma non è certo questo il compito di una Lega di protezione che come dice lo stesso nome vuole fornire non solo un rispetto alla tradizione, ma soprattutto badare alla protezione e alla difesa mediante l'istituzione di un corpo difensivo.

Questo comporta la creazione di una organizzazione per l'istruzione militare cosa che non si può permettere. Un'ora o due alla settimana sono troppo poche per creare un combattente, d'altra parte sono appena sufficienti due anni di leva per insegnare al soldato tutti i suoi compiti. La guerra è stata la prova della catastrofe che deriva da un cattivo servizio militare. Gli stessi volontari che per 15 o 20 settimane diedero tutto se stessi, durante la istruzione, si risolsero, in pratica, in tanti menomati buoni solo ad essere uccisi. Così fu necessario affiancarli ai veterani con i quali, nel giro di 6 mesi, riuscirono a rendersi utili elementi di un esercito: e tutto ciò sotto la guida dei veterani. Non si può formare un esercito di combattenti senza autorità e, con un istruzione di poche ore alla settimana! Questo servirebbe a tenere in allenamento dei veterani ma non a fare dei giovani tanti soldati. E i risultati sono ancora più scarsi se si considera che mentre si costituisce, con più o meno istruzione, una lega volontaria di protezione di 2000 persone risolute (gli altri non contano), lo Stato con i suoi ideali di democrazia e di pace fa deviare dal loro istinto patriottico milioni di giovani, indirizzandoli su vie meno bellicose, integrandoli nel suo sistema. Da ciò deriva l'assurdità di inculcare nei giovani idee di protezione e di difesa. Un altro argomento mi indusse a non dare fiducia a Leghe di protezione basate sui volontari. Ammesso e non concesso che superando questi scogli una Lega riesca ad impartire a diverse persone un'educazione difensiva, sia per la parte intellettuale che per la parte fisica e politica dell'uso delle armi, ciò non darebbe alcun profitto di quanto non sarebbe tollerato da uno Stato che ha fini diversi, rispecchianti la volontà dei suoi dirigenti. Quando un governo non appoggia, anzi bandisce la forza militare, non facendovi mai ricorso tranne che per salvare la propria sorte, allora questa non servirà a niente. E oggi accade proprio questo. È sciocco dare una preparazione militare ad alcune migliaia di persone quando lo Stato, poco tempo prima ha mandato al macello otto milioni e mezzo di soldati perfettamente preparati, offrendo, in cambio delle loro sofferenze, il pubblico disprezzò. Come si può preparare dei soldati per un governo che li insultò, strappò loro le decorazioni ed insudiciò la loro bandiera? Cosa ha fatto il Governo per onorare il glorioso esercito e punire i denigratori? Niente, anzi ai denigratori ha dato in premio alte cariche. Come suonano di scherno le parole pronunciate a Lipsia: "il diritto va con la forza" !Nel nostro Stato la forza è in mano ai rivoluzionari che, con la loro turpe azione ai danni del paese, hanno compiuto il più alto tradimento della storia del popolo tedesco. Per questo non vale la pena giovare a questo governo creandogli un valido esercito. L'importanza che esso diede, alla causa militare anche dopo la rivoluzione del 1918, si può meglio notare dall'atteggiamento preso contro le organizzazioni di difesa. Queste finché si batterono per la difesa di, persone vigliacche, fedeli alla causa della rivoluzione, furono accettate. Ma quando l'infiacchimento dello Stato non portava loro più alcuno pericolo e le leghe si rivolgevano verso il consolidamento della politica nazionale, allora non servirono più e pensarono bene di eliminarle. Nella storia sono rari i casi di riconoscenza da parte dei potenti, ma non c'è un solo fedele alla nuova borghesia che sia sicuro di ottenere la riconoscenza da questi rivoluzionari che si sono comportati da assassini, sfruttatori e traditori del popolo. Io, giudicando se fosse o no giusto creare Leghe volontarie di protezione mi sono sempre domandato "per chi addestro i giovani? Quale scopo sarà loro affidato in una guerra?". La risposta che ricavai fu la migliore indicazione per il mio comportamento. Se questo governo dovesse un giorno servirsi di questi dementi, non li impiegherebbe per la difesa del popolo dallo straniero, ma per salvare sé stessi, sanguisughe della Patria, dall'esplosione d'ira di tutto un popolo ornai giunto al massimo dell'esasperazione.

Per questo il nostro reparto d'assalto aveva un assetto completamente diverso da quello militare. Doveva servire come mezzo di protezione e di propaganda dei movimento nazional-socialista ed i suoi doveri erano differenti da quelli delle Leghe. li suo sviluppo non doveva essere un segreto, non doveva avvenire di nascosto perché tutto ciò che è segreto non è legale e quindi non può avere tutta l'autonomia di movimento che gli occorre. Poi, a causa del carattere del popolo tedesco, non è possibile divulgare un qualche cosa tenendolo segreto o nascondendone i veri fini: ogni prova sarà infruttuosa.

Bisogna far capire al marxismo che l'uomo della strada ha fiducia nel nazional-socialismo e che un giorno giungerà a comandare. Inoltre un movimento segreto può provocare dei dubbi negli elementi che lo formano, nel senso che perdendo di vista il fine e la maniera di giungervi, arrivano a credere che un'azione omicida possa dare una svolta completa al destino della nazione. Questa concezione ha dei precedenti storici: quando, per esempio, il Governo di un popolo è nelle mani di un tiranno, la cui grande personalità è l'unica base del suo dominio. Allora può essere che, dal popolo, un uomo possa compiere l'estremo gesto nei confronti di questo, a sacrificio della propria vita.

La polizia oggi può contare in un più grande numero di ubriaconi, di malfattori che, come Giuda, sono pronti a tradire per 30 denari, pronti a dire ciò che potrebbero sapere e a mentire su ciò che torna loro utile. C'è poi da considerare che non tutti sanno serbare il segreto, e ciò è importantissimo.. Solo pochi sono in grado, dopo selezioni durate anni, di organizzarsi in sette segrete: ma il loro esiguo numero non servirebbe per la causa del movimento nazionalsocialista. Per il nostro ideale ci servono migliaia di soldati pronti a tutto e non cento o duecento arditi settari. Non si deve procedere mediante adunanze segrete, ma in grandiosi cortei di massa. Non si deve andare avanti con il solo uso della violenza, ma al contrario, facendo convergere il popolo alle proprie idee.

Solo la concezione repubblicana di malfattori coscienti dei propri errori può giudicare riprovevole un tale gesto, ma il più noto esponente della libertà rese eterno, nel suo "Tell", la nobiltà di quei gesti. Nel 1919 e nel 1920 vi furono appartenenti a sette segrete che esausti delle condizioni miserevoli del loro paese e spronati dagli esempi storici cercarono di eliminare i colpevoli di quello stato di cose, sicuri di riportare all'antica prosperità il paese. Ma erano atti inutili in quanto la saldezza del marxismo non risiedeva in questo o in quell'uomo ma nella debolezza e nella vigliaccheria del mondo borghese. Il più grande colpo che si può rinfacciare a questo è proprio data dalla sua sottomissione alla rivoluzione benché da questa non sia sorta nessuna grande personalità. È comprensibile il cedere di fronte a un Marat, ad un Danton, ad un Manot ma non lo è più il cedere di fronte all'isterico Schiedemann, al grasso Eryberger, a un Federico Eber e a tante nullità politiche.

Non c'era nessun uomo che spiccasse per genio, tale da porre in seno pericolo il paese: vi furono solo sanguisughe e specie di spartachisti. Il sopprimerli non dava giovamento: sarebbero stati sostituiti da altri due con le stesse tendenze e le stesse capacità. In quel periodo, si contrastavano questi tipi di soluzione non adatte nella nostra epoca di nullità. Alla stessa maniera si risolve il quesito se fosse necessario sopprimere i traditori della nazione. È stupido uccidere un uomo perché ha ceduto la sua arma quando il paese è governato da persone che cedettero l'intero Reich, che sono responsabili della morte di 2 milioni di uomini, e di altrettanti mutilati, e intanto sbrigano i loro compiti nella massima tranquillità, propria dei repubblicani. È cretino eliminare traditori tollerati dallo Stato, perché lo stesso incolperebbe di omicidio il sano idealista che compisse il gesto. Ma allora viene naturale la domanda: un piccolo traditore deve essere ucciso da una misera persona o da un idealista? Nel primo caso il buon esito non sarebbe sicuro e in ogni caso il tradimento vi sarebbe dopo, nel secondo, per una persona di secondaria importanza viene esposta la vita di un idealista. Quanto a me sono del parere che non bisogna colpire i piccoli lasciando i grandi ma invece bisognerebbe istituire una corte di giustizia nazionale che condanni qualche migliaio di responsabili del tradimento di novembre e di tutto ciò che derivò da quell'atto. Questo servirà di esempio a quei miseri uomini che tradirono. Queste deduzioni mi portarono ad evitare le società segrete, a sconsigliare i reparti d'assalto a diventare così. Tenni infine in disparte il nazional-socialismo da tentativi fatti da inesperti tedeschi, spinti da un grande idealismo, che purtroppo non sfociarono a nulla di concreto per la salvezza del paese.

Dal fatto che il reparto d'assalto non doveva avere le caratteristiche né di un esercito militare né di una organizzazione segreta ne scaturivano queste conclusioni: la prima è che la loro funzione non poteva essere militare ma si doveva adattare alle esigenze del partito. Poiché gli elementi del reparto avevano bisogno di un allenamento fisico questo non doveva avere un carattere militare ma agonistico sportivo. La boxe e lo Jiu-Jjtsu, li ho sempre considerati importanti per la difesa e il fatto che questo non sia stato tenuto nella sua giusta importanza è negativo. Si indirizzino sei milioni di persone allo sport e la nazione ne gioverà in amor patrio e in agonismo, così in due anni se ne potranno fare degli ottimi soldati con una giusta istruzione.

Gli inquadramenti per questa istruzione, attualmente li può fornire solo la Reichswerhr e non le leghe di protezione. Lo sport deve infondere la sicurezza della propria forza e delle proprie capacità insieme alle capacità di difesa e di attacco. La seconda è che per evitare fin dall'inizio la segretezza del reparto d'assalto, a parte il fatto della divisa che deve essere conosciuta da tutti, l'elevato numero degli elementi deve fare scaturire l'indirizzo che sia più utile al movimento e sia di dominio pubblico. I reparti non devono meditare in segreto ma agire all'aperto e smentire così qualsiasi voce di setta segreta. Noi li convincemmo del grande ideale a cui erano chiamati, in modo che il loro senso di responsabilità non li portasse a far sfociare il loro attivismo in azioni inutili. Così la loro visualità si accrebbe e ogni elemento ebbe come scopo non il rivolgersi contro questo o quel malfattore, ma il sacrificarsi per l'ideale di uno Stato nazional-socialista. Così si ebbe una trasposizione della lotta non più indirizzata a fini immediati mediante piccole congiure, ma a fini superiori quale quello della soppressione del Marxismo e dei suoi esponenti. La terza è che l'organicità dei reparti d'assalto, la loro uniforme e i loro mezzi offensivi si debbono staccare dall'esempio dell'antico esercito, ma secondo le occasioni determinate dal loro dovere. Queste idee furono la base sulla quale negli anni 1920 e 1921 io organizzai il movimento, così che nel 1922 tra l'estate e l'autunno avevamo già parecchi uomini che si esaltavano della loro singolare divisa.Tre altre cause contribuirono per la completa formazione delle truppe d'assalto:

  1. la dimostrazione di massa che si svolse nella piazza reale di Monaco, a cui presero parte nell'autunno del 1922 tutte le Associazioni patriottiche. Esse infatti, in quel periodo, avevano organizzato questa manifestazione per protestare contro la legge di protezione dello Stato. Anche noi eravamo convocati. Così iniziammo la manifestazione con sei truppe di Monaco, a cui seguivano le sezioni del partito. Il corteo era accompagnato da due bande e sopra di noi sventolavano quasi quindici coccarde. Si ebbero vivi segni di approvazione nel momento in cui il nostro corteo con le bandiere giunse nella piazza. lo stesso fui incaricato di parlare ad una folla di sessantamila persone. Fu una tappa molto importante perché fece vedere per la prima volta che anche i nazionalisti di Monaco sapevano indire manifestazioni, alla faccia dei comunisti. Inoltre perché si notò l'efficienza delle nostre truppe nel respingere vittoriosamente un attacco repubblicano. Lì per la prima volta il nostro movimento senti il bisogno di fare grandi manifestazioni, togliendone il privilegio ai traditori marxisti e nello stesso tempo si trovò la conferma pratica della impostazione data ai reparti d'assalto, tanto che si incrementarono ulteriormente fino a farli duplicare nel giro di poche settimane.

  2. La manifestazione di Coburgo nell'ottobre del 1922. Alcune Leghe nazionali organizzarono a Coburgo una "Giornata tedesca". Io fui naturalmente invitato possibilmente non solo. Dopo aver ricevuto la notizia, nel giro di un'ora avevo stabilito tutto per quella manifestazione. Furono destinate alla difesa 14 squadre, composte da 800 uomini per cui fu allestito un treno speciale Monaco-Coburgo. Vi furono grandi scene di meraviglia nella città dove il treno faceva sosta per prendere altri elementi di reparti d'assalto in quanto era la prima volta che viaggiava un treno cosi. In alcuni posti la vista delle nostre bandiere impressionò molto. Alla stazione di Coburgo una delegazione della "giornata tedesca" ci fece noto le disposizioni di sindacati, che poi erano imposizioni dei comunisti del luogo.

    Ci ordinavano di sfilare nella città in sordina senza bandiere né bande e neppure in corteo compatto. lo non accettai queste condizioni e anzi espressi la mia meraviglia e il mio dolore per il fatto di essere giunti a tali accordi e che inoltre da parte mia non sarebbero state rispettate le condizioni, come poi accadde.

    Già sulla piazza della stazione fummo insultati e tacciati per assassini e briganti da alcune migliaia di persone che si ritenevano i degni fondatori dello Stato tedesco. Le truppe di protezione schieratesi subito sul piazzale non prestarono ascolto alle grida ingiuriose, mentre i poliziotti timorosi incominciarono a portarci per la città non verso il posto stabilito alla periferia di Coburgo, ma nel cuore di questa, cioè alla Birreria di Corte.

    Appena le truppe entrarono alcune delle persone che ci avevano accolto con grida tentarono di irrompere dentro ma la polizia sbarrò il passaggio. Fu una cosa che io non tollerai e dopo un breve discorso ai miei uomini ordinai di aprire le porte. Sebbene con esitazione fui obbedito. Infine uscimmo per tornarcene al nostro quartiere. La folla intorno quando vide che non servivano a nulla le loro ingiurie contro la nostra determinazione, i degni rappresentanti del socialismo cominciarono a tirare sassi. Al che scoppiammo e incominciammo a dar botte da orbi, dopo un quarto d'ora le strade erano deserte. La notte ci furono duri scontri perché, avendo le truppe di protezione trovato alcuni nazionalsocialisti picchiati a sangue decisero di togliere da quella città la paura dei rossi comunisti. In seguito questi tentarono di scatenare la folla contro di noi. L 'adunanza era indetta per l'una e mezza e si sperava in un grande afflusso dei dintorni. lo più che mai intestardito di abbattere il sopruso comunista da quella città ordinai ai miei reparti, saliti a 1500 uomini, di riunirsi nella stessa piazza dell'adunanza, ma li giunti, al posto delle migliaia di comunisti trovammo solo qualche centinaio di persone che alla nostra vista, messa la coda tra le gambe pensarono bene di andarsene. Solo alcune truppe rosse che giunte dai dintorni, non ci conoscevano, ci provocarono, ma subito gli facemmo cambiare idea. Dopo quell'azione la gente della città parve essersi levata un gran peso, tanto che ci accolse con simpatia e con applausi. Alla stazione i ferrovieri non volevano far partire il treno. lo allora parlai loro e dissi loro che avremmo preso una dozzina di comunisti e li avremmo collocati in ogni carrozza dopo di che noi stessi ci saremmo messi alla guida della locomotiva con tutte le conseguenze del caso. Per lo meno saremmo andati all'altro mondo in bella compagnia. Puntualmente il treno parti e grazie ai coraggiosi ferrovieri giungemmo a Monaco.

    Così, dopo il 1914, fu riportata l'eguaglianza e la giustizia per i cittadini di Coburgo. Per questo, se qualche ingenuo governante di oggi dice che lo Stato difende i propri cittadini, questo concetto era privo di senso in quel periodo, in quanto gli attuali governanti sono tali solo grazie ai soprusi fatti sui loro concittadini. All'inizio non si poté comprendere bene la portata delle azioni di quella giornata. I reparti d'assalto furono rincuorati dalla vittoria ed ebbero più fiducia nella organizzazione di cui facevano parte. Altre persone si interessarono a noi e molte videro in noi per la prima volta la vera organizzazione capace un giorno di smantellare la pazzia marxista. Solo la democrazia deprecò il fatto che ci fosse qualcuno che si difendesse da chi lo attaccava, e che noi avessimo avuto la pretesa di picchiare gli avversari piuttosto che difenderci con canzoni pacifiste. I giornali borghesi falsarono completamente la storia delle vicende e solo alcuni ammisero con soddisfazione che i Marxisti avevano avuto la lezione che spettava loro. A Coburgo una parte del proletariato marxista capi che i nazional-socialisti hanno pure loro un ideale in quanto solo chi lo possiede può sacrificare tutto se stesso per la sua realizzazione. 'insegnamento migliore l'ebbero i reparti stessi. Aumentarono a vista d'occhio il loro numero, così al Congresso del 1923 formavano una forza di 6.000 uomini che presero parte alla consacrazione della bandiera indossando le loro uniformi. L'esperienza di Coburgo insegnò che per rinforzare l'unità e per riconoscersi meglio in caso di battaglia era necessario usare questo accorgimento. Al bracciale fu aggiunto il mantello e il ben noto berretto. Ma dopo quel giorno ci convincemmo che il nostro fine era quello di infrangere il terrorismo rosso in tutti i posti dove esso non permetteva i liberi comizi. Così, sotto l'attacco delle truppe nazionalsocialiste caddero ad una ad una in Baviera le posizioni marxiste. I reparti si mostrarono sempre più all'altezza del loro dovere, si staccarono dall'incongruente compito di difesa, ma acquistarono il carattere di battaglia proprio in vista di un nuovo Stato tedesco. Questo stato di cose andò avanti fino al marzo 1923, dopo di che avvenne un avvicinamento che mi fece cambiare strada.

  3. L'occupazione della Ruhr eseguita dai francesi agli inizi del 1923 costituì una nuova disputa per il progredire dei reparti d'assalto. Questa occupazione, è ancora troppo vicina a noi per parlarne obiettivamente, ed io la esaminerò solo per quanto mi concerne sapere dai resoconti ufficiali. Questa, che non venne inaspettata, fece credere che lo stato finisse di ostacolare le leghe e invece affidasse a loro il compito di difesa. Così furono trasformate in milizia tra la primavera e l'estate del 1923. Questo passo avanti contribuì a far progredire anche il nostro movimento, ma mentre l'organizzazione delle leghe non espletò i compiti a lei affidati, in quanto si presero attive posizioni contro la Francia, fu nefasta per la causa del movimento. A prima vista questi risultati per noi furono veramente tragici ma guardando con occhio più aperto il comportamento del governo che rese nulla la trasformazione dei nostri reparti, si deve riconoscere che ci eravamo immessi in una strada sbagliata, così distruggendo ciò che avevamo trasformato riprendemmo la via giusta, dal punto in cui la lasciammo.

    Il partito nazional-socialista, fondato nel 1925, deve formare, impostare, guidare i suoi reparti d'assalto avendo presenti gli ordinamenti qui esposti. Deve rifarsi ai sacri principi e vedere nei reparti d'assalto l'unico strumento atto al consolidamento e alla diffusione dei suoi ideali, per poterli così realizzare. Non deve degradare i reparti al livello delle Leghe o delle sette segrete, ma creare una guardia costituita da migliaia e migliaia di persone convinte dell'ideale nazional-socialista, e quindi nazionale.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo X

Nell'inverno 1919 e nella primavera 1920, maggiormente, il nuovo partito dovette dare soluzione ad un problema avanzatosi già durante la guerra. Quando la Germania sembrava essere alla fine, Francia e Inghilterra si prodigarono a suscitare contrasti tra il nord e il sud. Già nella primavera del 1915 girarono manifestini atti a proporre unica responsabile del conflitto, la Prussia. Nel 1916 questa propaganda aveva avuto un forte sviluppo che si ripercosse felicemente sui tedeschi del sud. Ed i responsabili dello Stato e dell'esercito, per lo più in Baviera, furono giustamente criticati per non aver stroncato questi tentativi di disfacimento. Essi infatti non fecero nulla! Anzi alcune volte sembrarono quasi tolleranti, in quanto, erroneamente credevano che quelle critiche danneggiassero lo sviluppo unitario del popolo e apportassero così un rafforzamento delle potenze federali. Una tale presa di posizione costò cara. Il danneggiamento maggiore lo ebbe la Germania e non la Prussia: e accelerò la fine che colpì, prima di tutto, i singoli Stati. Nei luoghi dove maggiormente era riuscita la propaganda contro la Prussia, si ebbero rovesciamenti contro la Casa regnante. Non fu essa sola a provocare l'ostilità della Prussia, ma v'erano delle altre cause che trovarono nella propaganda il loro mezzo per esplodere fuori. La tendenza antiprussiana, principalmente, va attribuita al cattivo impiego dell'economia di guerra che tese a proteggere il territorio del Reich e causò speculazioni di ogni tipo. Infatti per l'uomo della strada la sede delle società di guerra era Berlino, e Berlino era la Prussia. La gente non capi che l'organizzazione delle Società di guerra non era né berlinese, né prussiana, né tedesca. Essa vide che le speculazioni che si facevano all'interno di esse, avvenivano a Berlino, per cui la colpa cadde inesorabilmente sulla Prussia e non si fece niente per cambiare questo modo di pensare. 'ebreo era troppo furbo per non sapere dei contrasti che sarebbero sorti dall'istituzione di queste Società solo esternamente di guerra, ma in realtà atte a sfruttare la nazione tedesca. Finché l'opposizione non era contro di lui, non gliene importò nulla. Ma allorché vide che la popolazione era al culmine della sopportazione, pensò bene di farla sfogare contro altri. E se la Baviera combatteva con la Prussia e viceversa, a' lui stava bene, tanto vedeva che solo dalla guerra di queste due derivava la sua tranquillità. E intanto ci si dimenticava degli internazionalisti. Quando poi si diede ascolto alle persone più sagge le quali andavano a ricercare le vere cause e le vere responsabilità, l'ebreo di Berlino buttò fuori una nuova provocazione e attese.

Tutte le persone che avevano intenzione di continuare questo conflitto, ingrandirono il fatto fino al punto che l'odio scoppiò di nuovo. Era una tecnica molto astuta, tesa a sfruttare al massimo la nazione. Dopo ci fu la rivoluzione. Di questo pericolo non poteva accorgersene l'uomo della strada, l'operaio o il piccolo borghese, i quali fino al novembre del 1918 non giunsero mai alla vera causa del conflitto intestino, ma di questo doveva accorgersene la parte nazionale. In quanto il promotore di questo in Baviera, allorché giunse alla vittoria, dichiarò di difendere gli interessi bavaresi. Proprio Kurt Eimer l'ebreo internazionale appoggiò la Baviera contro la Prussia. Logicamente questo,, non gli passava neanche per la mente, spinto, da giornalista com'era, a girare tutta la Germania.

Kurt Eimer, non si curava affatto degli interessi di questa, ma solo di quelli ebrei. Sfruttò gli odi della Baviera per fondere completamente la Germania. Ma i bolscevichii avrebbero potuto facilmente approfittare di una nazione spezzettata. Il suo modo di procedere, fu seguito solo in un primo tempo. Il marxismo così, ridimensionando le sue spregiudicate critiche ai singoli stati tedeschi, definendosi partito indipendente fece leva sui sentimenti, sulla dignità di questi e sulle famiglie dei regnanti. L' antagonismo tra la repubblica dei Consigli e i reparti di liberazione fu pubblicizzato come la lotta dei proletari della Baviera contro il materialismo della Prussia.

Per questo solo a Monaco si fu rattristati della caduta della repubblica dei Consigli. E l'abilità con cui fu presentata la caduta di questa dai bolscevichi, cioè la fecero vedere come una sconfitta dell'antimilitarismo bavarese da parte del militarismo prussiano, servi molto alla loro causa.

Così Kurt Eimer vide aumentare i suoi voti da 10 mila, tanti ne aveva ottenuti per l'elezione alla Camera bavarese legislativa, a quasi 100.000 dopo la riunione dei due partiti. Proprio allora mi dedicai al convincimento dei popoli contro l'assurda lotta delle stirpi. Forse fu quella, proprio la lotta meno condivisa, che io abbia mai sostenuto. A Monaco, ancora durante il tempo dei Consigli, v'erano stati frequenti comizi in cui s'intendeva esasperare l'odio verso il resto della Germania, e soprattutto verso la Prussia, tanto che si chiudevano con esortazioni quali: "Stacchiamoci dalla Prussia, facciamole guerra ", etc. oltre alle esortazioni omicide contro i tedeschi del nord. Tanto che un loro rappresentante al Reichstag giunse a dire: "Meglio morire da bavaresi che da prussiani ". Bisognava aver partecipato alle riunioni di quell'epoca per comprendere che cosa significasse per me il fatto che un giorno io arrivai ad una riunione che si svolgeva dinanzi alla Birreria dei Leone a Monaco con una schiera di compagni per protestare contro quella pazzia, mi aiutarono quella volta commilitoni di guerra. È semplice pensare quale fu il nostro stato d'animo quando la folla cominciò a inveire e a minacciarci di morte. Quasi tutta questa gente durante la guerra, mentre io e i miei compagni ci battevamo per la patria, era nascosta o imboscata come tanti disertori. Il vantaggio che ricevetti quella volta, fu che i miei compagni si sentirono più vicini a me e mi giurarono fedeltà per la vita e per la morte. Queste battaglie che si rinnovavano e continuarono nel 1919 sembrarono dover peggiorare all'inizio del 1920. La mia associazione dovette sostenere cruente battaglie durante molte di queste riunioni, ricordo specialmente una nella sala Wagner nella Somestrasse a Monaco, in cui decine di miei affiliati venivano picchiati, insultati e gettati infine fuori dalle sale più morti che vivi. La battaglia che iniziai da solo con pochi affiliati era ora continuata come una sacra missione dal movimento. Sono fiero di poter affermare che con l'aiuto di pochi compagni bavaresi riuscimmo a stroncare lentamente quell'insieme di stupidità e di vigliaccheria. Affermo stupidità e vigliaccheria poiché anche se convinto che la maggior parte degli affiliati era bonaria ma stupida, non mi sento di giustificare tanta semplicità negli organizzatori. Considerai e considero costoro come traditori pagati dalla Francia. Nel fatto Dorten la storia ha già emesso il suo parere.

È chiaro che l'odio verso la Prussia non ha punti in comune con il federalismo. Non è chiara un'operazione federalista che cerca di sfaldare o distruggere un altro Stato federalista. Ciò che rendeva temibile la situazione era il modo in cui si sapevano nascondere le idee vere, facendo emergere le idee federaliste come la sola causa di quella agitazione. Poiché un vero federalista, che non dicesse il falso ripetendo l'idea del Bismarck sul Reich, non poteva pensare di togliere delle zone allo Stato Prussiano, nato o almeno formato da Bismarck: né avallare simili azioni di sfaldamento. Pensate come sarebbero insorti a Monaco se qualche partito conservatore prussiano avesse appoggiato o chiesto francamente la divisione della Franconia dalla Baviera! Facevano pietà quelle persone idealmente federali, che non avevano ancora capito quell'azione sciocca e truffatrice; poiché essi erano i primi ad essere giocati. Appesantita da questa idea federativa, si riscontrò lo sfacelo apportato dagli stessi partigiani. Se si calunnia e si combatte la Prussia fine primo per un così forte edificio statale, non si può propagandare l'idea federalista del Reich.

La questione era oltremodo stupida, in quanto che la battaglia di quei feudalisti si rivoltava contro la Prussia che non può essere legata con la democrazia di novembre. Infatti le calunnie e le battaglie dei federalisti non erano rivolte ai padri della Costituzione di Weimar che erano per lo più ebrei o tedeschi del sud, ma a quelle persone che favorivano la vecchia Prussia conservatrice, e che erano all'opposto della costituzione di Weimar. Non ci stupisce che gli ebrei non fossero attaccati, ma anzi ci dà il modo per risolvere enigma.

Prima della rivoluzione l'ebreo era riuscito a non far sorvegliare se stesso e i suoi compagni di guerra, facendo lottare la moltitudine, specialmente dei bavaresi contro la Prussia, e nello stesso modo dopo la rivoluzione dovette nascondere la rimanente e maggiore razzia. Fu in grado così di far combattere ancora gli elementi nazionali tedeschi fra di loro: la Baviera di idee conservatrici contro la Prussia che era anch'essa di idee conservatrici. E ancora fu molto furbo, fece violazioni tanto manifeste così che mandò bestia coloro che le ricevettero. Violazioni che furono regolarmente rivolte contro i tedeschi e non contro gli ebrei. Il bavarese non riconosceva nella Berlino una città di solerti lavoratori, ma la parte peggiore, la più infame, propria dei quartieri dell'ovest. Ma il loro rancore non era rivolto a questo, ma alla città prussiana. C'era proprio da lamentarsi. La furberia degli ebrei nello spostare l'attenzione per dirigerla in un'altra parte, si può notare anche oggi. Nel 1918 non si poteva parlare ancora di guerra aperta agli ebrei. Rammento ancora gli scogli che si paravano davanti allorché si pronunciava il nome ebreo. 0 si era squadrati con terrore o si trovava netta opposizione. Le prime volte che cercavamo di aprire gli occhi al popolo sul vero nemico non riuscimmo a concludere nulla e solo piano piano si riuscì a far capire qualcosa. La lega difensiva e offensiva era deficiente per quanto riguardava l'inquadramento. Nell'inverno del 1918-1919 l'antisemitismo cominciò a fare i suoi primi passi. Più tardi il partito nazional-socialista riprese il problema ebraico togliendolo dalle cerchie superiori o piccole borghesie e lo pose come base di un grande movimento nazionale. Ma appena inserimmo questa mentalità nel popolo tedesco, l'ebreo passò al contrattacco. Vi passò alla solita maniera. Fece serpeggiare nella massa popolare il disaccordo e l'ostilità. Sollevò la questione provocando così la lotta tra i cattolici e protestanti, l'unica cosa che potesse dividere in due il paese e far desistere dalla lotta organizzata contro l'ebreo internazionale. Coloro che fecero sorgere il problema ultramontano potranno essere assolti dal peccato contro di lui. Comunque l'ebreo ottenne ciò che voleva e se la spassò un mondo a vedere i suoi nemici ariani e cattolici combattere fra loro. Una volta si era attirata la generale attenzione con i contrasti del federalismo e incitò ad esasperarla, mentre l'ebreo faceva il comodo suo e vendeva la nostra patria e la nostra libertà nell'alta finanza internazionale. Ora l'ebreo pose in ostilità le due tendenze religiose mentre erano entrambe minate dal giudaismo internazionale.

Si consideri i continui soprusi e bassezze che l'ebreo compie ogni giorno contro il nostro popolo e come questo avvelenamento del sangue possa essere eliminato solo dopo secoli e forse mai. Senza pensare come questo frazionamento razziale degradi i pregi ariani del popolo tedesco, e spesso li elimini così che il nostro compito di civilizzazione va sempre diminuendo fino ad eguagliare la situazione, almeno nelle nostre città più importanti, che v'è oggi nell'Italia del sud. E questa lenta morte, di cui non è cosciente il popolo tedesco, è proprio causata dall'ebreo. Sistematicamente queste sanguisughe del popolo traviano le nostre bionde e inesperte fanciulle, distruggendo qualcosa d'irreparabile.

Tutte e due le tendenze cristiane guardano senza far nulla per frenare la distruzione di una cosa tanto bella e nobile posta dal Signore sulla terra. Ma per il futuro della terra il problema non sta nella vittoria dei protestanti sui cattolici o viceversa: ma nella conservazione o nella fine dell'uomo ariano. Eppure le due tendenze religiose non si rivolgono contro colui che vuol distruggere l'uomo ariano, ma tentano di distruggersi a vicenda. Chi sente impulsi patriottici ha il compito, ciascuno secondo la propria religione, non solo di parlare del volere divino, ma deve fare in modo che questo si realizzi, e non lo si lasci profanare.

Infatti il volere di Dio formò gli uomini con una loro propria personalità, carattere e facoltà. Chi rovina la creazione di Dio si pone contro la sua volontà. Per questo ognuno, secondo la sua religione, deve tendere ad ostacolare coloro i quali con parole ed azioni escono dal limite della sua religione, e cercano di entrare in lotta con l'altro.

Essendo ormai un dato di fatto la scissione religiosa tedesca, il lottare contro alcuni basilari canoni di una religio~ ne porta sicuramente ad uno sterminio tra le due religioni. Il nostro particolare periodo non si può paragonare a quello della Francia o della Spagna o dell'Italia. in questi paesi, infatti, il propagandare una guerra al clericalismo o all'ultramontanismo, comporterebbe un pericolo di frazionamento del popolo francese, spagnolo o italiano. Questo non avviene in Germania in quanto gli stessi protestanti appoggerebbero tale propaganda. E così la politica che altrove i soli cattolici adotterebbero contro tali violenze di carattere diverrebbe presto una lotta dei protestanti contro i cattolici. Le critiche vengono sopportate, anche se non giuste, qualora siano mosse da appartenenti allo stesso gruppo religioso. In caso contrario no. Persone propense ad eliminare errori insiti nel loro gruppo religioso, non lo fanno più allorché gli stessi errori gli vengono messi in evidenza da persone estranee alla comunità e in più decidono di rivolgersi contro le stesse. In quanto lo considerano un atto scorretto, un impicciarsi dei fatti degli altri molto antipatico. Simili gesti non giustificati neanche quando si basano sull'interesse del paese, in quanto ancora oggi i sentimenti religiosi superano di gran lunga, per importanza, le contingenze politiche e nazionali.

Questo non può cambiarle mandando le due comunità religiose l'una contro l'altra: lo si potrebbe cambiare solo se, con reciproca moderazione, si affidasse al paese un futuro tanto felice da poter giungere alla conciliazione, anche in questo campo. Sono sicuramente convinto che coloro che fanno precipitare il movimento nazionale nei contrasti religiosi si debbano considerare dei nemici più pericolosi degli stessi comunisti internazionali, in quanto, a tenere a bada costoro è compito del movimento nazional-socialista. Ma chi, pur essendo componente, distoglie il movimento dal suo fine, si comporta in maniera meschina, infatti, coscientemente o meno, aiuta la causa ebraica. Perché il fine dell'ebreo è dissanguare le risorse del movimento in una lotta religiosa, proprio quando stanno aumentando le forze contro di lui.

Puntualizzo proprio "dissanguare ", perché non bisogna proprio considerare la storia per avere la pretesa di risolvere un problema che tanti secoli trascorsi non sono riusciti nemmeno ad intaccare. I fatti parlano da soli. Quelle persone che nel 1924 videro nella lotta all'ultramontanismo il fine supremo del loro movimento, non ebbero altro risultato che quello di straziare il movimento nazionale. Mi debbo premunire dall'eventuale caso che dalle file del movimento nazionale qualche imbecille ritenga di riuscire in quella cosa che non ottenne lo stesso Bismarck. Sarà obbligo del movimento nazional-socialista qualsiasi accordo tendente a uniformare la nostra lotta a quella del movimento nazionale e nello stesso tempo espellere dalle nostre squadre coloro che non saranno di questo avviso. Cosa che ci fu facile fino all'autunno 1923. Nelle nostre file vissero di comune accordo il più credente protestante e il più credente cattolico, senza mai ostacolarsi. L'ideale di guerra al distruttore del popolo ario aveva fatto in modo di ritrovarsi e di sostenersi a vicenda.

Proprio allora giunse alle più alte vette la lotta nostra contro il Centro, non per cause religiose, ma nazionali, di razza e di economia. La vittoria ci arrise ancora, come og. gi non arride a coloro che presumono di sapere. Ultima. mente si è giunti al punto, completamente pazzesco, che i movimenti nazionali non si accorsero del danno derivato dalle loro dispute religiose, allorché gli atei comunisti presero addirittura le parti di comunità religiose onde, con banali manifestazioni, incitare all'estremo l'una contro l'al. tra. Ma con un popolo come quello tedesco capace, a causa della sua cecità, di dissanguarsi lottando per dei miraggi, ogni simile gesto comporta il pericolo di morte.

Con questo grido il nostro popolo deviò sempre dai problemi concreti di vita. Mentre noi passavamo il tempo con guerre intestine, gli altri si dividevano il mondo. E mentre il movimento nazionale soppesa quale problema sia più grave se quello ultramontano o quello ebreo, il giudeo mina le basi del nostro popolo e cerca di annientarci. Quanto a questa specie di movimento nazionale io, per il bene del nostro popolo, posso solo consigliare questo: state attenti a questi amici, solo così potrete sconfiggere i vostri nemici.

La guerra tra federalismo e unitarismo, eccitata con tanta furbizia dagli ebrei nel 1919-20 e nel 1921 portò il nazionalsocialismo, che condannava quella lotta, a rivolgersi verso i suoi problemi essenziali. La Germania deve diventare uno stato federale o uno stato unitario? Che cosa si deve intuire praticamente per queste due definizioni? Mi sembra più importante il secondo quesito, poiché è importantissimo per capire l'intero problema e perché ha insito un sistema comprendibile e unificatore. Che cosa si intende per stato feudale? Per stato feudale non si intende un insieme di Stati sovrani che liberamente, in funzione della loro sovranità, si uniscono e danno alla comunità quella porzione dei loro diritti sovrani che serve a realizzare e a garantire la vita della lega comune. Ma questa teoria praticamente non si può realizzare in modo assoluto in ciascuno degli stati federali del mondo. Ad eccezione di alcuni stati dell'Unione Americana dove nella maggioranza di questi non si può dire che ci sia una sovranità originaria.

Poiché molti di essi si affiancarono all'Unione solo col passare del tempo. Negli Stati Uniti d'America si trovano territori più o meno grandi, sorti per causa di tecnica amministrativa, molte volte delimitata scrupolosamente, che non potevano prima avere e non avevano una propria sovranità di stato. Infatti l'unione non fu realizzata da questi Stati, ma fu l'unione a realizzare molti di questi Stati. Perciò i diritti sovrani, spesso grandi, ottenuti o donati al singoli Stati sono propri della natura di quella Confederazione ed è in ragione della sua grandezza equivalente ad un continente. Quindi negli Stati Uniti d'America non si può pensare ad una sovranità dello Stato, ma solo di diritti saldati e protetti dalla Costituzione.

Forse, invece di parlare di diritti, conviene parlare di facoltà. Anche alla Germania non si può applicare la teoria sopraccitata. Senza dubbio nella Germania nacquero prima i singoli stati che diedero vita in seguito al Reich. La creazione del Reich però non si ebbe per libera volontà e per partecipazione dei singoli Stati, ma per conseguenza del l'ingrandimento della potenza di uno di questi stati: la Prussia. Già la diversa ampiezza degli Stati tedeschi non può essere paragonata a quella degli Stati Uniti di America: la diversa ampiezza degli stati tedeschi comportò un diverso apporto alla fondazione del Reich, per quanto riguardò i doveri e non contribuirono in ugual maniera alla configurazione dello stato federale. In effetti per la maggior parte gli Stati non avevano una vera sovranità, per cui la sovranità Statale ebbe solo un carattere ufficiale. Le vicende passate e le attuali avevano cancellato molti stati sovrani dimostrando la loro insita fragilità. Non è opportuno citare la formazione di questi singoli stati, bisogna però tenere presente che quasi mai i confini territoriali rappresentavano i confini etnici. Essi erano scaturiti da situazioni politiche e la loro origine va ricercata nella debolezza dell'impero tedesco e nel frazionamento, che fu conseguenza di questo fatto. Di queste considerazioni tenne conto, in parte, la costituzione del vecchio Reich, il quale non concesse ai singoli stati una uguale rappresentanza, ma basò questa secondo l'apporto di quelli alla fondazione del Reich e quindi secondo la loro importanza. Solo in piccola parte gli Stati sacrificarono i loro diritti sovrani per la creazione del Reich; in effetti o erano diritti inesistenti oppure se li accaparrò la Prussia con la forza. Il Bismarck non fu dell'idea di spersonalizzare il carattere dei singoli stati riversando tutto ciò che avevano nel Reich, ma invece di dare al Reich ciò di cui aveva bisogno. Comportamento equo e saggio: Bismarck fu sensibile ai costumi e alle tradizioni e nello stesso tempo fece convergere nel Reich molto amore e spontanea collaborazione.

Ma non si deve credere che questo risultato costituisse per Bismarck un punto d'arrivo col quale il Reich avesse acquisito in perpetuo i diritti di sovranità: Bismarck non ci credeva affatto; al contrario si propose di fare in futuro ciò che poteva essere un azzardo nel presente. Egli confidava nella forza livellatrice del tempo e nella evoluzione, a cui attribuire più forza che al tentativo di eliminare subito la resistenza degli stati.

Rese nota a tutti, in questo modo, la sua abilità poli ca: in quanto la sovranità del Reich aumentò sempre più a spese dei singoli stati. Le speranze che basava sul tempo non andarono perdute. Questo sviluppo fu accelerato dal crollo della Germania insieme a quello della struttura monarchica.

Cosi, a causa del carattere politico e non etnico su cui erano fondati gli stati tedeschi, questi perirono allorché venne meno l'importanza e la finzione della forma monarchica statale e le loro dinastie. Così le formazioni e le funzioni dei singoli stati preferirono mettere fine alla loro esistenza e per ragioni pratiche si fusero con altri stati: prova decisiva della loro inconsistenza e della scarsa fiducia accordata loro dai cittadini. Il venir meno di questi stati e delle loro dinastie mise in crisi il carattere confederale del Reich, aggravato dagli obblighi della pace. La potenza econonuca prima propria dei singoli stati, passò nelle mani del Reich, allorché questo, perduta la guerra, si ritrovò di fronte al pagamento di grandi somme, le quali non potevano essere coperte dai contributi dei singoli. Anche il monopolio del Reich sulle poste e sulle ferrovie derivò dall'asservimento del nostro popolo sorto gradatamente dai trattati di pace, in quanto il Reich era costretto ad ottenere le maggiori ricchezze per soddisfare le imposizioni degli altri stati. Alcune volte parvero assurde le maniere in cui avvenne la statalizzazione, ma era del tutto logico.

Spesso la colpa fu dei partiti e delle persone che un giomo non si adoperarono completamente per ottenere la vittoria della guerra. In Baviera la colpa fu di quei partiti i quali, mossi da scopi egoistici durante il conflitto, tolsero all'ideale del Reich ciò che il Reich, dopo la sconfitta della guerra, dovette ristabilire in maniera 10 volte maggiore. La nemesi storica avviene sempre, e solo raramente la collera del cielo segui tanto velocemente, come in questo caso, la colpa commessa. Quegli stessi partiti che (come in Baviera) avevano collocato il loro stato più in alto del Reich, dovettero assistere alla distruzione dei singoli stati dal Reich stesso, mosso dal susseguirsi degli avvenimenti. E la colpa di questo ricadde in parte anche su di loro. È una grande falsità quella di lamentarsi con il popolo votante (a cui solo oggi danno importanza i partiti) della perdita della sovranità dei singoli stati, mentre gli stessi partiti vollero perseguire contendendosi la priorità, una politica che attendesse per forza di cose a profonde trasformazioni nell'intemo della stessa Germania.

Il Reich di Bismarck non era legato ad altri Paesi ed obblighi di carattere economico che ora l'attuale Germania deve sostenere dopo i patti, erano del tutto sconosciuti, ed anche nella politica interna, la sua competenza si limitava a poche cose importanti. Non si corse quindi ad un monopolio di carattere economico, essendo loro sufficienti i contributi dei singoli stati. Logicamente una tale politica che non intaccava i propri diritti sovrani e le singole economie faceva sì che fosse gradita l'esistenza del Reich. Ma è ingiusto sostenere scioccamente che l'unica causa dello scontento dei singoli stati sia data dalla sottomissione economica al Reich. No, non è proprio questo il, punto. La mancanza di graduale fiducia dell'ideale del Reich non fu causata dalla perdita dei diritti di sovranità degli stati: è data dal modo in cui è rappresentato dallo stato il popolo tedesco.

Nonostante le feste in onore della Costituzione, il Reich di oggi non riusci a far breccia nel cuore del popolo tedesco; d'altra parte le leggi di protezione della repubblica possono vietare oltraggi nei suoi confronti, ma servono a far acquistare la simpatia di un solo tedesco. Il fatto stesso che la repubblica deve difendere con leggi e imposizioni la propria istituzione è il risultato di un severo giudizio e della umiliazione a cui si sottomisero Ma la teoria sostenuta da alcuni partiti per la scomparsa dell'amore verso il Reich dovuta alla schiacciante preponderanza dello stesso èsbagliata anche per un'altra causa, se il Reich non avesse allargato le sue competenze, l'amore dei singoli stati per il Reich non sarebbe più forte, allorché le uscite fossero rimaste simili a quelle di oggi. Invece se i singoli stati dovessero pagare quanto paga il Reich per i trattati che lo vincolano, il loro odio contro questo aumenterebbe di molto. Non solo non si potrebbero riscuotere facilmente i contributi, ma bisognerebbe ottenerli con la forza. La repubbli a si è messa sul campo dei trattati e non può e non vuole venire meno: sempre deve sottostare agli obblighi che derivano da questi. Pure di questo sono colpevoli i partiti i quali da una parte invitano il popolo ad una autonomia degli St ti dall'altra pretendono una simile cosa dal Reich, che *per farlo deve per forza cancellare anche i restanti diritti sovrani. Dico "per forza " perché il Reich ormai è costretto a seguire un'assurda politica interna ed estera per soddisfare gli oneri assunti.

È una cosa meccanica e ogni sbaglio che commette all'estero il Reich, col modo criminale di fare gli interessi tedeschi, ha le sue ripercussioni all'interno verso il basso. Questo comporta la soppressione dei diritti di sovranità dei singoli stati, allo scopo di non far sorgere in loro germi di opposizione. La più importante differenza tra la politica contemporanea del Reich e quella di prima sta nel fatto che il Reich di prima mentre concedeva indipendenza all'interno, mostrava carattere e polso all'esterno mentre adesso è debole all'estero e opprimente all'interno. Deriva da questo che lo stato nazionale ottenendo rispetto all'estero viene più amato all'interno per cui v'è un minore bisogno di leggi, mentre lo stato dipendente da altre potenze può ottenere solo con la forza che i cittadini adempiano ai suoi voleri.

Una delle maggiori assurdità che accadono nella nostra repubblica e che definisce i suoi componenti liberi cittadini. Pretesa che spettava solo alla vecchia Germania. La repubblica, paese di schiavi dipendente dall'estero, non ha liberi cittadini, ma sudditi, non ha una bandiera nazionale ma un contrassegno protettivo dei campioni, imposto e salvaguardato dalle autorità costituite.

Il nuovo governo, che già non tenne in alcun conto le tradizioni e le gesta infangandole senza scrupolo, si meraviglierà del poco impegno che pongono i sudditi nella realizzazione dei suoi fini. La repubblica si è posta come intervallo nello sviluppo storico della Germania. Così il governo è obbligato a comprimere ogni giorno di più le caratteristiche sovrane dei singoli stati, non solo per cause di carattere economico, ma anche per cause ideali. In quanto dissanguando i suoi sudditi economicamente, nello stesso tempo è costretto anche a togliere loro l'indipendenza affinché il loro disagio non sfoci in una rivolta. Dal cambiamento di questo periodo scaturisce per noi nazional-socialisti la seguente conclusione: un potente Reich, che garantisca al massimo i diritti dei singoli all'estero, può dare all'intemo la massima indipendenza sena correre alcun pericolo di crollo.

Gli attuali mezzi di spostamento e il continuo progredire della scienza restringono sempre più le distanze. Quello che un giorno era uno Stato, oggi è una provincia, mentre gli stati di ora, un tempo erano fondamentali e acquistavano l'importanza di un continente. Le difficoltà che si trovano oggi per amministrare uno stato grande come la Germania, 120 anni fa si trovavano per una provincia quale il Brandeburgo. Oggi si fa prima ad arrivare da Monaco a Berlino, che un tempo da Monaco a Stranberg.

Nello stesso tempo un potente Reich nazionale può limitare l'indipendenza degli Stati e dei cittadini, riconoscendone il gesto, senza temere per il suo ideale perché faccia capire che questo è necessario per ottenere la grandezza del paese. Logicamente tutti i paesi della terra tendono a una progressiva unificazione e la Germania non fa certo eccezione. È incongruente discorrere di sovranità statale dei singoli stati germanici, che è già ostacolata dalla loro scarsa estensione. Cosi il loro valore viene meno sia da un punto di vista commerciale che amministrativo. E tutto il paese del Reich, considerando i moderni mezzi di spostamento, in proporzione è minore di alcuni stati federali tedeschi al tempo di Napoleone. Chi non dà importanza a questo fatto non si adatterà mai agli avvenimenti del presente.

Ci sono e ci saranno sempre delle persone che la pensano in questa maniera, non gioveranno mai al futuro del paese, ma lo ostacoleranno. Noi nazional-socialisti dobbiamo dare la massima importanza a questa realtà. Non ci dobbiamo far imbambolare dalle parole dei partiti borghesi che si passano per nazionali. "Parole " ho detto in quanto essi stessi non vedevano una reale concretezza dietro ad esse perché anche loro erano compartecipi e colpevoli del presente stato. Principalmente in Baviera, la propaganda per l'abolizione dell'accentramento non è altro che un atteggiamento partigiano dietro al quale non c'è alcuna realtà superiore. Quando i fautori di questo atteggiamento dove tero passare alla prova dei fatti, si comportarono in maniera pietosa, così che il furto dei diritti sovrani della Baviera da parte del Reich passò senza alcun ostacolo tranne qualche vano abbaiare. Se qualcuno tentò di intralciare concretamente quell'assurdo sistema, fu contraddetto e scacciato dagli stessi partiti in quanto non stava sul territorio dello stato moderno e citato per vie legali finché il carcere o una censura illegittima lo fecero star zitto. Questo deve aprire gli occhi al partigiano, sulla falsità dei circoli federalisti. Come la religione così l'ideale di uno stato federale èper questi solo un modo per concretizzare i voleri del partito in genere poco onesti.

Una certa unificazione, soprattutto di mezzi di trasporto è una cosa utile, ma noi nazional-socialisti dobbiamo contrastare seriamente questa tendenza del governo attuale che cerca in questo modo di riparare gli errori della politica estera. Proprio perché il Reich ha iniziato a monopolizzare le ferrovie, le poste, le finanze non per ideali superiori, ma solo per poter adempiere ai suoi impegni, politica che noi dobbiamo contrastare sistematicamente. Dobbiamo combattere contro questo accentramento di istituzioni vitali per il nostro paese, fatto solo per soddisfare i tributi di guerra, voluti dalla nostra errata politica. Anche per questo il nazional-socialismo si deve schierare contro simili atteggiamenti. L' opposizione poi è resa necessaria in quanto con una simile politica si può rinforzare all'intemo il governo che con le sue azioni ha fatto sempre il danno del paese. L'odierno Reich democratico, giudaico, reale calamità per la Germania, tenta di annullare l'opposizione dei singoli stati, non partecipi ancora dello sviluppo dei tempi, rendendo priva la loro importanza. In vista di questo dobbia~ mo creare con la lotta degli stati la base di una potenza statale proiettata verso la vittoria futura e rendere con la guerra contro l'accentramento la concretizzazione di un grande fine nazionale tedesco.

Mentre il partito popolare della Baviera, da una bassa unione partigiana, opera nell'intento di trattenere i diritti particolari alla Baviera, noi dobbiamo sfruttare questa posizione partigiana per un fine nazionale più grande, opposto alla democrazia di novembre. Una terza causa da contrapporre a un simile accentramento deriva dal fatto che la statalizzazione non equivale a unificazione e neanche a semplificazione, ma serve solo per indebolire la forza dei singoli stati e permettere così il libero svolgimento dei fini rivoluzionari. Nel passato tedesco non si ebbe mai un tale acconsentimento come avviene nella repubblica democratica. La mania di accentramento, per lo più, è derivata da quei movimenti che garantendo la strada aperta alle persone degne, nell'affidare incarichi e uffici, li concessero solo agli affiliati del partito. Soprattutto gli ebrei, dopo la creazione della repubblica, si accaparrarono incarichi nei posti finanziari presi dal Reich e nell'amministrazione statale, così che entrambe dipendono esclusivamente dagli ebrei. Questa terza causa, per fini pratici, ci deve mettere bene in guardia contro ogni tentativo di accentramento e, se èpossibile, contrastarlo. Ma per far questo non dobbiamo essere mossi da una spregevole partigianeria, ma dalla convinzione di un superiore fine nazionale che dobbiamo realizzare. Questo deve servire a far capire ai partigiani che noi ammettiamo da parte del Reich una superiorità nei confronti dei singoli stati.

Sulla sua supremazia non abbiamo la facoltà di aver dubbi. Infatti lo stato, per noi, è solo un nome, la vera importanza sta in ciò che rappresenta, cioè il popolo, il paese. Logicamente ogni altro fine deve inchinarsi per cedere il posto a quello sovrano del popolo. Maggiormente, non 'è ammissibile concedere alcuna sovranità politica e statale ai singoli stati in quanto si trovano in territori della nazione e del Reich che l'amministra.

Deve finire e finirà l'errore che commettono gli stati nell'ostinarsi a tenere diplomatici all'estero e tra di loro. Finché esiste un tale stato di cose, diventa una cosa normale che gli stati europei non considerino veramente unita la Germania e si comportino secondo tale concezione. Il punto più assurdo di questo fatto è che mentre non giova in niente, è causa di molti disagi. Se i fini di un tedesco non possono essere salvaguardati all'estero, dai diplomatici del Reich, lo sono ancor meno da un ambasciatore di un piccolo stato che non ha alcuna voce in capitolo nel presente ordinamento del mondo. Lunica facoltà che si può riscontrarÈ in simili modi di fare è quella di creare germi di dissoluzione sempre bene accetti da uno stato straniero. Noi nazionalsocialisti non possiamo soprassedere al fatto chÈ qualche antico casato, ormai reso impossibilitato dagli anni, ormai, avendo incarichi diplomatici, un nuovo campo, d'azione, poiché quello vecchio era esaurito deve poter trovare risorse alla sua impotenza. I nostri diplomatici, già coi vecchio Reich, erano così privi di autorità che è inutile continuare ancora sulla stessa strada.

In futuro la potenza dei singoli Stati sarà data dalla politica culturale. Il re che si adoperò in maggior misura per fare della Baviera una potenza non fu un convinto partigiano, di concezione antitedesca, ma proprio Luigi I che predilesse tanto la forza della Germania quanto l'arte, fece convergere le risorse dello stato in Baviera per innalzare il limite culturale e non per rafforzare la forza politica, e questo suo comportamento giovò più che qualsiasi altro, alla causa comune. Monaco divenne, da semplice capitale, a più importante città dell'arte tedesca, formando un centro culturale che ancora lega alla Baviera i Franconi, di opposto carattere. Se Monaco non fosse giunta ad una tale importanza, sarebbe accaduto in Baviera quel che avvenne in Sassonia, soltanto che la Lipsia e la Norimberga bavarese non sarebbero rimaste tali, ma sarebbero diventate franconi. Non gridando "Abbasso la Prussia " si valorizzò Monaco; chi la valorizzò fu il monarca, che volle donare alla Germania un gioiello dell'arte, apprezzato e lodato da tutti. Da questo si ricava un monito per il futuro. In avvenire, il valore dei singoli stati non si n'caverà più dallo stato e dalla loro forza, ma in base alla situazione etnica o alla politica culturale. Anche per questo il tempo spianerà la strada. L'intensificarsi delle comunicazioni, porta a contatto tanto gli uomini che i territori regionali, e questi saranno superati, insieme a un livellamento culturale. Prudentemente si dovrà distogliere l'esercito dagli influssi dei singoli stati. Non si devono, da parte del futuro stato nazionalsocialista, ripetere gli sbagli passati affidando all'esercito un dovere che non gli conviene.

La funzione dell'esercito non sta nel difendere la causa delle singole parti etniche ma in quella di insegnare comprensione e spirito di sacrificio a tutti i tedeschi. Deve essere unificato ciò che in una nazione può causare divisione. Il servizio militare deve avere la funzione, per il giovane tedesco, di far conoscere la sua patria, la Germania, per questo non deve essere svolto nella regione nativa: cioè si deve aprire il suo orizzonte, trasferirlo da quello paesano a nazionale e fargli conoscere quali sono i veri confini che un giorno dovrà difendere. Essendo convinti di questo èinsulso far prestare il servizio militare a Monaco al bavarese, a Karlsruhe al nativo di Baden, a Stoccarda a quello del Württemberg. È più logico far conoscere al nativo della Baviera il Reno, il Mar del Nord, a quello di Amburgo, le Alpi, e a quello della Prussia del Sud i monti della Germania centrale. La caratteristica regionale deve rimanere nella truppa ma non nell'esercito. Dobbiamo contrastare qualsiasi accentramento, ma non quello militare! Questo è il solo di cui bisogna gioire. Considerata l'imponenza dell'esercito del Reich, è stupido mantenere guarnigioni nei singoli stati.

Inoltre nell'accentramento dell'esercito notiamo una logicità alla quale non verremo meno quando istituiremo di nuovo un esercito nazionale. D'altra parte il successo di una giovane idea deve spianare qualsiasi opposizione tendente a frenare lo sviluppo delle sue idee. Il nazional-socialismo deve avere la facoltà di propagandare le sue concezioni a tutto il popolo tedesco, senza limiti territoriali, e convincerlo della rettitudine dei nostri pensieri e ideali. Come la religione spazia al di là dei confini nazionali, così l'ideale nazional-socialista dovrà scavalcare ogni ostacolo dato dai limiti territoriali di singoli stati del nostro paese.

La nostra linea di condotta non dovrà essere strumentalizzata dai singoli stati federali: deve riuscire invece a imporsi a tutta la Germania. Deve essere il punto di riferimento della nazione, a cui darà un nuovo ordinamento e per questo deve avere la facoltà di scavalcare i confini derivati da uno svolgimento politico che noi non accettiamo. Tanto più grande sarà il successo, tanto più grande sarà la libertà che, all'intemo, daremo alle singole cose.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo XI

Per molte ragioni il 1921 fu una tappa decisiva per me e per il movimento. Entrato nel movimento operaio tedesco, mi incaricai subito della propaganda e per me essa era la base di tutto. Infatti era più importante difendere la nostra concezione piuttosto che badare a problemi di inquadramento. Infatti solo mediante la propaganda si potevano ottenere persone da inquadrare. Per di più io sono ostile a voler organizzare in maniera troppo veloce e puerile; se no il frutto che si ottiene è qualcosa di morto e non una sana organizzazione.

La struttura è qualcosa che deriva dalla vita e dallo sviluppo organico. Quando una linea di condotta viene assimilata da diverse persone, in queste si configura con un certo ordine, e quest'ordine ha una funzione essenziale. Anche qui bisogna tener presente l'istintiva opposizione ad una idea di un altro. Infatti una struttura viene organizzata in modo che le decisioni vengano impartite dall'alto in basso, esiste la grave possibilità che una persona, forse incapace e non valutata profondamente per quello che vale, cerchi per egoismo di non far assurgere persone valide in grembo al movimento. Lo svantaggio che ne scaturisce può essere gravissimo specialmente per un nuovo movimento. Per questo fatto bisogna prima far conoscere la linea direttiva e in seguito scrutare e giudicare le persone per estrarne gli organizzatori. Si noterà che le persone, all'apparenza incapaci, sono dei veri e propri registi.

È uno sbaglio riconoscere solo nella preparazione culturale una prova tangibile delle capacità direttive. Anzi spesso non è vero. Grandi idealisti raramente sono grandi organizzatori, in quanto l'importanza dell'idealista è data, soprattutto, dalla determinazione o dalla scoperta di regole esatte astrattamente, mentre l'organizzatore è soprattutto uno psicologo. Deve accettare l'uomo com'è e per far questo deve capirlo: senza considerarlo né troppo né poco. Deve badare ai suoi difetti e ai suoi istinti per poterlo indirizzare, dopo una giusta valutazione, al posto più idoneo nel quale possa sfruttare la sua qualità per il successo finale dell'idea.

Ancora più difficile è il caso che un grande idealista sia un grande Capo. Questo sarà prevalentemente un agitatore, cosa che non è mai tollerata da chi si prodiga esclusivamente da studioso intorno a un problema. Eppure è logico. Un agitatore, abile nel divulgare al popolo le proprie idee, deve conoscere sempre la psiche umana, anche se fosse solo un despota. Per cui avrà maggiori attitudini a comandare che un idealista fuori dal mondo. Infatti comandare vuol dire avere un ascendente sul popolo. La virtù di creare ideali è completamente diversa da quella di comandare. È stupido cercare di determinare se sia più importante creare fini per il popolo oppure concretizzarli. Ognuna di queste due non avrebbe significato senza l'altra. Il più virtuoso ideale perde il suo valore se un Capo non convinca i popoli a quello. Ma trovare in uno stesso uomo l'idealista, l'organizzatore e il Capo è la cosa più difficile di questo mondo: questa sintesi crea il grand'uomo.

D'altra parte a che cosa gioverebbe la capacità di trascinatore di folle, quando il teorico idealista non fornisse gli ideali a cui pervenire? All'inizio, quindi, mi dedicai alla propaganda. Volevo iniziare, gradatamente, a far conoscere la direttiva del movimento a poche persone, affinché servissero come base per l'organizzazione. Invero il mio scopo andava molto più in là di quello organizzativo. Quando un movimento decide di distruggere una concezione di vivere per sostituirla con un'altra, deve avere ben chiaro queste regole: ogni movimento deve valutare le persone affiliate e dividerle in due categorie: partigiani ed effettivi.

La propaganda deve far acquistare partigiani, mentre l'organizzazione le persone effettive. Il partigiano è colui che accetta i fini, effettivo chi lotta per essi. Il primo si vota alla causa del movimento grazie alla propaganda. L'effettivo deve agire in modo da arruolare i partigiani che avranno la facoltà di diventare effettivi. Mentre il partigiano condivide i motivi e i fini di un ideale, ed ha quindi una funzione passiva, l'effettivo ha il compito di combattere per esso e svolge quindi una funzione attiva, si ha così che solo uno o due su dieci ha le qualità per diventare effettivo. Il primo si basa sulla convinzione, sulla ragione, il secondo trapassa questa e se ne serve per diffondere agli altri le idee accettate dalla ragione. Riconoscere che un ideale è giusto è caratteristico degli uomini i quali generalmente sono pigri o tendono all'inattività. L 'effettivo deve essere attivo, coraggioso, cosa che non si addice alla maggior parte delle persone. Quindi senza sosta la propaganda dovrà lavorare per acquistare affiliati, mentre l'organizzazione dei migliori partigiani dovrà ricavare nuovi effettivi. La propaganda, non dovrà occuparsi delle qualità, del carattere, delle facoltà di ognuno nell'attirarli a sé, mentre l'organizzazione vi dovrà badare perché solo da un serio discernimento fatto tra costoro scaturisce il successo finale.

La propaganda agisce sulla comunità in modo da seguire un ideale e tende a renderla matura per quando ci sarà la vittoria di questo ideale. L'organizzazione riesce nell'intento accogliendo costantemente, organicamente, controllando la combattività, i partigiani che sembrano essere pronti a lottare per il trionfo. Il compito della propaganda è quello di convincere della bontà di un ideale, l'organizzazione deve riunire tutti coloro che non potranno mai essere, per cause morali, di barriera per lo svolgimento naturale dell'ideale. Il trionfo di un ideale è tanto più facile, quanto maggiormente la propaganda avrà preparato le persone in generale e quanto più sarà chiusa, rigida e solida l'organizzazione che praticamente appoggia la lotta. Da questo si nota che la quantità degli adempimenti non sarà mai sufficiente, mentre la quantità dei simpatizzanti sarà, in qualunque caso, sempre troppa.

Allorché la propaganda avrà agito su un'intera popolazione, facendo assimilare l'idea, l'organizzazione sarà in grado di cogliere i frutti con un minimo di uomini. A ciò si può notare che l'organizzazione e la propaganda sono sempre in stretto contatto. Se la propaganda agisce nel migliore dei modi, l'organizzazione può diventare molto piccola, così che tanto più grande è la quantità degli aderenti, tanto più piccola è quella dei membri. Al contrario: quanto peggiore è la loro propaganda, tanto maggiore dovrà essere l'organizzazione; quanto minore resta la quantità degli aderenti ad una corrente, tanto maggiore dovrà essere il numero dei membri se vuol trionfare. Il procedimento iniziale che deve seguire la propaganda deve essere quello di far aderire persone per l'ampliamento dell'organizzazione; il primo procedimento dell'organizzazione deve essere quello di far aderire persone per l'ampliamento della propaganda. Il secondo procedimento della propaganda deve essere quello di scomporre l'attuale stato di cose e infondergli la nuova idea, mentre il secondo procedimento dell'organizzazione deve essere la continua battaglia per il potere, così da garantirsi, con il potere, il trionfo finale dell'ideale. Il trionfo finale di una rivolta che professa una nuova idea del mondo viene raggiunto più facilmente allorché la nuova idea indirizza tutte le genti e, se è il caso, viene loro, in seguito, imposto con la maniera forte; invece l'organizzazione dell'ideale, ovvero il movimento politico, deve essere composto soltanto da quelle persone che sono necessarie per occupare i posti di maggiore responsabilità dello stato futuro.

Ugualmente: in ogni azione enorme e di interesse mondiale, la propaganda ha il compito fondamentale di promulgare l'ideale di questa azione. Dovrà, quindi, inculcare l'ideale nel maggior numero di persone, poi si sposterà attaccando le persone che hanno idee diverse e renderli insicuri ed incerti sulle loro idee.

Per giungere a tutti una legge deve avere una linea fondamentale, la legge deve valersi di una forte organizzazione. L' organizzazione trova i membri, cercandoli tra gli aderenti che si sono avuti tramite la propaganda. Gli aderenti aumentano più rapidamente, quanto più grande è la propaganda svolta; mentre la propaganda agisce meglio, se agisce affiancata da una organizzazione imponente.

Perciò la più grande azione dell'organizzazione deve essere quella di stare attenta a non far sorgere opinioni discordanti nel movimento, in modo da non dividerlo e da non rallentare la marcia, ma da migliorarlo, da innalzare la combattività e da irrobustirlo.

Inoltre non è produttivo che il numero dei membri aumenti all'infinito, poiché solo alcune persone sono audaci ed energiche, perciò un movimento che aumenti all'infinito l'organizzazione dovrà per forza un giorno essere debole. Organizzazioni, ovvero masse di persone, che aumentano oltre un certo numero, diventano deboli e diventano inutili alla propaganda di un ideale. Perciò, quanto maggiore e antisociale è un ideale, tanto più d'azione sarà il cuore dei suoi membri, in quanto all'enorme potenza dell'ideale è unito il pericolo per i suoi sostenitori, pericolo giusto per. allontanare quelle persone che non hanno il coraggio sufficiente per difenderlo.

Questi codardi, si sentiranno difensori, ma non si iscriveranno mai in quanto non hanno sufficiente coraggio per farlo sapere pubblicamente. Per questo l'organizzazione tiene soltanto quelle persone che sono veramente le più degne, sia per l'azione sia per il coraggio.

Questi attivisti sono garanti della diffusione dell'ideale di un movimento e della vittoria dell'ideale. Altro grande pericolo è un immediato aumento di membri dato da una velocissima vittoria. Anche se gli inetti e i deboli non appoggiano movimenti che devono combattere, questi stessi si affrettano a divenirne membri appena il movimento ottiene importanti vittorie. Per questo certi movimenti che sembravano vittoriosi inizialmente perdono poi terreno e sono costretti a scomparire. A causa dei loro iniziali successi, aderirono presto degli elementi che portarono i germi della discordia e presero il sopravvento su quelle persone più coraggiose e battagliere, costringendo così il movimento a diventare un elemento a loro utile, lo coprirono di fango e non combatterono per giungere al pieno successo dell'ideale. Per questo sparivano l'entusiasmo, la combattività e si può notare perciò la verità del detto popolare "mescolare l'acqua al vino ".

Quindi è necessario che un movimento dopo la vittoria non accresca il numero dei suoi membri, ma anzi non acquisti altre persone se non dopo averle valutate molto accuratamente e quindi accrescere l'organizzazione migliorando sempre la qualità. Solo in questo modo il centro del movimento può accrescere la propria potenza. Perciò si deve stare attenti che solo questo centro sia il maggior dirigente del movimento per accrescere la propaganda destinata ad apportare il generale riconoscimento. Finalmente il movimento che ha il culmine della forza, deve far valere l'ideale. L' organizzazione sarà poi in grado di acquisirsi tutti i centri vitali e di formare la direzione complessiva. Questa azione deve essere continuata fino a che gli ideali del movimento siano diventati la dottrina di un nuovo stato.

In quel momento si dovranno allentare pian piano le briglie, ponendole in grembo alla Costituzione, nate dall'ideale del movimento, dello stato. Ciò si compie tra battaglie, in quanto dipende non tanto dalla mente umana quanto dal giuoco di forze che possono essere riconosciute ma non controllate infinitamente.

Tutti i maggiori movimenti, politici o religiosi, ebbero i successi più grandi da queste concezioni, in quanto non si possono ottenere grandi successi se non vengono tenute in considerazione queste massime. Come direttore della propaganda del partito sono stato molto ligio nel preparare la strada per l'ampliamento del movimento e nel sorvegliare il contenuto dell'organizzazione che doveva essere composta solo da elementi selezionati.

Tanto più globale e dura era la mia propaganda, tanto più lontani si erano posti quegli elementi deboli e corruttivi, in modo da non poter essere inseriti nel centro del movimento. Pochi di questi riuscirono ad entrare e rimasero solo aderenti, ma non dicevano però che erano aderenti al movimento.

Migliaia di persone in quel tempo si dichiararono favorevoli al movimento, ma dissero anche che non avrebbero potuto divenire membri per nessuna ragione! Asserivano che non potevano iscriversi in quanto il movimento era così estremista che iscriversi avrebbe portato a censure e pericoli; per questo motivo non si poteva forzare la massa composta dai tranquilli cittadini che se anche erano favorevoli al movimento, non ci si accostavano. Se queste persone si fossero accostati al movimento inizialmente, il nostro movimento non sarebbe stato lieto di lottare, ma sarebbe stata una benefica confraternita.

L'impostazione giovane e estremista con la quale incisi la nostra propaganda irrobustì e assicurò la tendenza estremista, poiché ormai solo persone estremiste e decise componevano il movimento. La propaganda cosi svolta ci diede l'appoggio dì migliaia di persone che si auguravano una nostra vittoria, ma allo stesso tempo li teneva scostati dal movimento per i pericoli insiti in questo. Fino alla metà del 1921 ciò ci fu sufficiente, ma alcuni fatti accaduti nell'estate di quell'anno ci fecero comprendere che bisognava adeguare l'organizzazione alla notevole vittoria della propaganda.

Il movimento di alcuni "nazionalisti " di accaparrarsi la direzione del partito, con l'aiuto dell'allora presidente, morì con l'abbattimento di questa "sommossa ". In un'adunanza generale dei membri mi fu affidata, alla unanimità, la direzione generale del movimento. Nello stesso tempo fu fatto un nuovo statuto, che fece ricadere tutte le responsabilità sul primo presidente del movimento, tolse generalmente le decisioni delle commissioni, immettendo invece un nuovo modo di dividere il lavoro che da quel momento risultò migliore e più utile.

Dal primo agosto 1921, iniziai i cambiamenti in seno al movimento, appoggiato da uomini insigni. Per dare una nuova spinta e dare l'importanza ai risultati acquisiti dalla propaganda dovetti togliere vecchie abitudini e inserire concetti che nessun movimento ancora aveva o conosceva.

Negli anni 1919 e 1920 il movimento era diretto da un Comitato, eletto da assemblee di membri prescritte dalla legge. Il Comitato era composto da due cassieri, da due segretari, e aveva in cima un primo e un secondo presidente. C'erano inoltre un rappresentante dei membri, il capo della propaganda e alcuni assessori. L'organizzazione sembra paradossale, ma questo Comitato non era altro che quello che il movimento voleva distruggere: il parlamentarismo.

Per quale motivo in questo comitato era stato inserito un principio che vigeva e per il quale si soffriva in tutti i gruppi locali, distretti, regioni, stati, e nella direzione del Reich? Era ingente abbattere tutto ciò, se non si voleva in chiave di costruzione un movimento su cattive basi e che si sarebbe poi risentito un domani.

Le riunioni del Comitato, in cui si scriveva un verbale, si prendevano decisioni più o meno importanti, non era altro che un parlamento in piccola scala. Mancava la responsabilità di una persona, c'era l'irrazionalità che esiste nello stato; si eleggevano, nel Comitato, dei segretari, comizieri, rappresentanti dei membri, sorveglianti della propaganda e si prendevano decisioni solamente dietro votazioni.

Si veniva all'assurdo, di persone che si interessavano a certi problemi, votassero per cose che non li riguardavano. Perché allora si eleggevano delle persone per la propaganda, quando poi le decisioni dovevano essere prese da persone che non erano preparate?

Questo è tanto assurdo, per la mente umana, quanto lo sarebbe il fatto che in una azienda il presidente o i costruttori di altri rami, dovessero prendere decisioni che non li riguardano e che non hanno legami con i loro interessi. Non mi adattai a questo fatto e dopo poco tempo non partecipai più alle assemblee. Feci solo la mia propaganda e non volli che gente estranea si immischiasse nei miei affari. Mentre io non mi intromisi mai in cose che non mi riguardavano. Quando fu approvato il nuovo Statuto e la carica di primo presidente che mi fu affidata mi diedero potenza sufficiente, abolii subito quella sciocchezza. Invece delle decisioni prese dalla maggioranza, introdussi la responsabilità totale. Il primo presidente è responsabile di tutto il movimento, distribuisce il lavoro tra i membri delle commissioni, sotto di lui, e sceglie i collaboratori. Tutte queste persone sono responsabili soltanto del lavoro assegnatogli. Prende ordini soltanto dal primo presidente che unisce il lavoro di tutti, sceglie le persone e accomuna il lavoro distribuendo ordine tra le varie attività.

La responsabilità totale è diventata cosa normale nel partito o per lo meno nella direzione del partito. Nei piccoli gruppi locali e forse nei distretti, ci vorrà del tempo prima che si giunga a ciò, poiché le persone deboli hanno paura delle responsabilità e si opporranno sempre; questi hanno paura di prendere decisioni in quanto ne sono i responsabili. Costoro erano più tranquilli quando le più importanti decisioni venivano prese dal Comitato. Ma mi sembra ovvio oppormi energicamente a questo modo di fare, non agevolare la viltà della responsabilità, in modo, forse dopo molto tempo, da far nascere una idea dei doveri e dei poteri dei dirigenti, la quale porterà ai posti cruciali, persone atte ad occuparli e che abbiano la forza di comandare. In tutti i casi un'ideale che lotta contro certe follie, deve essere inumano. Solo in questo modo si può rinvigorire la sua lotta.

Un movimento che in un periodo di tempo nel quale viga l'idea della maggioranza, vi si oppone con l'ideale di un'unica persona e della responsabilità personale, ha la certezza massima, di riuscire a sconfiggere il sistema e di vincere. Questa idea obbligò un cambiamento interno generale del movimento; e logicamente una divisione tra la parte economica e quella della direzione politica generale.

Il sistema della responsabilità personale fu portato tutta l'amministrazione del partito e riuscì così a risanarlo e ad allacciarlo ad influenze politiche, ponendolo nel campo strettamente economico. Allorché, nell'autunno 1921, fu fondato il partito, questi contava solo 6 membri, non aveva sede, impiegati, formulari, sigilli, stampati. Il comitato aveva inizialmente il suo posto per le sedute in una trattoria della Herrengane ed in seguito in un caffè del Gesteig.

Questo fatto era insopportabile. Agii e visitai moltissimi ristoranti e alberghi di Monaco, volendo affittarne uno per il partito. Nella Sterneckerbrau c'era un locale che era stato utilizzato un tempo dai Consiglieri di Stato della Baviera. Era buio e tetro, ottimo per la sua utilizzazione, ma poco atto al nuovo uso che volevo fame.

La piccola strada in cui sfociava l'unica finestra era così stretta che anche in un giorno di sole la stanza era al buio. Comunque questa fu la nostra prima sede per parlare delle questioni. L' affitto era di 50 marchi al mese (che allora era per noi una ricchezza), ma non potevamo pretendere di più e non potemmo nemmeno protestare quando fu tolto il rivestimento in legno dalle mura, così che la stanza pareva più che altro un buco di una caverna invece che un ufficio. Eppure questo era già un buon inizio. Pian piano facemmo l'impianto elettrico, mettemmo il telefono, un tavolo, qualche sedia, un trespolo; poi riuscimmo anche a mettere un armadio. Due credenze del proprietario dove conservavamo i nostri appunti, i manifesti, i volantini ecc.

Non potevamo però, più avanti, dirigere il movimento riunendoci una sola volta a settimana. Poi vi era solo un funzionario pagato dal Comitato che era in grado di assicurare la giustezza e l'aumento degli affari. Era un problema allora, in quanto il movimento aveva pochi affiliati che rendeva impossibile trovare una persona modesta e capace di far fronte a tutte le esigenze del movimento.

Dopo molto studio, fu eletto il primo amministratore che era un soldato, un vecchio camerata, che si chiamava SchüssIer. Inizialmente egli veniva tra le 6 e le 8 nell'ufficio, poi veniva tra le 5 e le 8, in seguito tutto il pomeriggio ed infine, quando fu preso, tutto il giorno, dal mattino fino a tarda notte. Era una persona seria, intelligente, lavoratore e fedele all'ideale del movimento.

Schüssler si servi di una piccola macchina da scrivere AdIer. Era, quella, la prima macchina che operasse per il movimento: in seguito la si acquistò ratealmente. Si acquistò pure una cassaforte per rinchiuderci le carte e gli scritti e il libro dei movimenti dei membri; e non per riporvi somme di denaro che non c'erano. Infatti soldi non ce ne erano e io dovetti spesso mettere del denaro perché la situazione era critica. Dopo un anno e mezzo, essendo l'ufficio ormai troppo stretto per le nuove esigenze, ci spostammo in un locale nella ConIlinstrasse.

Anche questo era un ristorante, ma aveva tre stanze, invece di una come prima, e un salone, fornito di sportelli. Ci sembrava un sogno! E ci insediammo fino dal 1923. Nel dicembre 1920 divenimmo proprietari del "VöIkischer Beobachter ". Questo giornale che appoggiava la causa nazionale, diventava l'organo del nostro partito. Inizialmente era stampato 2 sole volte a settimana; con il 1923 uscì tutti i giorni, mentre alla fine d'agosto dello stesso anno divenne grande formato.

In quel tempo ero alle prime armi, con il giornalismo e dovetti pagare cara l'inesperienza. Un fatto che dava da riflettere era che in opposizione alla vastissima stampa ebraica c'era un solo quotidiano nazionale veramente importante. Questo, come dovetti constatare praticamente, era dato dalla poca intelligenza in affari delle aziende nazionali.

Queste vivevano seguendo il concetto che il ragionamento deve precedere l'azione. Concetto errato, in quanto l'intelligenza non può essere cosa a sé stante, ma deve rispecchiarsi nell'azione. Chi agisce per migliorare e beneficiare il suo popolo dimostra di avere una brillante intelligenza, mentre chi dice belle cose senza attuarle nuoce all'intelligenza complessiva.

Pure il "Völkischer Beobachter " era, come diceva il suo nome, un giornale nazionale, con i pregi, i difetti e le debolezze insite nelle istituzioni nazionali. Il fondamento era giusto, ma era amministrato però in modo erroneo. Anche in questo giornale c'era il principio errato che i giornali nazionali devono essere sovvenzionati dalla Nazione, invece del principio che impone di primeggiare nella battaglia concorrenziale con gli altri, e che non sia giusto che gli errori economici vengano riparati a spese di buoni patrioti. Compresi le pericolosità di questo modo di agire e cercai di cambiarlo.

La sorte giuocò favorevolmente con me in quanto conobbi un uomo che da allora in poi apportò molti servigi utili al movimento sia come direttore commerciale del quotidiano, sia come primo direttore finanziario del partito. Nella guerra del 1914 feci la conoscenza dell'allora mio superiore, che oggi è il direttore finanziario del partito, Max Amann. Nei 4 anni di guerra potei conoscere le qualità straordinarie del mio futuro collaboratore. Nell'estate 1921, quando il movimento vacillava e non potevo contare più su diversi impiegati, con uno dei quali avevo fatto una triste esperienza parlai con il mio vecchio camerata, incontrato per caso, pregandolo di prendere in pugno la situazione finanziaria del movimento in qualità di direttore finanziario.

Dopo lunghi tentennamenti (in quanto Amann occupava un posto con un avvenire roseo) finalmente acconsentì, pattuendo però di non dover fare da servo a qualche impotente Comitato e di dover rispondere soltanto ad una persona. È merito incontrastato di questo primo direttore finanziario del partito, le cui qualità commerciali sono ampie profonde, di essere riuscito a mettere ordine e diligenza nelle finanze del partito, che furono le più brillanti operazioni e che non furono né uguagliate né superate da nessuna ramificazione del movimento. Ma accadde, come spesso avviene, che il grande successo fece conoscere invidie e sfavori.

Già nel 1922 l'impostazione finanziaria era stata gettata sia per la costituzione che per l'organizzazione del movimento. C'era un libro contenente tutti i nomi dei membri. La finanza era stata raddrizzata e posta su direttive migliori.

Le uscite venivano coperte dalle entrate, mentre le uscite straordinarie erano coperte dalle entrate straordinarie. Così il movimento, con tutto che viveva in un periodo di crisi nazionale, riuscì ad estinguere quasi tutti i debiti ed anzi ad accrescere il suo valore economico.

L'impostazione era quella di una impresa privata, gli impiegati erano valutati per quello che rendevano e non per quello, che avrebbero potuto dare. L' intenzione d'un nazional-socialista si veda nella risoluzione, nella diligenza e nella capacità con cui svolge il suo compito datogli dalla comunità nazionale. Non svolgendo il compito non ci si può inorgoglire di ideali contro cui si pena.

Il nuovo direttore finanziario del partito, ricacciando tutte le pressioni, dette la possibilità a tutti i rami del movimento di non doversi preoccupare di quelle persone svogliate corrotte. Infatti un movimento che lotta contro la corruzione non può ammettere di tenere in grembo la pecca stessa contro cui lotta.

Avvenne che furono prese delle persone che lavoravano prima, appartenendovi per le loro idee, al partito popolare bavarese, le quali diedero un contributo notevole: il risultato di questa iniziativa fu ottimo. Proprio il riconoscimento chiaro e pubblico del lavoro svolto fece conquistare la simpatia degli impiegati molto velocemente.

Questi diventeranno poi ottimi nazional-socialisti e così restarono, non solo con le parole, ma dimostrandolo con il lavoro intelligente e completo al seguito del nuovo movimento. Diventa naturale che un lavoratore qualificato era preferito se iscritto al partito. Però nessuno volle farsi una posizione vantandosi dell'appartenenza al partito. La saldezza che il nuovo direttore mise nell'applicazione graduale del principio, fu di grande aiuto in seguito al movimento. Soltanto in questo modo la direzione commerciale del movimento, nel triste periodo dell'inflazione, riuscì non solo a sopravvivere, ma ad aumentare la tiratura, in modo da far diventare il "VöIkischer Beobachter " uno dei maggiori quotidiani. Riuscii nel 1921 a sopprimere le istruzioni di alcuni membri del Comitato come presidente del partito, nella vita delle singole aziende.

Ciò era vitale in quanto non si poteva permettere che persone si immischiassero di faccende che non li riguardavano ponendo il caos e non facendo inquadrare altre persone veramente valide. Da allora queste persone si ritirarono e scelsero altre vie per fare da controllori e ispiratori. Queste persone avevano sempre da obiettare su tutto e su tutti, e avevano sempre mille idee, piani, progetti e metodi. Alla fine però esse volevano un Comitato che sorvegliasse il lavoro che gli altri facevano diligentemente. Ma non è tollerabile dal nazionalsocialismo che persone incompetenti disturbino e critichino il lavoro di persone veramente qualificate. Però questo non era preso in considerazione da molti creatori di Comitati. Mi riproposi in quegli anni di far scomparire quelle persone e di proteggere gli elementi che avevano responsabilità in modo che potessero svolgere i loro compiti con la dovuta tranquillità.

Pensavo al più grande istituto di questo genere, il Reichstag. I deputati scomparirebbero velocemente se venisse imposto un vero lavoro al posto dei discorsi; un lavoro che desse loro grandi responsabilità. Ciò che feci per far scomparire quei Comitati che non facevano niente e che erano un peso per il movimento, fu di assegnare loro un lavoro. Divenne comico vedere la scomparsa in così breve tempo di tanti Comitati. Esigetti che come si faceva nella vita privata, fosse fatto per le aziende, cioè esaminare tante persone in modo da trovare l'impiegato, l'amministratore o il direttore veramente capace e onesto. Scovato gli si doveva attribuire la più completa autorità verso i subordinati e totale responsabilità verso i superiori.

A nessuno veniva data autorità se non era più che preparato nell'ambito nel lavoro assegnatogli. Nel giro di 2 anni feci rispettare questa tesi che oggi è stata assimilata nel movimento, almeno per quello che concerne la direzione suprema. Il trionfo di questo agire si ebbe il 9 novembre 1923, quando io entrai nel movimento anni prima, non esistevano sigilli. Il 9 novembre 1923, si sciolse il partito e fu confiscato il patrimonio. Il patrimonio, compresi gli oggetti di valore e il giornale, superava i 170.000 marchi.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo XII

Il veloce aumento del movimento nel 1922 ci pose di fronte ad un problema ancora oggi non risolto. Nel tentativo di trovare metodi atti ad acquisire le simpatie dei lavoratori, venivamo sempre a cozzare contro l'osservazione che non eravamo in grado di avere l'appoggio della larga massa fin quando i suoi interessi professionali ed economici erano indirizzati da persone ed organizzazioni politiche diverse dalle nostre. Evidentemente l'osservazione non era errata. L' operaio che era impiegato in un lavoro non esisteva, secondo la convinzione generale, se non era iscritto ad un Sindacato. Soltanto così egli aveva tutelati i propri interessi; e in ultima analisi, con il passare del tempo una carica nell'azienda era subordinata alla qualità di membro del Sindacato. Quindi la maggior parte degli operai era iscritta alle Leghe sindacali. Queste avevano combattuto per migliorie salariali e avevano risolto gli accordi tariffari in modo da garantire all'operaio un determinato stipendio. I buoni risultati ottenuti andavano a vantaggio dei Sindacati, in quanto gli operai che percepivano un salario imposto dai Sindacati e non avevano lottato a fianco di questi, si sentivano in debito intimamente per questa loro mancanza. Una discussione con gli imprenditori privati era impossibile. Essi non avevano interesse a comprendere i fini materiali e quelli morali della questione.

Essi sostengono che i loro interessi sono opposti a quelli delle organizzazioni delle forze lavoratrici, ed è assai complicato per questo cercare di avere un giudizio imparziale. Perciò bisogna rivolgersi a quelli che non hanno interessi, a quelli che non sono immischiati in queste beghe: questi se lo vorranno si potranno interessare di un problema che è tra i più importanti della vita in questo momento e in un domani.

Secondo me, fino a quando, o grazie a leggi, o per una generale maturità, non si avranno rapporti diversi tra il datore di lavoro e gli operai, questi ultimi si sentiranno in obbligo di difendere la propria vita economica, rifacendosi al fatto di essere in grado di contrattare con parità di diritti. Questo è normale all'interesse della comunità nazionale se aiuta a sconfiggere le ingiustizie tendenti a peggiorare il tenore di vita della comunità. Gli operai dovranno salvaguardarsi da soli, fino a quando non ci saranno uomini giusti, onesti che arrivano al dovere sociale e curino i più semplici diritti dell'uomo. Gli operai possono difendersi riunendosi sotto forma di associazione, su base sindacale, dei lavoratori stessi.

Questa concezione l'avevo fatta mia già nel 1922. Bisognava porre i problemi sotto una luce nuova e chiara. Non bisognava soltanto negare e contestare gli elementi del problema: bisognava trarne le conseguenze pratiche. Prima di tutto bisognava dare delle risposte a certi interrogativi: Sono necessari i Sindacati?

Il partito nazional-socialista deve agire su una linea sindacale o portare i suoi membri a svolgere una linea sindacale? Come deve essere costruito un Sindacato nazional-socialista? E quali devono essere i compiti e i fini? Come possiamo arrivare a questi Sindacati? Penso di aver risposto esaurientemente alla prima domanda. I Sindacati, oggi come oggi, sono necessari. In antitesi: i sindacati sono importantissimi per la vita economica della Nazione. Essi hanno più importanza nella politica nazionale che in quella sociale. Poiché un popolo, che viene aiutato dai sindacati, e quindi educato, nella conquista dei propri interessi vitali, acquisisce una grande resistenza nella lotta per la vita. I Sindacati sono importanti soprattutto come fondamenti di un futuro Parlamento economico e delle Camere delle classi.

Si risponde facilmente anche alla seconda domanda. Visto che il Sindacato è vitale, il nazional-socialismo deve immettersi materialmente nella vita sindacale. Il difficile è dire come si deve immettere. Siccome il movimento vuole far sorgere uno Stato Nazionale, deve fare in modo che tutte le istituzioni di questo Stato nascano dall'ideale del movimento stesso. Si sbaglia credendo che

con il potere si possa cambiare tutto a piacimento, bisogna prima di tutto creare persone con una certa visuale. Non si deve osservare solo l'apparenza, ma bisogna vedere anche lo spirito che sta dentro l'apparenza. Per esempio, si può imporre in un ramo dello Stato il comando di singole persone. Ma codesto fatto si noterà quando ciò sarà diventato normale e sarà diffuso e, tramite una cernita fatale, si giungerà ad avere delle persone, dopo molto tempo, che saranno in grado di applicare il nuovo principio. Non è possibile perciò pensare di poter immediatamente con una legge cambiare la configurazione di uno Stato.

Si può anche attuarlo, ma ciò sarà una cosa instabile, falsa, come una farfalla nata morta. Questo mi ricorda come si creò la Costituzione di Weimar e il tentativo di dare, con una nuova Costituzione, anche una bandiera diversa senza legami con la storia del popolo. Lo Stato nazional-socialista non dovrà fare mai simili errori. Dovrà nascere da un movimento collaudato da lungo tempo, il quale avrà in sé la vita nazionalsocialista e poi darà uno Stato nazionalsocialista vitale. Come ho detto, i fulcri essenziali delle Camere economiche saranno da ricercarsi nelle varie rappresentanze professionali delle classi ed il Parlamento economico centrale devono creare un istituzione nazionalsocialista, questi fulcri vitali dovranno essere impostati con la mentalità e con le idee nazional-socialiste. Le istituzioni del movimento devono essere poi radicate nello Stato, ma questo lavoro non può essere rapido se non si vuol rischiare di avere Enti morti.

Da questo concetto il movimento non può negare e deve creare un movimento sindacale proprio. Ciò deve essere anche riconosciuto poiché l'educazione nazional-socialista e la fusione nel quadro della comunità nazionale dei datori di lavoro e degli operai, si ottiene con la lotta della vita quotidiana e non con parole. Per questo motivo il movimento deve istruire i suoi membri ed accostarli ai grandi quesiti. Se non viene fatto prima questo lavoro, non si potrà sperare di veder sorgere una vera comunità nazionale. Soltanto la fermezza dell'ideale, l'idea del mondo voluta dal movimento può creare quella forma che renderà solido e saldo il nuovo periodo, e non soltanto un'epoca stabile solo in apparenza. Perciò il movimento deve credere all'idea del Sindacato; e al grande numero dei membri, e aderenti ai Sindacati il movimento dovrà dare una istruzione nazional-socialista in grado di inserirsi in un nuovo Stato nazional-socialista. Ciò che è stato detto porta alla risposta della terza domanda.

Il Sindacato nazional-socialista non è un mezzo della lotta di classe, ma serve come rappresentante della classe operaia. Lo Stato nazional-socialista non concepisce le classi come Marx: dal punto di vista politico vede soltanto cittadini con uguali diritti e doveri; vicino a costoro si trovano gli aggregati allo stato che non hanno diritto politico. Il sindacato, visto in modo nazional-socialista, non deve cambiare, con l'aiuto di persone appartenenti al popolo, queste persone in una classe capace di combattere gruppi organizzati nell'ambito della società nazionale. Noi non possiamo affidare questo lavoro unicamente al Sindacato; poiché questo compito fu dato allorché il marxismo ne fece uno strumento di lotta.

Il Sindacato non si avvale di ciò per la lotta di classe; il marxismo se ne occupò per usarlo come strumento di una lotta che favorisse i suoi fini. Il marxismo creò quell'arma economica usata dagli ebrei di tutte le nazioni per distruggere le fondamenta economiche dei liberi ed indipendenti Stati nazionali, per abbattere l'industrializzazione delle nazioni e il libero scambio nazionale, cercando così di far sorgere dei popoli liberi che in effetti sono schiavi della potenza ebraica appoggiata dallo Stato. Il Sindacato nazional-socialista, davanti a queste cose, deve, costituendo alcuni gruppi di aderenti al processo economico nazionale, accrescere la sicurezza dell'economia nazionale e consolidarla abbattendo quegli ostacoli che alla fine distruggono la nazione, influenzano negativamente la forza vitale della comunità nazionale e perciò dello Stato e abbattono la stessa economia.

Perciò, il Sindacato nazional-socialista appoggia lo sciopero come mezzo per accrescere la produttività della Nazione e renderla più rapida tramite la lotta contro tutte le barriere che compromettono la capacità dell'economia e quindi il proseguimento della comunità. Poiché quanto maggiore è la produttività del singolo così la posizione giuridico-sociale vi è in rapporto, posizione che egli occupa economicamente e nel riconoscimento che da essa deriva, aumenta la volontà che quella reazione aumenti portando vantaggio ai singoli stessi.

Il lavoratore nazional-socialista deve comprendere che la sua fortuna è legata all'aumento dell'economia. Il datore di lavoro nazional-socialista deve capire che la felicità e il benessere dei lavoratori sotto di sé vuol dire che perdurerà e accrescerà la sua grandezza economica. Perciò il prestatore ed il lavoratore nazional-socialista sono gli in caricati ed i promotori di tutta l'economia nazionale. Si concede al singolo un'ampia libertà personale d'azione in quanto il lavoro viene condotto in modo migliore quanto maggiore è la libertà del singolo, mentre la sorveglianza opera in modo contrario. Quella libertà serve anche a non bloccare quel procedimento di scelta dato dal risalto dell'abilità, diligenza e capacità. Perciò per il sindacato nazional-socialista lo sciopero deve esistere fino alla realizzazione di uno Stato nazionale. Codesto Stato, prenderà in pugno la soluzione ed al posto del conflitto di queste due classi, assumerà il compito di fare gli interessi delle due classi salvaguardando i diritti.

Le Camere economiche dovranno far prosperare la attività economica della nazione e distruggere gli ostacoli, pensando unicamente al bene della nazione e dello Stato. Perciò si dovrà tener presente il dogma: prima la Patria, poi il partito.

Il compito che ha il Sindacato nazional-socialista è quello di istruire e preparare le masse per un'ideale così concepito: un lavoro comunitario per ampliare ed irrobustire il nostro popolo e il nostro Stato, a secondo delle possibilità e resistenze proprie di ciascuna persona e plasmate dalla comunità nazionale.

La quarta domanda sembrò essere quella più difficile a cui rispondere. In generale si riesce a mettere delle fondamenta più facilmente in un luogo vergine che in uno vecchio dove vi sono altre fondamenta. In un luogo dove manca una industria di un determinato genere è produttivo cercarne una nuova. Ciò è difficile se già ce n'è una che produce gli stessi generi e specialmente quando si comprende che può rimanere in vita una sola delle due.

Perciò i costruttori devono fare in modo che questa azienda cresca e si solidifichi distruggendo la prima. Un sindacato nazional-socialista è inconcepibile affiancato ad altri Sindacati. Poiché è cosciente che l'ideale del mondo e del dovere non permetta l'esistenza di altre organizzazioni uguali o contrarie, per potersi sentire preso dal compito: deve aumentare l'ulteriore accrescimento esclusivistico del suo lo. Perciò non potendo avere punti di incontro o compromessi con istituzioni o ideali simili, si deve tener presente il proprio unico assoluto diritto. Per conquistare tale fine esistevano solo due strade: si poteva creare un proprio Sindacato che combattesse contro quelli Marxisti internazionali; riuscire ad inserirsi nei sindacati marxisti e cercare di cambiarli, con l'instaurazione dei nuovi ideali, in strumenti di questo nuovo mondo.

Contrarie alla prima strada c'erano i seguenti argomenti: in quel periodo, si avevano difficoltà economiche serie, e le possibilità che avevamo erano minime. L'inflazione che accresceva sempre più peggiorava la nostra posizione, poiché in quel tempo il Sindacato non era in grado di fornire un utile appoggio ai suoi membri.

Perciò, viste, così le cose, il lavoratore non vedeva l'utilità di segnarsi ad un Sindacato. I sindacati marxisti navigavano in brutte acque e sopravvissero solo per l'azione che si condusse nella Ruhr facendo affluire i milioni nelle casse di questi. Questo Cancelliere detto nazionale può essere soprannominato l'aiutante dei sindacati marxisti. Noi, allora, non potevamo far conto su certe possibilità finanziarie. Nessuna persona si sarebbe iscritta ad un Sindacato nuovo, che non avendo sicurezza economica, non poteva offrire nemmeno i più piccoli vantaggi.

In opposizione, io non volevo formare, in una nuova organizzazione, ospizi per intellettuali, più o meno grandi. La questione sindacale era della massima importanza. Non conoscevo, allora, qualcuno a cui far risolvere un così enorme quesito. Chi fosse riuscito a sconfiggere, in quel periodo, i sindacati marxisti per porre invece della lotta distruttrice di classe, l'ideale sindacalista del nazionalsocialismo, sarebbe stato uno degli uomini più illustri della nostra nazione, e la comunità avrebbe dovuto innalzargli un monumento e renderlo sacro nel Valhalla di Regensburg. Purtroppo non avevo nessuno che fosse di quella altezza. E ' sbagliato, ragionando in questo modo, lasciarsi ingannare dal fatto che anche i Sindacati possiedono solo delle persone comuni. Questo non ha significato in quanto i Sindacati furono creati quando non ne esistevano ancora. Oggi invece dobbiamo combattere contro un'enorme organizzazione, agente da moltissimi anni e collaudata nei più piccoli particolari.

Ma l'attaccante deve essere sempre più furbo del difensore se vuole trionfare. La fortezza sindacale marxista può anche essere oggi condotta da menti sciocche, ma può essere battuta soltanto dalla indomata forza e dalla pulizia di un grande uomo. Ma se questa grande persona non nasce, è inconcepibile combattere contro il destino ed è ancora più sciocco voler risolvere le questioni con mezzi inesistenti. A volte, nella vita, è cosa migliore abbandonare un'idea per un certo tempo piuttosto che compierla a metà per insufficienza di forze. Un'altra cosa c'era che non si poteva affermare demagogica. Ero convinto allora come oggi che è pericoloso affiancare anticipatamente le iniziative economiche a lotte politiche per una idea universale. Ciò è giusto specialmente per la popolazione tedesca: la quale distrarrebbe la concentrazione sorta per le lotte politiche, per riversarla su quella economica. Infatti il momento stesso che la popolazione è sicura che con il risparmio si può acquistare una casa, si concentrerà nel risparmio, tralasciando di combattere politicamente contro quelle persone che vogliono togliere loro un domani il denaro risparmiato. Invece di lottare per l'ideale politico, si concentrerà nell'acquisto della casa e non prenderà una soluzione precisa. Il movimento nazional-socialista comincia oggi la sua lotta. Non ha ancora costruito e ultimato la sua idea del mondo. Deve lottare con tutte le sue forze, con tutto se stesso, per riuscire a innalzare i suoi

magnanimi ideali, e trionferà sicuramente se si dedicherà soltanto a questa battaglia. Un classico esempio può dimostrare che la forza di combattere si annulla alla presenza di questioni economiche. La rivoluzione del novembre 1918 non fu appoggiata dai Sindacati, ma si rivoltò contro essi. Mentre la borghesia tedesca non ritiene che si debba lottare politicamente per il miglioramento della Germania, in quanto crede che esso sia dato soltanto dall'opera edificatrice dell'economia.

Dobbiamo fare nostre queste esperienze poiché i fatti per noi si svolgerebbero nello stesso modo. Quanto maggiormente il nostro partito farà leva per gettare il maggior numero di forze nella lotta politica, tanto minore sarà il tempo impiegato per giungere al successo. Mentre se noi rivolgiamo le nostre forze su argomenti diversi come i sindacati e la colonizzazione, la nostra causa ne subirà le conseguenze negative. Noi saremo pronti a risolvere gravi e grandi problemi soltanto quando potremo contare sulla forza pubblica per risolverli. Fino a quel momento non potremo realizzarli sia perché bloccherebbero il sistema del movimento, sia perché arrecherebbero un notevole danno alla nostra fermezza di raggiungere obbiettivi su scala mondiale. Poiché accadrebbe che i Sindacati premono sulla politica, mentre gli obbiettivi mondiali devono costringere i Sindacati a interessarsi dei loro problemi. Un concreto miglioramento otterrebbero sia il nostro movimento che la popolazione solo se un movimento nazionalsocialista fosse così convinto delle nostre idee da non correre il rischio di seguire le vie marxiste. Poiché è preferibile non creare un Sindacato nazional-socialista il cui compito principale sia quello di competere con i sindacati marxisti.

Il nostro Sindacato deve combattere quello marxista principalmente per l'idea e non solo per l'organizzazione. Deve combattere quelle persone che si fanno promulgatori dell'idea e della lotta di classe e offrirsi a questi come il difensore degli interessi professionali del popolo tedesco. Questi argomenti sono contro la creazione di un nostro sindacato; con una sola eccezione, che cioè nascose quella persona capace di risolvere il quesito.

Esistevano comunque altre due soluzioni: o di premere sui nostri affiliati affinché si togliessero dai sindacati, o premere affinché restando agissero in modo nocivo a questi sindacati. Generalmente, ho consigliato la seconda soluzione. Specialmente tra il 1922-23 si poté realizzare questa seconda soluzione: i Sindacati durante l'inflazione ebbero un vantaggio economico dall'iscrizione degli affiliati al nostro partito quasi nullo, anche se a quel tempo i nostri membri non erano tanti a causa della giovinezza del movimento.

Però subirono gravi guai in quanto le persone nazional-socialiste che si iscrissero fecero opera di sgretolamento e di distruzione in seno a questi sindacati. Rigettai tutte le prove che non portavano al trionfo. Mi sembrava un crimine togliere al lavoratore anche una pur piccola parte del suo guadagno per un'idea, della cui utilità non mi ero ancora convinto. Se un nuovo partito politico svanisce, la maggior parte delle volte si tratta di un bene, e nessuno ha il diritto di lamentarsi: poiché tutto quello che uno dà ad un partito, lo regala senza pensare ad alcun beneficio. Ma colui che contribuisce con il suo denaro ad un Sindacato, ha il diritto di esigere le migliorie che il Sindacato gli promise. Si possono definire imbroglioni quei sindacati che non fanno ciò che promettono, o bisogna colpire quelle persone che hanno preso alla leggera tali compiti, chiamandoli a spiegare le loro azioni. Nel 1922 ognuno, seguendo queste idee. Altri, apparentemente, furono più intelligenti e crearono nuovi Sindacati.

A noi ci fu contestata la mancanza di un nostro Sindacato, che dimostrava la nostra meschinità di giudizio e l'imperfezione del movimento. Comunque dopo poco tempo questi nuovi Sindacati scomparvero, così il prodotto ultimo fu simile per noi come per gli altri: con la differenza che noi non ci eravamo presi gioco né di noi né degli altri.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo XIII

La direzione politica estera del Reich non riuscì a trovare le basi per una costruttiva opera di politica d'alleanza. Questa deficienza rimase e aumentò dopo la rivoluzione. Infatti, prima della guerra si poteva attribuire l'errore alle idee sbagliate di politica generale, impostate dalla errata guida del nostro Stato, dopo però, la causa prima fu una volontà onesta. Era logico che i movimenti, i quali, tramite la guerra, erano riusciti a compiere un disastro, non avessero nessuno scopo nella ricerca di una politica di alleanza capace di far risorgere un libero Stato tedesco. Uno svolgimento indirizzato per quella via era opposto al senso profondo della rivoluzione di novembre, sarebbe stata in grado di cambiare o al limite di troncare l'internazionalizzazione dell'economia e della produttività tedesca. Poi i risultati che si sarebbero avuti da una battaglia con l'estero per la libertà tedesca, all'interno sarebbero stati dannosi per i capi dell'attuale potere statale.

Non si può pensare a far risorgere una nazione se non la si è prima nazionalizzata; al contrario, tutte le vittorie in politica estera devono avere favorevoli ritorni. Tutte le lotte per la libertà. portano, come si sa, all'acutizzarsi del sentimento nazionale, dell'amor proprio, e nello stesso tempo membri antinazionalisti cercheranno con ogni mezzo di rendere irrealizzabile l'esito di quella lotta. Mentre in tempi pacifici certi fatti e persone sono sopportate o anche ben considerate, in tempi di eccitamento nazionale, al contrario, ottengono odio e repulsione, che spesso li conducono in cattiva sorte. Ricordiamoci, per esempio, il timore per le spie che allo scoppio della guerra portò a orribili persecuzioni, talvolta ingiuste, anche se si può dire che il pericolo delle spie non è minore in tempo di pace seppure, non polarizza su di sé l'attenzione di tutti.

Le sanguisughe dello Stato salite al potere dopo gli avvenimenti di novembre, anche per questo motivo, intuiscono la loro possibile fine proprio dall'erompere del fervore patrio e dalle continue alleanze scaturite da una nuova esigenza di libertà.

Proprio per questo che dal 1923 i maggiori uomini politici sbagliarono catastroficamente la loro politica estera e che lo Stato non fece altro che andare contro gli interessi nazionali tedeschi. E questo, a chi guarda superficialmente, può sembrare fatto non con intenzione ma ad un osservatore più profondo ciò si mostra come logica continuazione della strada intrapresa per la prima volta pubblicamente dalla rivoluzione del novembre 1918. Si dovrebbero indubbiamente distinguere i veri responsabili tra i nostri uomini politici che dovrebbero rispondere degli affari di stato e quelli che si comportarono come pecore. E mentre le sanguisughe sapranno essere quello che vogliono, le pecore per pigrizia o stupidità si adeguarono alla situazione. Qu ando ancora al partito nazional-socialista apparteneva solo un esiguo numero di settari raggruppati in una Lega sconosciuta, i problemi di politica estera non furono molto considerati dagli aderenti al partito, anche perché il nostro movimento ha sempre sostenuto che la libertà esterna è frutto dello sviluppo interno, e non dovuta da forze divine o terrestri. "Solo l'annientamento delle cause del nostro cedimento e degli sfruttatori di esso può costruire la premessa ad una libertà da opporre agli stranieri ". È facile quindi capire perché, all'inizio del nostro movimento i problemi di politica estera avessero meno importanza delle questioni di interesse interno. Ma con l'ingrandirsi di quell'insulso numero di associati che divenne una così importante Lega, fu necessario occuparsi della politica estera. Fu quindi indispensabile preparare i programmi che fossero lo sbocco naturale delle nostre direttive e non solo fatti per non intralciarle. Dalla scarsa preparazione dei nostri connazionali in politica estera deriva, per il movimento, l'obbligo di educare i singoli governanti e il grosso del popolo in una grandezza di vedute in politica estera, tale che possa servire a riconquistare la libertà tedesca e il vero potere del Reich. Nell'affrontare questo quesito, si deve sempre tenere presente il principio che anche la politica estera serve per la vittoria finale, cioè per l'ampliamento del nostro paese. Ogni decisione di politica estera deve soddisfare alla domanda: "è inutile, oggi e in futuro, alla nostra nazione o sarà dannoso? ". Questo è l'unico punto fermo nello svolgimento del quesito. Il problema oggi è lo stesso con questa variazione prima del conflitto si doveva badare al rafforzamento del paese, basandosi sulla potenza insita in uno Stato libero, oggi si deve tendere, per prima cosa, a ridare indipendenza e forza al paese, per poi impostare una politica estera che miri al consolidamento e al miglioramento del paese Stesso. Non si deve tener conto di altri elementi, siano essi politici, morali, umani. Prima del conflitto era dovere della politica estera procurare la sicurezza della nazione aprendo nuove strade per giungere a questa meta, e ottenere i mezzi di aiuto, per raggiungere lo scopo, sotto forma di alleati.

Insomma la politica estera di ora dovrà servire a riottenere l'indipendenza. E a tal fine bisogna considerare la volontà di un paese di riottenere la libertà non è legata all'unità della nazione ma piuttosto al fatto che esista, seppur piccolo, un resto di quello Stato. E questa rimanenza, se ha la necessaria libertà, è in grado di rappresentare degnamente, lo spirito nazionale e preparare la lotta militare per la libertà.

Se per l'unità dello Stato cento milioni di uomini sopportano la schiavitù, ciò è indubbiamente peggiore che quel popolo fosse stato frazionato e soltanto una minoranza vivesse in libertà, sempre che, però, questo residuo proclamasse l'inseparabilità spirituale e culturale dell'intera nazione, e preparasse la guerra per libertà delle genti oppresse.

Riacquistare frammenti di un popolo è innanzitutto un riscattare la potenza politica e l'indipendenza della Patria, e, in questo caso, gli interessi del territorio oppresso debbono essere posti senza pietà dietro a quello del recupero della libertà del territorio principale. Perché la realizzazione della libertà si ottiene non per il desiderio degli schiavi ma per i mezzi di potenza del residuo, più o meno sovrano di ciò che costituiva la patria comune. Perciò per riacquistare i territori perduti bisogna rafforzare e sviluppare lo Stato residuo, che con incrollabile forza si dedichi alla liberazione e all'unificazione della nazione.

È per questo che occorre che gli interessi dei territori frazionati siano posti dietro a quello che ha lo Stato residuo di divenire tanto forte da cambiare la volontà degli oppressori. Poiché i territori oppressi ritorneranno a far parte del Reich per mezzo di una spada pronta a colpire.

Creare quest'arma è proprio di chi governa un paese. Far sì che chi la crei abbia una sicurezza interna e trovi alleati, è dovere della politica estera. Scarsa fu la nostra attività estera prima della guerra. Al posto di un consolidamento territoriale in Europa si iniziò una politica di espansione coloniale e commerciale, soluzione cosi errata perché si pensò di evitare un rafforzamento militare. Gli sforzi ottenuti da questa politica di accomodamento ebbero come risultato di non avere amici. La guerra mondiale fu l'ultima ricevuta presentata al Reich dalla sbagliata politica estera del Reich stesso. Era un'altra la strada da seguire: rinforzarsi nel Continente conquistando in Europa nuovi territori, e questo sarebbe stato il primo stadio verso l'unificazione del territorio nazionale mediante l'acquisto delle colonie.

Logicamente era una politica che poteva essere attuata solo con l'alleanza dell'Inghilterra oppure aumentando in maniera eccezionale la forza armata ottenendo però come conseguenza un minor sviluppo dei compiti culturali per 40 o 50 anni. Questo sarebbe stato ben tollerato. La necessità culturale di un paese è quasi sempre unita alla sua libertà ed alla sua autonomia politica, la quale è la base del sorgere, anzi della esistenza dell'altra. Perciò non vi è limite al sacrificio fatto per la libertà politica. Quello che si toglie alla cultura generale per aumentare le capacità militari, viene poi ripreso con gli interessi. Si può affermare che dopo la politica elargita per far restare lo Stato indipendente, c'è un certo rilassamento, un contraccolpo, tramite un germogliare della cultura di una nazione, che prima era stata tralasciata.

Infatti dalle nefandezze della lotta persiana segui il germogliare dell'età di Pericle; e lo Stato romano dopo il superamento delle guerre puniche gettò le basi per una civiltà superiore. Non si può dare il compito a degli imbelli o ignoranti parlamentari di soddisfare i bisogni di una nazione con l'unico scopo di preparare, una futura quantità di anni per la sicurezza statale. Costruire una quantità d'armi tralasciando tutto il resto riuscì solo al padre di Federico il Grande, ma non può essere realizzata da quelle persone che dirigono il nostro assurdo parlamento modellato ebraicamente. Anche per questo fatto, prima della guerra chi voleva conquistare territori europei non poteva che preparare una forza armata insufficiente, dovendo perciò ricorrere alle alleanze. Ma siccome non si voleva parlare di una preparazione intelligente della guerra, si tralasciò la possibilità di accaparrarsi territori in Europa e, attuando una politica coloniale e commerciale, si rinunziò ad allearsi con l'Inghilterra senza tentare come sarebbe stato intelligente, un'alleanza con la Russia, e tutto ciò ebbe come risultato, la guerra mondiale dovuta sostenere con il solo aiuto degli Asburgo, nostro danno ereditario.

Per dare un'impostazione alla nostra moderna politica estera è bene chiarire che non c'è una linea ben marcata visibile. Dopo la rivoluzione, non si può più vedere quale stadio si percorre. Più accentuate che non prima della guerra, non esiste una linea sistematica, con unica eccezione di tentare lo schiacciamento del nostro popolo che tenta di risorgere. Se si studia l'equilibrio di forze europee si giunge a questi risultati.

Da 300 anni la storia dell'Europa è influenzata dall'Inghilterra, la quale, tramite l'equilibrio delle forze europee, tenta di raggiungere i fini imposti dalla sua politica mondiale. Lo scopo tradizionale della politica inglese, in Germania, a questa, si può contrapporre solo alle tradizioni de l'esercito prussiano, cominciando da Elisabetta, tende a bloccare in qualunque modo il sopravvento di uno Stato sugli altri o ad aumentarli con intrusioni militari. I sistemi di forza che l'Inghilterra utilizzava in quei casi erano diversi, a secondo della situazione o a ciò che dovevano realizzare: ma il modo e la volontà di usarle furono sempre le stesse. Ma con il passare del tempo la posizione dell'Inghilterra si aggravò, così che i governi inglesi cercarono di tenere paralizzate le forze statali europee, portando così gli Stati a rivalizzare. L'indipendenza che le colonie del nord America si accaparrarono, fini per rendere necessaria la difesa in Europa. Perciò l'Inghilterra, una alla volta aumentate le forze navali spagnole e olandesi, uni le sue forze contro la crescita della Francia, fino alla distruzione del pericolo di una sovranità francese, pericolo crollato con la morte di Napoleone.

La politica inglese nei rapporti con la Germania cambiò lentamente, non solo perché l'Inghilterra non era preoccupata da un pericolo tedesco, ma anche poiché l'opinione pubblica era diretta dalla propaganda verso un determinato fine politico, così piano piano tese a nuovi fini. Da questo le fredde tesi dell'uomo di Stato sembravano cambiate in valori sentimentali, di grande effetto e di vasta resistenza. L'uomo di Stato, raggiunti i suoi fini, tende a conquistarne altri; mentre la popolazione deve soltanto gradatamente e con lento lavoro di propaganda essere modellata a mezzo dei nuovi fini di chi la governa.

Già nel 1870-71 l'Inghilterra stabili la sua nuova posizione. A volte ci furono sbilanciamenti dovuti all'ingrandimento mondiale dell'economia americana e all'ingrandimento di potenza della Russia; ma la Germania non le seppe considerare; e perciò la primaria direzione della politica inglese riuscì sempre a rafforzarsi. L'Inghilterra vide nella Germania la Potenza, la cui forza nel commercio e nella politica mondiale, grazie anche alla sua potente industrializzazione, aumentava minacciosamente in modo tale che in alcuni casi le capacità dei due Stati si pareggiavano.

La tranquilla conquista economica del mondo, che sembrava per i nostri statisti come il massimo dell'intelligenza, portò la politica inglese ad instaurare la resistenza. Se poi la resistenza diventò un'aggressione organizzata di vasta portata, ciò era logico per una politica che non voleva tenere una pace mondiale difficile ma voleva rafforzare la potenza mondiale britannica. E se l'Inghilterra si avvantaggiò di alleati aventi una sicura forza militare, ciò rispose alla sua tradizionale cautela nel considerare le forze dell'avversario e alla valutazione della sua istantanea deficienza. Ciò non vuol dire mancanza di scrupoli, perché l'organizzazione di una guerra non si può vedere dal lato eroico ma da quello della potenza e dell'interesse.

Una diplomazia deve cercare la conservazione e non la fine eroica di un popolo. Perciò ogni strada che giunge a questo fine è giusta, e non seguirla diviene delittuoso e un travisamento del dovere. Con la rivoluzione tedesca, le paure inglesi di un rafforzamento mondiale della Germania non risultarono fondate. Da quel momento l'Inghilterra non si curò della distruzione della Germania e dell'Europa. Invece il terribile sfacelo seguito dopo i giorni del novembre 1918 mise l'Inghilterra in condizioni di porsi problemi e in una situazione nuova e imprevedibile. L'Inghilterra aveva combattuto per quattro anni e mezzo per rompere la crescita di una potenza continentale rispetto alle altre. Ora questo sfacelo sembrava avere distrutto le pretese di questa potenza. Sembrò una deficienza anche al riguardo della autoconservazione, poiché l'equilibrio europeo sembrò distrutto nel giro di 48 ore: la Germania distrutta e la Francia fu la più potente forza continentale.

La vasta propaganda fatta in questa guerra per far resistere il popolo inglese fino alla fine, lasciò libero sfogo a tutti gli istinti e passioni primordiali, e pesò come mai sulla risoluzione degli uomini di Stato inglesi. Con la distruzione coloniale, economica e commerciale della Germania si era arrivati al fine inglese: la guerra; ciò che non rientrava in questi fini, era dannosa per l'Inghilterra. Gli avversari dell'Inghilterra dovevano solo prendere i risultati dell'abbattimento di uno Stato forte come la Germania in Europa. Però, in quei giorni del novembre 1918 e fino alla fine dell'estate 1919 non fu più possibile un cambiamento di linea della diplomazia inglese che in quella guerra aveva fatto uso più che mai della potenza dei sentimenti della maggior parte della popolazione. Un così grande cambiamento non fu più possibile nella linea ormai intrapresa dalla massa inglese né da quella dell'equilibrio militare di forze.

La Francia indirizzava gli altri Stati e indirizzava il movimento generale. L'unica potenza che in quel periodo di discussioni e di vendite sarebbe stata capace di cambiare le cose, la Germania, era dilaniata dalla guerra civile e tramite i suoi uomini di Stato si diceva pronta ad assolvere qualsiasi imposizione.

Ora, se nell'esistenza dei popoli di uno Stato, viene meno l'istinto di conservazione, finisce di essere un associato attivo, diviene schiavo e il suo Stato si trasforma in colonia. Per non far diventare troppo forte la Francia, l'Inghilterra si fece complice dei soprusi fatti da questa.

In effetti, l'Inghilterra non ha esaudito i fini che voleva con una guerra. Avvenne quindi che una Nazione europea diventò più forte delle altre distruggendo il sistema dell'equilibrio delle forze. La Germania come Stato militare era nel 1914 inserita tra due paesi, di cui uno aveva una forza pari a quella tedesca, mentre l'altra le era superiore. L'Inghilterra spadroneggiava sui mari. La Francia e la Russia si contrapponevano e combattevano per non far sviluppare troppo la Germania.

La posizione geografica e militare del Reich era considerata come un motivo di rimessa contro l'eccessivo ingrandimento della Germania. Il profilo della costa era piatto, piccolo e impervio per un futuro pericolo marino dell'Inghilterra, mentre i confini di terra erano troppo vasti e nudi per interessare gli altri Stati.

Diversa è oggi la situazione francese: divenuta la prima potenza militare non aveva più rivali nel continente; difesa dalla Spagna e dall'Italia dai confini naturali meridionali; difesa dalla Germania dall'insufficiente forza della nostra patria; ed infine difesa dall'Inghilterra dalle coste che fanno da schermo ai punti di forza dell'impero britannico. Gli aerei e i cannoni francesi a lunga gittata minacciano i punti di forza inglesi, mentre il commercio navale è insidiato dai sottomarini francesi. Una guerra sottomarina sulla lunga costa atlantica e all'ampia grandezza delle rive francesi nel Mediterraneo e nell'Africa settentrionale, avrebbe potuto danneggiare sensibilmente l'Inghilterra.

Così il risultato della guerra contro l'ingrandimento della potenza tedesca fu la nascita della potenza francese sul continente il trionfo militare fu dato alla Francia che diventò la prima potenza continentale, mentre l'America diveniva la più potente sui mari. La soluzione economica fu la concessione ai vecchi alleati di vaste zone d'interesse britannico. I vecchi fini politici inglesi vagliano, e sperano in una catalizzazione dell'Europa; mentre quelli francesi vogliono la catalizzazione della Germania.

Fine inglese è quello di bloccare qualunque potenza continentale europea che acquisti un'importanza mondiale, perciò di lasciare un equilibrio di forze tra le nazioni europee: poiché questo principio è quello che permette la potenza mondiale inglese.

Il fine francese invece è quello di bloccare la crescita della potenza tedesca, di far sorgere un'organizzazione di piccoli Stati tedeschi, di potenza uguale, senza essere diretti da uno solo, di insediarsi sulla riva sinistra del Reno, capace di creare, e a far rimanere la sua potenza in Europa. Quest'ultimo fine della diplomazia francese sarà sempre in coppia con il fine ultimo della politica inglese.

Colui che, iniziando da questi argomenti, si mette a studiare le possibilità che ha la Germania di avere alleati, do. ve riscontrare che l'unica alleata possibile è l'Inghilterra.

I postumi della politica inglese di guerra furono e sono terrificanti per la Germania, pur tuttavia non è possibile negare che oggi l'Inghilterra non ha più ragione per distruggere la Germania: anzi, la politica inglese dovrà frenare sempre maggiormente la volontà francese di primeggiare. Però la politica di alleanza non si percorre più su strade di contrasti vecchi, anzi è produttiva riconoscendo le esperienze vissute.

L'esperienza dovrebbe insegnarci che le alleanze realizzate per giungere a fini negativi, sono internamente instabili. Per fondere globalmente i destini dei popoli si ha bisogno di credere ad un comune trionfo, di comuni vittorie di un ingrandimento dì forze per entrambi gli alleati. Il nostro Stato non si occupa molto della politica estesa, come risulta anche dai fatti riportati dalla cronaca circa la simpatia più o meno forte che i politici stranieri hanno per i tedeschi. In questi stati d'animo di tali uomini verso la nostra popolazione, si nota un'assicurazione di un'amichevole politica verso di noi.

È stupido ciò, quasi inconcepibile, è una speculazione della semplicità sul piccolo borghese che fa della politica. Naturalmente, qualunque statista inglese si sentirà pienamente inglese, ogni americano si sentirà americano, e, nessun italiano si sentirà di fare una politica che quella pro-italiana. Chiunque pensa di costruire una alleanza con altri Stati su una concezione fraterna dei responsabili di questi Stati, o è un imbecille o è un bugiardo. La base di un congiungimento degli interessi di popoli non si fonda sulla stima o sulla simpatia reciproca, ma soltanto la sicurezza che tutti gli alleati abbiano dei vantaggi. Perciò se non è falso che una persona di Stato inglese agirà sempre in conformità alla politica anglosassone e non a quella tedesca, è anche giusto che alcuni fini di questa politica anglosassone si con.! giungano con quelli tedeschi.

Ciò può essere vero in generale fino a un dato limite, dopo di ciò si può anche capovolgere la situazione. Ma la finezza di un governante emerge nell'imbastire, per giungere in un lasso di tempo ai propri fini, quelle alleanze che per proteggere i propri fini devono seguire la stessa strada.

La messa in atto immediata di questi postulati, è legata alla soluzione che si trova soddisfando alla seguente domanda: quali sono quelle Nazioni che non barino oggi un interesse speciale alla globale dispersione di un'Europa centrale tedesca, in modo da far salire la forza economica militare francese al punto di una potenza assoluta? Quali sono gli Stati che per sopravvivere e per ampliare la loro tradizionale politica, dovranno scorgere nella potenza assolutistica francese un pericolo per il loro futuro?

Poiché bisogna comprendere che il nemico mortale del popolo tedesco è e resta la Francia. Non interessa chi comandi in Francia, Borboni o Giacobini, Napoleonidi o persone democratiche della borghesia, repubblicani clericali o di tendenze comuniste: nella politica estera loro agiranno sempre in modo da occupare il confine renano e a garantire alla Francia questo corso d'acqua tramite la divisione della Germania.

L'Inghilterra non ha interesse ad avere una Germania potenza mondiale, la Francia non desidera una Potenza mondiale che sia la Germania: questa differenza è fondamentale! Il fatto è che attualmente noi non cerchiamo di diventare una potenza mondiale: combattiamo per la continuità della nostra patria, per la compattezza del nostro Stato e per dare da mangiare ai nostri figli. Visto da questa posizione e osservandoci intorno, i soli Stati con cui possiamo allearci sono: l'Inghilterra e l'Italia.

L'Inghilterra teme la forza militare francese, la quale possa aderire ad una politica dannosa per l'Inghilterra una volta o l'altra. L'Inghilterra teme una Francia che, comandando sul vasto territorio dell'Europa occidentale producente ferro e carbone, ha insite in sé le basi di una sicura potenza economica mondiale. E non desidera neppure una Francia, con un posto politico nell'Europa continentale garantito dallo sfacelo in cui è gettata il resto dell'Europa, capace di riprendere inevitabilmente le grandi linee di una politica francese mondiale. Gli ordigni gettati una volta dagli Zeppelin possono aumentare di centinaia di volte; la forza militare francese grava nell'anima del regno britannico.

Però neanche l'Italia può volere o vuole una maggiore stabilità della potenza francese in Europa. Il futuro italiano è legato ai fatti che si producono nel Mediterraneo e dalla politica che viene svolta nel bacino di questo mare. Ciò che portò l'Italia in guerra non fu il bisogno di annientare la Francia, ma il bisogno di abbattere l'antica nemica adriatica.

Qualunque aumento di potenza della Francia continentale determina un bloccaggio per l'Italia: e non si deve pensare che la parentela tra due Stati annulli gli eventuali attriti. Se si ragiona con calma e imparzialmente, si comprende che in questo momento l'Inghilterra e l'Italia restano i soli Stati i cui fini logici sono simili alle condizioni della sopravvivenza della gente tedesca e sono in qualche modo quasi uguali con questi.

È chiaro che nel considerare questa via di alleanza, non bisogna tralasciare tre osservazioni. La prima osservazione é in noi, le altre due sono negli Stati che consideriamo. Generalmente, si può allacciare un'alleanza con l'attuale Germania? Una forza che per giungere ai propri fini bellici vuole un appoggio da un'alleanza, può appoggiarsi ad una Germania i cui governanti mettono in mostra da tempo una spregevole impotenza, di codardia pacifica, e dove la maggior parte delle persone, resa cieca dalla democrazia e dal marxismo volta le spalle ai fini dello Stato e della patria?

È possibile che attualmente una potenza voglia allearsi e quindi iniziare fertili rapporti e di difendere lottando fini uguali ad una Nazione che effettivamente non ha la volontà né fermezza di battersi solo anche per sopravvivere? Una nazione, per cui un'alleanza deve dimostrarsi maggiore che un patto di assicurazione per la difesa di una situazione che a poco a poco si decompone, sul motivo della passata triplice alleanza, può affiancarsi per la vita e per, la morte ad una Nazione che dimostra ampiamente col suo;: modo d'agire di sottostare pietosamente e vigliaccamente allo straniero e di reprimere orribilmente i pregi nazionali? Ad una Nazione che non ha più nessuna forza poiché il suo comportamento non li merita, e che è diretta da persone odiate dai suoi stessi cittadini, da persone che per questi motivi non possono avere l'appoggio dell'estero?

No! Una nazione che vuol mantenere il proprio prestigio e che dalle alleanze desidera ottenere cose diverse di stipendi per parlamentari avidi, non trarrà alleanza e non vorrà allearsi con l'attuale Germania. La nostra attuale impotenza nel trovare alleanze è la causa prima e più radicata della unità dei nemici rapinatori. La Germania, in quanto si difende soltanto con poche proteste nefande dei nostri dirigenti, nessuno al mondo trova la ragione di lottare per aiutarci, e la giustizia del Signore non dà la libertà alle genti codarde, anche se le nostre Leghe patriottiche pregano l'aiuto piagnucolando.

Dunque le Nazioni, che non hanno un fine più che importante per non volere la nostra fine totale, si affiancano alla Francia per rapinarci, in modo da non lasciare la Francia, l'unica che si irrobustisce tramite noi. Poi non sono da tralasciare gli ostacoli, che sono insiti nella trasformazione, nelle Nazioni ex-nemiche, dei vari gradi della popolazione che sono indirizzati verso dei fini tramite un'ampia propaganda di massa.

Non è concepibile disegnare per molti anni una popolazione come "barbara, malfattrice " ecc., e in seguito improvvisamente accertare che non è vero e quindi spingere l'ex-nemico a sottoscrivere domani un'alleanza. Però bisogna concentrarsi ancora di più su un terzo problema che sarà importantissimo per lo svolgersi dei prossimi abboccamenti d'alleanza in Europa: se, dal modo di vedere della politica inglese, l'Inghilterra non ha scopo per una maggiore distruzione della Germania, maggiore interesse l'hanno il gioco giudaico di Borsa. La divisione tra la politica inglese ufficiale o tradizionale e le forze borsistiche ebraiche è lampante per la differente presa di posizione davanti a quesiti di politica estera inglese. La finanza ebraica vuole, in contrasto ai fini dello Stato britannico, non solo il completo annientamento economico della Germania, ma pure la globale sottomissione politica di questa.

L'internazionalizzazione delle finanze tedesche, ovvero la trasformazione delle possibilità di lavoro tedesca in modo da essere sottomessa all'economia mondiale ebraica, si è in grado di ottenerla soltanto in una Nazione sottomessa dal comunismo.

Però la forza di lotte comuniste della finanza borsistica internazionale ed ebraica non è in grado di distruggere definitivamente la forza della Nazione tedesca se non può contare sull'appoggio degli Stati esteri. Quindi la Francia può attaccare la Germania solo fino a quando il Reich, reso impotente, è sottomesso alle forze comuniste della economia ebraica mondiale. Abbiamo perciò che l'attuale istigatore al globale annientamento della Germania è l'ebreo. In qualunque parte si pensi a battere la Germania, ci sono come aizzatori gli ebrei. Ugualmente, nei periodi di guerra e di pace i quotidiani ebraici, borsistici e marxisti, rinfocolavano per strategia il rancore contro la Germania, fino a che una Nazione dopo l'altra scesero in guerra e, tradendo i fini delle popolazioni, si allearono alla coalizione mondiale.

L'idea ebraica è limpida. La bolscevizzazione della Germania, ovvero l'annullamento del genio nazionale tedesco e l'indebolimento, conseguente, della potenza lavorativa tedesca da parte dell'economia mondiale ebraico è vista soltanto come l'inizio dell'idea ebraica che è quella di impadronirsi della Terra. Come accade varie volte nel tempo, la Germania diviene il fulcro, l'apice della grande battaglia.

Se i tedeschi e la Germania soccombono ai tiranni delle Nazioni, assetati di uccidere e di pecunia, il mondo intero soccomberà tra le braccia di queste sanguisughe. Ma se la Germania si riesce a liberare di questo castigo, un enorme pericolo sarà estinto per l'intero globo. Però è vero che gli ebrei lotteranno con tutte le forze per ottenere l'appoggio delle nazioni contro la Germania e se possibile per aumentare l'odio; ed è chiaro che questa azione favorisce solo minimamente i veri fini delle popolazioni che li appoggeranno. Generalmente gli ebrei lotteranno sempre, in seno a ogni Stato, con quei mezzi che la giusta concezione di quelli Stati renderanno più utili e che garantiscono il miglior trionfo. Nel nostro dilaniato Stato il giudaismo utilizza, nella battaglia per il potere, delle ideologie cosmopolite più o meno pacifiche, delle direttive internazionali. In Francia utilizza il celebre e giustamente studiato sciovinismo; in Inghilterra di vedute economiche e politiche mondiali; in definitiva utilizza sempre i maggiori pregi che compongono l'intelligenza nazionale d'un popolo. Dopo aver raggiunto per quelle strade un importante ascendente e forza economico-politica, abbandona i legami che gli impongono codesti mezzi e mostra i veri radicati fini del suo interesse e della sua battaglia. In questo modo annienta le Nazioni, trasformandole lentamente in distruzioni, sulle quali si erigerà la potenza del regno ebraico.

In Inghilterra, come in Italia, il contrasto tra punti di vista sulla migliore politica nazionale e gli interessi degli ebrei borsistici appare limpido e a volte di una evidenza terrorizzante. Soltanto in Francia attualmente c'è una coincidenza di vedute tra la Borsa, gli ebrei che sono in Borsa e la politica francese di vedute comuniste.

Ma proprio in queste coincidenze c'è un enorme minaccia per la Germania. Proprio perciò la Francia è e resta il maggiore nemico. I francesi, se diventano sempre più schiavi, poiché fanno loro gli interessi della predominazione mondiale ebraica, sono sempre portatori di una sempre maggiore minaccia per la sopravvivenza della popolazione europea bianca. Poiché il cambiamento, realizzato con sangue negro nelle sponde del Reno, nel centro dell'Europa, è uguale tanto alla tremenda e malata cupidigia di vendetta di questo vecchio nemico della nostra gente quanto alla ragionata azione dell'ebreo di imbastardire in questo modo l'Europa al suo cardine e di strappare ai bianchi le basi del suo vivere rendendola marcia con una razza inferiore.

Ciò che la Francia, spinta dal proprio odio, e comandata dagli ebrei, realizza oggi in Europa, è un delitto nei confronti della razza bianca e inciterà un domani verso questa popolazione le. rappresaglie di una generazione che nella sconsacrazione di una specie rivedrà il peccato originale dell'uomo.

Però per la Germania la minaccia della Francia è come il dovere di scavalcare ogni sentimento e appoggiare coloro, che toccati al nostro pari, non vuole essere né stare sotto la potenza francese. Per molto tempo, la Germania considererà in Europa solo due alleati: l'Inghilterra e l'Italia. Chi oggi si mette a controllare la politica svolta dalla Germania dalla rivoluzione in poi, davanti ai tanti sciocchi falli dei nostri governi, si trova o a rinunciare o, offendendosi, lottare contro questo governo. Le azioni, che non c'entrano con l'incomprensione, poiché qualunque mente umana intelligente non avrebbe potuto nemmeno pensarle, furono fatte dalle grandi menti degli enormi partiti di Novembre: con conseguente consenso francese. in tutto questo periodo di tempo, con la incommensurabile sciocchezza di un fatto fantasioso e irreparabile, si susseguirono gli approcci per rendersi amica la Francia, ci si inchinò sempre dinanzi al grande Stato, e si pensò di intravedere in ogni frase del giustiziere francese il primo sintomo di una chiara mentalità che cambiava.

Coloro che in verità dirigevano la nostra politica non appoggiarono mai questa pazza idea: per costoro, riuscire a farsi amica la Francia significava danneggiare ogni tipo di politica d'alleanza. Non si sperò mai che la Francia e i suoi istigatori avessero fini pacifici. La ragione per la quale essi giunsero di vedere un cambiamento nel futuro della Germania, fu la considerazione che il popolo gli avrebbe voltato le spalle. Veramente è doloroso per la popolazione dover porre l'Inghilterra tra i prossimi alleati della Germania. I quotidiani ebraici riuscirono a portare i tedeschi ad odiare specialmente l'Inghilterra. Il fatto grave è che più di uno sciocco cittadino si imprigionò nella rete, parlò del risorgere della forza marina tedesca, inveì contro l'usurpazione delle nostre colonie e ne reclamò la restituzione, dando un aiuto al malfattore ebreo che portava a conoscenza del suo connazionale in Inghilterra nuovi mezzi, affinché li utilizzasse per la propaganda pratica.

A poco a poco la borghesia tedesca si rese conto che noi in questo momento non lottiamo per la supremazia del mare e per cose uguali. Anche prima della guerra sarebbe stato pazzesco dirigere la forza nazionale della Germania verso questi fini, prima di avere rinforzato la Germania nell'Europa. Odiernamente poi questo discorso è pazzesco tanto da venir considerato un delitto politico. Molte volte ci irritavamo per il modo con il quale gli ebrei spostarono la concentrazione della popolazione su fini secondari, la spingessero a proteste e a cortei, nel momento in cui la Francia ci devastava il territorio e minava le fondamenta della nostra libertà. A questo punto mi ricordo come gli ebrei riuscirono con molta bravura a stare in sella a quel cavallo di battaglia che è l'Alto Adige.

Sì, l'Alto Adige. Se ora parlo di questa questione, mi serve per farmi spiegare ciò da quella immonda gentaglia che, facendo leva nella stoltezza e nella dimenticanza di molti dei nostri cittadini, vuol far apparire uno sdegno nazionale che ai nostri sporchi parlamentari sembra tanto più estranea di quello che è il concetto di appartenenza ad una razza. Tengo presente che, quando si compi il fato del Basso Tirolo, ovvero dall'agosto 1914 al novembre 1918, anch'io vi partecipavo per difenderlo: nell'esercito. Lottai pure io in quel tempo, affinché si riuscisse a difendere vittoriosamente per la patria quel territorio e non per darlo ai nemici.

Coloro che non parteciparono alla guerra, furono quel ladri dei parlamentari, quei delinquenti politici dei partiti.Mentre noi lottavamo con la certezza che soltanto il successo della guerra ci dava la possibilità di far restare alla Germania anche il Basso Tirolo, questi si batterono contro la vittoria fino a che i soldati tedeschi perirono, uccisi a tradimento. Poiché il Basso Tirolo era garantito alla Germania soltanto dai soldati che combattevano sul fronte e non dagli accesi discorsi mentitori di furbi politicanti nelle Rothausplatz di Vienna o in Monaco.

Chi ruppe il fronte, tradì e speculò sul Tirolo come anche su tutti i territori tedeschi usurpati. Ma colui che pensa di trovare il risultato del quesito dell'Alto Adige con manifestazioni, proteste, discorsi ecc., o è un idiota o si tratta di un piccolo borghese tedesco. È obbligatorio convincersi che i territori persi si possono riavere solo lottando e non pregando il Signore o invocando la Società delle Nazioni.

Perciò ci si deve chiedere ora chi sia in grado di affrontare una guerra per riprendersi i territori persi. Da parte mia posso affermare che ho ancora abbastanza energia da comandare un futuro battaglione, composto da capi di partito, da molti cialtroni parlamentari e da gloriosi consiglieri, per riprendere il Basso Tirolo.

Sarei felicissimo, se in un prossimo futuro, due shrapnells esplodessero sopra una così bella manifestazione di proteste. Penso che se una volpe entrasse in un pollaio il chiasso non sarebbe più forte e che i polli non scapperebbero più velocemente di quanto si dileguerebbe una simile manifestazione. Ma la cosa più brutta di questa questione rimane il fatto che queste persone non pensano di riuscire a risolvere quel caso per questa strada. Tutti comprendono l'impossibilità delle richieste, che le loro azioni sono inutili. Agiscono in questo modo poiché è più semplice parlare di riprendere il Tirolo oggi, di quanto risultava ieri combattere per difenderlo. Tutti fanno ciò che possono; ieri molti di noi morirono; oggi questi dicono molte parole. Ha un significato guardare certe confederazioni legittimistiche di Vienna che si fanno belle del loro modo di agire per impossessarsi del Basso Tirolo.

Sette anni fa la loro splendente casata, con la delinquente azione di giurare il falso e di tradire, aiutò la coalizione mondiale a conquistare pure il Basso Tirolo. In quel periodo queste confederazioni, non tenendo in considerazione il Tirolo ed il resto, pensarono soltanto ad aiutare la politica della loro vigliacca casata.

È chiaro che in questo periodo risulta molto più semplice combattere per ciò che si è perso, ma si combatte soltanto con mezzi linguistici: è più semplice strillare in una riunione di proteste, colmi di magnanima indignazione, e stampare articoli sui quotidiani che, ad esempio, distruggere ponti durante l'occupazione della Ruhr. La causa per la quale negli ultimi tempi alcuni circoli misero come centro dei rapporti italo-tedeschi il problema del Tirolo, è molto semplice. Gli ebrei e i legittimisti asburgici sono interessati ad impedire una politica tedesca di alleanze che porti in un futuro al rinnovo di una Germania libera.

Il fracasso che si è organizzato non è sorretto dall'amore per l'Alto Adige, in quanto questo processo non aiuta il Tirolo, anzi gli è nocivo, ma. dalla paura di una alleanza italo-tedesca. È abitudine di quei circoli la falsità e la calunnia, perciò è comprensibile che tentino di far passare noi come i traditori del Tirolo.

A queste persone bisogna spiegare una volta per tutte: il Tirolo fu tradito in primo luogo da tutte quelle persone che, tra il 1914 e il 1918, non difesero, non si prestarono e non aiutarono la patria anche se erano completamente sani. Poi il Tirolo fu tradito da quelle persone che anche potendo non fecero nulla per correggere e irrobustire la forza della popolazione in modo da lottare e vincere.

Per terzo, il Tirolo fu tradito da tutti quelli che iniziata la rivoluzione di novembre la sostennero con la partecipazione o anche solamente tollerandola, in modo da distruggere il solo mezzo che avrebbe potuto consentire la salvezza del Tirolo.

Infine il Tirolo fu tradito da tutti quei partiti e dai loro affiliati, che sottostettero ai vergognosi patti di Versailles e di Saint-Germain. Così abbiamo messo le cose in chiaro, miei cari contestatori ciarlatani. Oggi io sono dell'opinione che i territori persi si ottengano non con le parole di astuti ciarlatani, ma con armi affidate, cioè con una guerra sanguinosa. Però non temo di dire che oggi la Germania non è in grado di riprendersi l'Alto Adige tramite una guerra. Non basta, sono inoltre sicuro che non si possono accendere gli animi del popolo tedesco, per questa questione, con una intensità sufficiente a vincere.

Penso che se un domani si dovrà scendere in lotta, diventerebbe criminale versare il sangue per 200.000 tedeschi, *quando 7.000.000 di tedeschi sono sotto il potere straniero a quando moltitudini di negri africani versano il sangue del popolo tedesco.

Se la Germania vuol troncare il pericolo della sua estinzione dall'Europa, non deve compiere le sciocchezze di prima della guerra e rendersi nemico Dio e il mondo: deve trovare il suo più pericoloso nemico e dirigere tutta la sua volontà nella sua distruzione. Se il trionfo avverrà sacrificando qualcosa, non sarà per questo che i nostri figli ci odieranno. Se questi considereranno la radicata miseria e le pesanti preoccupazioni che fanno nascere il nostro penoso risultato, sarà maggiore lo splendore della vittoria così conquistata.

Noi abbiamo sempre presente che riprendere i territori persi da una Nazione è legato in primo luogo al recupero della libertà politica e della forza della patria. Realizzare questo ideale e realizzarlo con un'intelligente politica di alleanze deve essere la prima cosa da farsi per la Germania.

Allora proprio noi nazional-socialisti dobbiamo stare attenti a non imprigionarci nella tela costruita dai nostri patrioti a parole, diretti dagli ebrei.

Mai accadrà che il nostro movimento invece di cominciare a lottare, si istruisca nel protestare! Con l'illusoria idea di un'alleanza nibelungica con i resti straziati dello Stato asburgico, la Germania è crollata miseramente. Un irrealizzabile romanticismo nella considerazione delle attuali strade per agire in politica estera risulta la condizione migliore per annientarci definitivamente.

Serve ora che io tenga presente le opposizioni fatte ai tre quesiti posti da me: È utile per altre Nazioni allacciare un'alleanza con l'attuale Germania, la cui inconsistenza è chiara a tutti? Gli Stati già amici sono in grado di cambiare il loro modo di pensare? La pressione degli ebrei è più potente di qualunque risultato, di qualunque fermezza e può perciò danneggiare ed annientare qualsiasi azione?

Penso di essere riuscito a dare una soluzione almeno al 50 per cento al primo quesito. Sicuramente nessuno Stato si sente di allearsi con l'attuale Germania. Nessuna Potenza accomunerà il proprio destino ad una Nazione i cui dirigenti annullano ogni fiducia, di alcuni tedeschi. Per quanto riguardano gli argomenti di alcuni tedeschi che tentano di salvare il governo dando la colpa alla misera concezione che ha la Germania, io mi rivolto con energia a ciò. La scomparsa di fermezza nei tedeschi di più anni a oggi risulta perfetta, l'apatia verso i più gravi quesiti dello Stato è umiliante, la pigrizia diviene a volte paurosa. Ma bisogna tener presente che consideriamo una creazione che poco tempo fa ha dimostrato al mondo i più grandi pregi umani.

Dall'inizio dell'agosto 1914 fino alla fine della guerra, nessuna nazione sulla terra ha mostrato molte volte il proprio coraggio d'uomo, di irresolubile fermezza e di grande rassegnazione come il popolo tedesco, divenuto attualmente così povero. Non ci sarà nessuno capace di affermare che l'apatia di oggi sia il quadro naturale del popolo tedesco. Quello che dobbiamo subire dentro noi e intorno a noi dipende soltanto dalla pietosa e sconvolgente intromissione dell'azione di spergiuro del 9 novembre 1918.

Proprio qui valgono le parole del poeta: il male non genera che il male. Però anche attualmente non si sono dispersi i migliori pregi principali della nostra popolazione: essi sono assopiti nell'anima, e quindi risplendono, come fulmini nel cielo scuro, certi pregi dei quali la Germania un domani farà affidamento come una prima reazione di una vicina guarigione. Molte volte, migliaia tra i più giovani tedeschi si riunirono fieramente pronti a sacrificarsi e donarono con felicità la loro vita alla idolatrata patria, come nel 1914. Milioni di persone costruiscono con rinnovato vigore e serietà, come se la rivoluzione non li avesse mai sfiorati. Il fabbro si trova accanto all'incudine, il contadino ara il campo, lo scienziato crea nel suo studio. Tutti si sono riavvicinati al loro dovere.

Adolf Hitler Le pressioni fatte dai soggiogatori non riscontrano più visi accondiscendenti come prima, ma volti tristi e infuriati. Indubbiamente, si è verificato nelle tendenze tedesche un enorme cambiamento.

Però non si riscontra per il momento il risveglio dell'istinto conservatore e del principio di forza politica nella popolazione, sono colpevoli di ciò quelli che dal 1918 guidano la Germania e la portano alla distruzione. Sì, bisognerebbe domandare agli accusatori della Germania: che cosa si è fatto per cambiarla? Il poco incoraggiamento che il popolo distribuì alle risoluzioni dei nostri governi, che non esistevano realmente, è indice di scarsa vitalità del popolo o non invece l'allarme del totale fallimento dell'uso di questo straordinario bene? Cosa possono fare i nostri governi per riempire nuovamente la popolazione d'orgoglio e per incitarla a far esplodere il virile orgoglio e l'odio distruttore? Quando nel 1919, fu ordinato alla Germania il trattato di pace, si era portati a credere che proprio questo trattato di immensa oppressione aumentasse la tendenza dei tedeschi alla libertà. I trattati di pace i cui comma schiaffeggiano pesantemente i popoli, non raramente segnano il primo passo verso la prossima resurrezione. Molte cose si potevano realizzare con il trattato di Versailles! Questo mezzo di oppressione e di umiliazione vergognosa sarebbe potuto sembrare, tramite un governo capace, il modo di spronare e infocare le passioni nazionali.

Adoperando per una intelligente propaganda le malvagie angherie di quel trattato, si era in grado di cambiare in sdegno l'apatia di una popolazione e lo sdegno in glorioso coraggio. Si era in grado di scolpire qualunque parte del trattato nella mente e nell'animo del popolo tedesco affinché in 60.000.000 di cervelli umani l'odio e l'umiliazione insieme esplodessero in una sola sfera di fuoco, dalle cui lingue emergesse una fermezza intoccabile come il diamante e l'urlo: "Ridateci armi! ". Sì, fino a quel punto si può giungere con un simile trattato, all'infinita oppressione, nella arroganza dei suoi bisogni è nascosta il più potente masso della propaganda per smuovere e rinfuocare le assopite anime di una nazione.

Quindi, dal sillabario del bimbo alla più piccola pubblicazione e inoltre ogni cinema e qualunque teatro, ogni muro libero ed ogni tavola dove servire quest'unico fine, sino a che il grido pietoso delle nostre Associazioni patriottiche: "Dio dacci la libertà! " si modelli nelle menti dei giovani e diventi la sentita preghiera: "Dio onnipotente, benedici un di le nostre armi; sii giusto come sei sempre stato; valuta se ora siamo pronti per la libertà; Dio, benedici la nostra battaglia! ".

Si tralasciarono tutte le strade e non si realizzò niente. Chi si meraviglia perciò se la popolazione non è quella che potrebbe e dovrebbe essere? Tutto il mondo ci giudica come l'umile cane che dopo essere picchiato lecca la mano. Certamente l'incapacità di stipulare alleanze è annullata dal nostro popolo, ma non lo è forse di più dai nostri governi? Questi soli, nella loro delinquenza, sono colpevoli se dopo 8 anni di incomprensibile compressione c'è pochissima volontà di essere liberi.

Adolf Hitler Se una politica d'alleanze è legata alla indiscutibile valorizzazione della popolazione, questa valorizzazione, da parte sua, è protetta dal sopravvivere di un Governo che non sia governato da Nazioni straniere né sia lo sconquassatore della nostra potenza, ma il condottiero della coscienza nazionale. Se la Germania sarà guidata da un governo che veda in questo il suo ideale, non scoccheranno 6 anni e l'audace politica estera del Reich sarà accompagnata e sorretta dalla volontà ancora più audace di una popolazione bisognosa di libertà.

Per quanto riguarda la seconda domanda, relativa ai molti ostacoli che sì trovano per far diventare amici dei popoli ostili, si può dire: la comune paura contro i tedeschi che si riscontra negli alti Stati, causata dalla propaganda di guerra, rimarrà fino a che il popolo tedesco non sarà ritornato, grazie alla sua determinazione, nel ruolo di grande, capace di muovere le pedine dello scacchiere europeo.

Quando la sicurezza di poter allearsi con altri popoli nascerà nel governo e nel popolo, allora e solo allora gli Stati con interessi coincidenti con i nostri potranno pensare a convincere la gente alla nostra idea. Sarà certamente un lavoro lungo e faticoso e che richiederà molta abilità e necessariamente anche una buona dose di prudenza, specie all'inizio. L'intraprendere o no questo lavoro dipenderà solo dalla convinzione di un suo vantaggio e della sua fecondità futura. Non si tenterà di mutare la mentalità di un popolo basandosi sulle frasi più o meno esatte di un pur buon politicante, senza la garanzia del reale valore di una nuova disposizione spirituale, perché così facendo si rischierebbe di coalizzare e disunire la pubblica opinione. La fiducia in una possibile alleanza per il futuro non deve poggiare sulla millenaria dei politicanti ma sulla stabilità della tendenza politica e sulla disponibilità dell'opinione pubblica. La fiducia in questa alleanza sarà tanto più salda quanto più attivamente il governo propaganderà la propria opera e quanto più la pubblica opinione tenderà a queste direttive. Sarà quindi vista in noi capacità d'alleanza solo nell'unità di popolo e governo nel battersi volitivamente per la libertà. Da questo partirebbe il capovolgimento dell'opinione pubblica di altri Stati, che in difesa dei propri interessi si unirebbero in alleanza a chi appaia più idoneo a tale difesa. Ma per questo ci vuole ancora una cosa: il non commettere errori, per non fornire alle fazioni opposte un appiglio per controbatterci. Ci vorrà necessariamente un certo periodo di tempo perché il popolo comprenda le direttive del governo, perché non si può negare il fine di questo lavoro preparatorio: si può porre affidamento o sulla cieca fede delle masse o sull'intuitivo giudizio del ceto dirigente.

Ma in molte persone è assente questa facoltà di prendere le cose; e per cause politiche non sono spiegabili, quindi parte dei governanti si opporrà a queste direttive, che possono essere scambiate per tentativi. Da ciò nasce la paura dei conservatori. Si ha quindi l'obbligo di togliere i mezzi di offesa a questi trasgressori del mutuo accordo, specie se, come per anni, ci si trova di fronte a parole vuote e fantastiche di glorie patriottiche enunciate da associazioni e da politici incompetenti. Se si considera bene si deve capire che le invocazioni per una nuova flotta armata per la conquista delle colonie etc., sono parole al vento prive di ogni fondamento concreto. E non può giovare alla Nazione tedesca la monopolizzazione che l'Inghilterra fa nei confronti di questi contestatori, in parte non pericolosi in parte folli ma sempre dediti a favorire i nostri nemici.

Così facendo ci si esaurisce in dimostrazioni assurde contro tutto il creato dimenticando che per raggiungere il successo è necessario seguire questa massima: ciò che compi portalo a compimento. Scagliandosi contro cinque o dieci Stati, non si possono intensificare tutte le energie fisiche e morali per stroncare il nostro più terribile nemico e si perde la capacita di unirci con alleanze per la lotta finale. Anche in questo si riscontra un dovere del movimento nazional-socialista. Esso deve far capire alla nazione che bisogna puntare alle cose importanti e non a quelle trascurabili, non scordarsi mai del fine ultimo per il quale bisogna lottare è proprio l'esistenza della nostra nazione, e l'unico avversario da sconfiggere è la potenza che ci priva di questa esistenza.

Molte cose ci possono dare grande dolore ma questa non è una ragione per perdere la testa e strillare ed entrare in guerra col mondo piuttosto che organizzare le nostre forze contro il vero nemico. D'altra parte il popolo tedesco non si può permettere di condannare gli altri per il loro comportamento finché non avrà fatto pagare il giusto fio a quei delinquenti che vennero meno al loro compito tradendo il loro paese.

Il nemico fa ciò che era nelle previsioni. A noi imparare da come si comporta e da come agisce. Non si può condannare e maledire da lontano l'Inghilterra, l'Italia, etc., e poi non far niente contro quei briganti che venduti al nemico ci tolsero le armi, ci ruppero la colonna vertebrale e ci vendettero per trenta denari il Reich. Al di fuori di questa concezione, per chi non sa adattarvisi, non c'è altro che la rinunzia, perché ogni prospettiva di futura alleanza crolla. Non potendo stringere alleanza con Inghilterra, ladra delle nostre colonie, né con l'Italia, che ha l'Alto Adige, né con Polonia e Cecoslovacchia, non ci rimane, nel campo europeo, che la Francia, che ci ha tolto l'Alsazia-Lorena. Così facendo si va contro gli interessi e gli obbiettivi del popolo tedesco: l'unica cosa dubbia è se chi agisce per questa concezione, sia un ingenuo sciocco o un birbante matricolato.

Il cambiamento di concezione dei singoli popoli già avversari i quali hanno fini comuni ai nostri, può senza altro accadere se l'integrità della nostra nazione e la risolutezza di preservare la nostra esistenza ci mostrano come alleati molto importanti. Inoltre, bisogna che la nostra impotenza o le basse azioni non siano d'ostacolo per unirci con Stati già a noi nemici La difficoltà maggiore la pone il terzo quesito. È possibile, o no, che coloro dediti agli interessi delle nazioni che dovrebbero stringere patti con noi, riescono a realizzare i propri fini opponendosi all'ebreo, che è il nemico più risoluto dei liberi Stati? L' abilità inglese può sconfiggere l'ingerenza ariana? Certo non è facile dare una risposta in quanto essa è legata a molti elementi che non si possono ben considerare.

In una nazione, la forza statale in un dato momento può essere ritenuta così salda e così dedita agli interessi del popolo che viene annullata qualsiasi barriera posta dalle forze giudaiche internazionali. La guerra che l'Italia fascista opera contro le tre maggiori forze ebree, forse inconsapevolmente (penso però che sia consapevole) è già un'ottima prova che anche se non direttamente, si possono tagliare le gambe a questa superpotenza internazionale. Il divieto della Massoneria e delle sette, l'abolizione della stampa supernazionale e la distruzione del Marxismo internazionale, e di contro il rafforzamento dello Stato fascista, consentiranno, in futuro, al fascismo di fare sempre più la volontà degli italiani senza preoccuparsi delle minacce e della forza mondiale giudaica.

Non altrettanto accade in Inghilterra, infatti li dove regna sovrana la democrazia gli ebrei dettano ancora legge, mediante la libertà di parola. Eppure anche là v'è la guerra tra i difensori degli interessi politici inglesi e i componenti principali del giudaismo mondiale. Spesso quelle lotte degenerano in violenze; come si può riscontrare, per la prima volta dopo il conflitto, nell'opposto atteggiamento nei riguardi del problema giapponese, sostenuto dal governo e dalla stampa. Dopo la fine del conflitto tornò a galla la vecchia ruggine tra America e Giappone. Logicamente gli Stati europei, non potevano trascurare la possibilità di una nuova guerra. Ma in Inghilterra nonostante i legami che la tengono salda all'America regna un certo rancore per lo sviluppo in ogni campo finanziario e politico di questa. Le colonie, figlie di un grande genitore, stanno per assumere lo scettro del Capo. È logico che l'Inghilterra si rifaccia oggi alle alleanze di un tempo e abbia paura del giorno in cui si dirà "il mare è dominio dell'America " e non più "l'Inghilterra è signora dei mari ".

È più facile scagliarsi contro il Reich che contro l'America il cui suolo è ricco di risorse. Se anche su questo campo dovesse avvenire l'ultima spiegazione, l'Inghilterra, divenuta sola, morirebbe. Così desiderosa, punta al Giappone e tende ad una alleanza che mentre è da sconsigliare sotto l'aspetto razziale, è comprensibile politicamente in quanto tende ad un consolidamento inglese di fronte all'avanzata americana. Mentre l'Inghilterra, che era stata al fianco dell'America nei campi d'Europa, non volle rompere l'alleanza asiatica, tutta la stampa ebraica biasimò questo comportamento. Come è possibile che gli ebrei fino al 1918 tutti uniti col governo inglese contro il Reich, ora vi si ribellano? La distruzione della Germania non era un fine inglese, ma ebraico, ed oggi la distruzione del Giappone non giova affatto agli inglesi mentre costituirebbe una buona mossa verso il successo finale ebraico. Mentre l'Inghilterra cerca di difendere il proprio primato, l'ebreo cerca di ottenerselo. Vede gli Stati europei in mano sua, sia indirettamente con la democrazia mondiale, sia direttamente grazie al bolscevismo russo ha preso nella sua rete il vecchio mondo e cerca di fare altrettanto col nuovo.

La borsa americana è in mano agli ebrei. Ogni anno controllano la produzione di 120 milioni di persone: solo pochi restano liberi a dispetto degli ebrei. Muovono come vogliono gli interessi del popolo e se ne servono per il loro specifico fine. Gli ebrei vedono ormai prossimo il giorno in cui potranno annullare, come desiderano, il popolo. Dentro quel grande gregge di regioni coloniali senza una vera unità; una nazione libera potrebbe, all'ultimo momento provocare la crisi di tutta l'opera. Infatti l'unità bolscevica può sussistere solo se è di tutto il mondo. Se una sola nazione conserva la propria indipendenza e il proprio valore, la potenza della demagogia ebrea dovrà cedere all'idea unitaria. L' ebreo è perfettamente cosciente che con una politica millenaria è riuscito a minare la compattezza dei popoli europei ma non è capace di trasformare alla stessa maniera una nazione asiatica come il Giappone. Oggi può prendere in giro il tedesco, l'inglese, l'americano e il francese ma non il giallo asiatico. Perciò cerca di distruggerlo servendosi degli Stati europei, onde eliminare un così terribile avversario, prima che, in suo potere, l'ultima forza nazionale si realizzi in una tirannia su esseri deboli e incapaci. Non può tollerare nel suo millenario potere una nazione giapponese e perciò vuole aumentarlo prima che formi una sua propria tirannide. Così oggi scaglia le nazioni contro il Giappone, come un tempo le scagliò contro la Germania, e così può avvenire che mentre l'Inghilterra sia ancora propensa all'alleanza giapponese la stampa inglese ebraica non veda di buon occhio la stessa alleanza e cerchi di muovere una guerra distruttiva dietro il paravento della democrazia e all'incitamento di: abbasso il militarismo e l'imperialismo nipponico.

In Inghilterra l'ebreo segue una politica diversa da quella del governo; perciò anche li si deve combattere contro il pericolo del giudaismo mondiale. Il movimento nazional-socialista deve assumersi questo nuovo compito: deve far capire al popolo l'atteggiamento da prendere nei riguardi delle altre nazioni.
Deve in continuazione ricordare, qual'è il vero nemico del mondo. Al posto dell'ostilità, contro gli Ariani, dai quali tutto può distaccarsi ma ai quali si è legati da una comunanza di stirpe e di civiltà, dobbiamo concentrare le nostre forze contro il meschino nemico del mondo vera causa di tutte le disgrazie.
Nello stesso tempo il nazional-socialismo deve aprire gli occhi al nostro paese affinché l'odioso nemico sia smascherato e la guerra contro di lui mostri anche agli altri Stati quale sia l'unica strada per la salvezza del popolo ariano. L'intelletto ci dovrà guidare e avremo come forza principale la volontà. Il sacro obbligo di agire in questa maniera ci darà la forza e la perseveranza mentre il nostro più grande difensore sarà il nostro ideale.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo XIV

Due cause mi portano a considerare più da vicino i rapporti tra Germania e Russia: 1) Questo è forse il cardine della politica estera; 2) Questo quesito è la prova del fuoco delle possibilità politiche del nazional-socialismo, in cui dovrà dimostrare chiarezza e determinazione nell'azione. Devo ammettere che il secondo punto mi causa diverse perplessità. Poiché il nostro movimento prende gli affiliati non dalla massa amorfa, ma li ricava da coloro che hanno concezioni estremiste, è logico che, anche in politica estera, queste persone risentano, dapprima, del nefando aggravio dato dall'incomprensione e dalla scarsa fiducia da parte dei circoli politici ai quali appartenevano. Questo non è solo valido per quelli che vengono da sinistra, anzi al contrario. Ciò che gli inculcarono intorno a questi problemi è da una parte malefico ma spesso è parzialmente annullato dai propri istinti sani. Allorché al posto del cattivo insegnamento ne poniamo uno migliore, si ricava che l'istinto di conservazione insieme agli altri buoni porta fare diventare queste persone ottimi alleati. È molto più difficile invece seminare in una persona che fino a quel punto ha agito in questo campo logicamente e ha mandato sull'area dell'oggettività gli ultimi istinti naturali. Proprio i nostri idealisti sono le persone meno indicate a difendere in politica estera i loro interessi e quelli del popolo che rappresentano.

Sono inibiti da idee assurde e da censure e in loro non esiste più l'istinto di conservazione. Il nazional-socialismo dovrà duramente combattere con questi, duramente perché nonostante l'incapacità hanno una tale concezione che li fa considerare superiori a persone più sane di loro. Questi sono proprio dei sapientoni che non sanno niente, la cui unica facoltà è l'arroganza, incapaci di realizzare alcunché e per di più mancano di quello spirito pratico che li renderebbe utili all'estero. Questi circoli distolgono le nostre linee di politica estera dalla vera difesa dei nostri interessi nazionali per poterle sfruttare con le loro assurde ideologie. Però, questo è mio dovere, davanti ai miei affiliati, considerare per intero la più importante questione di politica estera, e renderla chiara a tutti, cioè i rapporti con la Russia. Per politica estera intendo rendere chiaro il rapporto di un popolo con gli atti e il modo di farlo deriva da fatti ben precisi. Come nazional-socialisti possiamo affermare quanto segue circa l'importanza della politica estera per uno Stato: la politica estera di una Nazione deve permettere il sopravvivere su questa terra, della razza del popolo che rappresenta creando un ambiente propizio per la crescita degli individui. Per ambiente propizio ci riferiamo a quello che permette la vita di una nazione sulla propria terra. Qualsiasi altra situazione benché possa perdurare nei tempi, non è sana e prima o dopo dovrà crollare.

L'estensione sufficiente del terreno per farci vivere la gente di una nazione non deve essere considerata soltanto sui bisogni attuali e neppure sulla quantità di beni che questi può dare in proporzione agli abitanti. L' ampiezza di una nazione è importante non solamente per la vita della nazione, ma anche per la crescita della visuale politica e militare. Per assicurare l'esistenza di un popolo è necessario una sufficiente estensione di terreno. Quando uno Stato garantisce il nutrimento alla sua gente, deve occuparsi anche della propria esistenza: che giace nella potenza politica che ha questo Stato, segnato infine da posizioni geografiche e militari. La popolazione tedesca penserà al proprio futuro solo partendo da forza mondiale. Nel trascorrere di 2000 anni circa la protezione degli ideali della nostra popolazione, la maggiore o minore sicurezza della nostra politica estera, interessa la storia mondiale. Noi fummo i testimoni: poiché la guerra globale del 1914-18 non segnò che la battaglia della Germania per la sopravvivenza e la maniera in cui combatté fu detta guerra mondiale.

In questa battaglia, però, la Germania cominciò la guerra come sicura potenza mondiale: ma in effetti non lo era. Se nel 1914 la Germania avesse posseduto un territorio differente dal numero degli abitanti, essa avrebbe potuto chiamarsi effettivamente Potenza mondiale e la guerra, prescindendo da tutti i diversi fattori, l'avrebbe vinta. Non spetta a me spiegare quello che sarebbe successo non avvenendo certi fatti. Attualmente la Germania non esiste come compagine mondiale. Ammettendo di oltrepassare il nostro attuale assopimento militare, non potremmo più onorarci di esserlo.

Penso comunque sia obbligatorio dire, imparzialmente e senza mentire, lo stato attuale delle cose, colpire le sue pecche, in modo da ottenere che la compagine nazional-socialista comprenda ciò che è indispensabile. Cosa vuol dire nel mondo, una Nazione nella quale esiste una così spregevole proporzione tra superficie e abitanti, come nell'attuale Germania? In un momento nel quale il mondo pian piano viene diviso tra le Nazioni, alcune delle quali sono già enormi, non si è in grado di definire forza mondiale una Nazione il cui territorio non è nemmeno la burlesca estensione di 500.000 Kmq.

Ciò detto, il territorio tedesco è annullato in confronto a quello delle soprannominate Potenze mondiali. Non si citi, per negare contraddire, la Gran Bretagna, poiché nella madre terra degli Inglesi in effetti non risulta l'enorme capitale dell'impero britannico, che si avvale circa di un quarto del mondo.

In seguito, poniamo come maggiori nazioni gli Stati Uniti d'America, poi l'Unione Sovietica ed infine la Cina. Si tratta di paurosi territori, che comprendono uno spazio 10 volte maggiore di quello tedesco. Aggiungiamo, inoltre, a queste Nazioni, la Francia. Non soltanto per l'aumento, sempre più grande, della sua forza militare dato dal contributo dei negri acquisiti dal suo fantastico impero, ma poiché, sotto il profilo di razza, sta aumentando la gente negra per cui si può dire che sta per sorgere una Nazione di colore sul territorio europeo. La politica coloniale francese attuale non la si può accostare alla politica coloniale passata tedesca. Se l'espansione francese in questa strada proseguisse ancora per 300 anni, si disporrebbero le ultime gocce di sangue francese, in una Nazione mista, afro-europea, che sta nascendo. Un grandioso, solidale territorio coloniale dal Reno al Congo, sfruttato da un popolo inferiore, sviluppatosi lentamente da un continuo intreccio.

Questa ragione divide la politica coloniale francese da quella antica, tedesca. La politica coloniale della Germania antecedente, era scarsa, come tutte le cose che intraprendevamo. Non aumentò la superficie di colonizzazione della gente bianca, né cercò (delittuosamente) di irrobustire, con una trasfusione di sangue nero, la forza della Germania. Gli Ascari dell'Africa Orientale Tedesca rimasero un microscopico, vacillante passo su questa strada: in effetti, questi furono utilizzati solamente per difendere la colonia tedesca. Il proposito di portare truppe africane sullo scenario della guerra, prescindendo dalla chiara impotenza nella guerra mondiale, non fu mai considerato come un concetto da attuarsi in momenti propizi, all'opposto, la Francia lo vide sempre come la base della sua politica coloniale.

Perciò attualmente si possono rimirare al mondo, una infinità di nazioni che passano la Germania, non solo per il numero dei cittadini, ma ripongono nel loro territorio la più grande colonna del loro stato attuale di potenza politica. L'equivalenza attuale tra popolazione e territorio, guardando la Germania e gli altri Stati mondiali, non si riscontra che all'inizio della nostra storia, 2000 anni or sono. In quel tempo noi, popolazione appena sorta, cademmo su un mondo di grandi nazioni che tramontavano, e aiutammo ad annientare l'ultimo gigante fra tutti, Roma.

Odiernamente siamo di fronte a potenti nazioni che stanno crescendo, di fronte alle quali la Germania non può essere nemmeno presa in considerazione. Conviene che ci ricordiamo di questa pesante verità. Bisogna analizzare la Germania, in ragione dello spazio e del popolo, confrontato con le altre nazioni sul trascorrere degli anni passati. Quindi scopriremo che, come ho già affermato, la Germania non si può più considerare una forza mondiale, prescindendo dalla forza militare.

Non possiamo paragonarci con le altre forti nazioni mondiali, a causa dell'enorme impostazione data alla politica estera del nostro popolo e dall'assenza di un ben determinato fine tradizionale di politica estera, affiancati all'abbandono di qualunque vigoroso sforzo e istinto di autoconservazione.

Se il movimento nazional-socialista ci tiene a seguitare l'ideale impostosi, come beneficio per la popolazione tedesca, bisogna, in seguito alla dolorosa comprensione dell'effettiva posizione di questo popolo nel mondo, che seguiti spietatamente e coscientemente la battaglia contro l'incapacità e l'inesistenza di idoli con i quali la Germania fu di retta per le strade della sua politica estera. Senza tener conto di tradizioni e inibizioni, deve avere la forza di richiamare la popolazione e le sue capacità ad intraprendere quella strada che dall'attuale piccolezza di territorio vitale porterà a possedere il più grande territorio. In questo modo sai vera la Germania dal pericolo di essere distrutta o di essere schiava di altri.

Il nostro movimento riuscirà ad abbattere la triste proporzione odierna tra la popolazione tedesca e il suo spazio vitale, guardando alla superficie sia come a una sorgente di vita, sia come ad una colonna per una politica di grandezza. Dovrà anche cercare di annullare la mera proporzione fra la storia antecedente tedesca e l'attuale angosciosa incapacità. Bisogna che comprenda che noi, essendo la più potente umanità terrena, dobbiamo raggiungere un importantissimo ideale, e lo compiremo con tanto più grande ardore quanto più la popolazione tedesca prenderà un punto di vista razzista, e non penserà soltanto ad allevare cani, gatti e cavalli, ma diventerà pietoso del proprio sangue.

Ho definito impotente e senza fini la politica estera tedesca sviluppata fino ad ora. Che lo fosse, ce lo dimostrarono i suoi seguenti fallimenti. Se la popolazione tedesca avesse un'intelligenza nulla o fosse vigliacca, le conclusioni delle sue azioni non sarebbero state più negative di quelle che rimiriamo attualmente. I fatti accaduti negli ultimi decenni antecedenti alla guerra non ci devono travisare su questo fatto: poiché non si è in grado di valutare la potenza di una Nazione in sé stessa, ma soltanto eguagliandola ad altre Nazioni. Questa similitudine attesta che la crescita della potenza si realizzò, ai risultati ultimi, in modo più efficiente in altre Nazioni; perciò, all'opposto delle apparenze, la Germania tramontava in rapporto alle altre nazioni, e perdeva sempre più terreno. Sì, non siamo stati pari neppure nella quantità di popolazione. Essendo chiaro che la nostra gente non viene neanche pareggiata in eroismo da nessuno al mondo, e che nessuno ha bagnato la terra col sangue, come il nostro popolo, per la propria sopravvivenza, la sconfitta proviene soltanto dalla erronea organizzazione. Ripercorrendo i fatti politici tedeschi da 1000 anni a oggi, ripensando alle infinite battaglie ed analizzando questi fattori attraverso l'esito ultimo che abbiamo presente, dobbiamo dire da quel mare di sangue sorsero due cause nelle quali siamo in grado di notare i costanti risultati di fatti politici chiaramente creatisi. L'organizzazione e la crescita di popolazione delle terre ad est dell'Elba. Il sistema, posto dagli Hohenzollern, della Nazione brandeburgico-prussiana come specchio e centro di consolidamento di un nuovo Reich.

Rimane ciò un'opera che ci farà da maestro per il futuro! Questi due giganteschi trionfi della nostra politica estera restarono i più costanti. Con la mancanza di questi, attualmente la Germania non avrebbe più nessuna ragione di essere. Questi resterà la prima e unica azione tendente a creare un rapporto fra territorio e popolazione. È incredibile, in effetti, che i letterati della storia tedesca non siano stati in grado di comprendere precisamente questi due aspetti, enormi ed essenziali, per i nostri figli. Costoro all'opposto fecero inni ad altri fatti, lodarono un incredibile eroismo, infinite imprese e battaglie, senza comprendere che la stragrande maggioranza di ciò non era di nessuna utilità per i fini dell'ulteriore ingrandimento della Germania.

Il terzo importante trionfo della nostra politica si basa sulla creazione della Nazione Prussiana e sull'ampliamento, con esso legato, di una intelligente idea dello Stato, ed inoltre dell'istinto di autoconservazione e di autodifesa nell'esercito tedesco, istinto modellato in conformità dell'attuale mondo e sviluppato in modo organizzato. Il cambiamento che si è avuto nel pensiero di difesa della propria persona in quello di dover difendere la patria si è avuto grazie allo stato prussiano ed alla sua nuova idea dello Stato. La necessità di questo fatto non sarà mai capita sufficientemente. La popolazione, dilaniata e divisa dalla propria superindividualità, è stata educata, e grazie alla potenza militare della Prussia assimilò alcune cognizioni sul modo di inquadrarsi che aveva perso da tempo. Quello che le altre genti hanno fin dall'inizio nel loro istinto di armento, noi ne salvammo un po', e con artifici, tramite la trasformazione che attua l'educazione militare, per la nostra popolazione. Dieci generazioni tedesche non raddrizzate dalla disciplina militare, abbandonate alle pericolose reazioni delle opposizioni e delle scissioni che portano in sé, sarebbero sufficienti a togliere alla Germania l'ultimo bagliore di vita a questo mondo. Per questo l'abolizione del servizio militare generale è nociva per i tedeschi, la quale abolizione non sarebbe importante per decine di altre popolazioni. L'anima della Germania sarebbe in grado solo con poche persone di trasfondere il suo apporto di civiltà in seno ad altri stati, senza neanche che fosse considerata la loro discendenza. Diventerebbe fertilizzante per il progresso fino alla completa purezza del sangue nordico ariano. È essenziale il fatto che il valore di codesti effettivi trionfi politici, avuti dal popolo tedesco nelle sue millenarie battaglie è valutato e giudicato dai nostri nemici in modo migliore del nostro.

Attualmente noi parliamo di un eroismo che strappò alla Germania milioni di più grandi donatori del loro nobile sangue ma che, nell'ultima analisi si nota, assai poco prolifera. Ha più grande significato per il nostro comportamento attuale e futuro la separazione tra le vere vittorie politiche della Germania il sangue che essa ha versato per risultati inutili. Noi nazional-socialisti non dobbiamo ripetere, nell'attuale mondo borghese, questo misero patriottismo. Esiste un trabocchetto mortale nel pensare all'ultima azione prima della guerra come il più impegnato per noi anche se in piccolissime quantità. Dall'arco di tempo storico del secolo XIX non giungerà a noi nessun obbligo. Noi al contrario con le direttive dei politici di quel tempo dobbiamo essere in grado di sviluppare il pensiero citato prima, in politica estera ovvero avere un territorio sufficiente per il numero dei cittadini. Dal periodo precedente l'unico insegnamento utile è quello che dobbiamo indirizzare la nostra politica su due strade: territorio come fine della nostra politica estera e una base nuova, compatta, creata in relazione al nostro ideale del mondo quale fine del nostro modo di agire in politica interna.

Mi interesserò ora superficialmente di questo problema: in quale modo la sete di spazio vitale è in rapporto alla concezione morale?!

Questo è obbligatorio in quanto, anche in quegli ambienti, soprannominati nazionali, si riscontrano sciocchi oratori che cercano di offrire, alla popolazione tedesca, come fine della sua politica estera, il risarcimento dei danni del 1918 e ciò nonostante vogliono offrire agli Stati di tutto il mondo, la certezza della fratellanza e della benevolenza della Germania.

A questo punto vorrei precisare ciò: la domanda del riassettamento dei territori del 1918 è un grande errore politico, le cui ripercussioni sono così deleterie da farle apparire delittuose. I territori del Reich nel 1914 non erano naturali, in quanto non comprendevano tutte le persone di origine tedesca, né tanto meno adempivano ad esigenze militari, ed infine non derivavano da un esatto atteggiamento politico. Erano gli instabili territori di una battaglia politica ancora aperta ed in parte derivata da questo scherzo del fato. Con il medesimo diritto, e varie volte con più diritto, si potrebbe riesumare qualche nuovo periodo di tempo importante della storia tedesca e obbligare la nostra politica estera di porsi come fine la restaurazione di quel periodo passato. Questo bisogno si adatta al modo di pensare borghese attuale, che pone in ciò e non detiene un ben chiaro fine politico futuro, ma si muove nel passato, nel passato più vicino: perché la sua riflessione sul passato non supera l'arco della sua vita.

È logico che il limite politico di queste persone non veda oltre il 1914. Ma affermando, che ristabilire quei confini è il fine politico della loro azione, consolidano solo la minata alleanza fra i nostri nemici. Solo in questa maniera si può comprendere che solo dopo otto anni dal conflitto mondiale, a cui parteciparono nazioni aventi atteggiamenti e fini in parte diversi, possa esistere ancora in maniera più o meno salda l'alleanza tra i vincitori di quel tempo. Tutte quelle nazioni sfruttarono allora la distruzione della Germania. Il timore della nostra potenza, fece passare in secondo piano, l'astio ed il rancore che le grandi hanno l'una verso l'altra. Nella spartizione del nostro Reich tra il maggior numero di Stati, videro una assicurazione contro la nostra rinascita. L'animo malfattore e il timore della potenza della Germania risultano il più forte adesivo che anche adesso unisce le nazioni di quell'alleanza. Il nostro strato borghese collocando lo Stato tedesco e come fine politico il ristabilire i confini del 1914 intimorisce quello Stato dell'alleanza nemica che, in caso, avesse intenzione divenir meno a questo, avrà paura di essere attaccato da noi, una volta lasciato solo, senza l'aiuto degli ex-alleati.

Qualunque nazione si ritiene danneggiata e provocata da quella tesi che appare irreale per due motivi: 1) perché non ci sono le possibilità per attuarla; 2) perché se si potesse compierla il prodotto risulterebbe cosi misero che, com'è vero Dio, non sarebbe il caso di riportare nuovamente in gioco, per ciò, il sangue del popolo tedesco. Poiché non sussiste alcun dubbio che i territori del 1914 sarebbero ripresi soltanto con il sangue. Si dovrebbe ragionare come un ragazzino innocente per pensare di raggiungere per strade secondarie o con l'accattonaggio, il cambiamento del trattato di Versailles, senza considerare che per avvalla re una simile azione si dovrebbe avere almeno un Tallejrand e noi ne abbiamo. Il 50 per cento dei nostri politici è formato da soggetti molto furbi ma senza personalità e generalmente sono contro il nostro paese; e l'altro 50 per cento di sciocchi e incapaci. Poi dal Congresso di Vienna in cui agì Tallejrand non vi sono più le stesse condizioni, non ci sono più principi ' e corteggiatori di questi che scambiano e contrattano i territori delle nazioni, ma il terribile ebreo internazionale lotta per raggiungere il predominio sulla terra.

Nessuna nazione è in grado di scostare dalla propria testa quel pericolo se non con la guerra, soltanto le globali, unite forze di un prorompente e travolgente furore nazionale sono in grado di lottare contro la schiavitù internazionale delle genti.

Comunque questa maniera di agire è e resta violenta. Invece se si ha la certezza che il futuro della Germania chiede il più alto sacrificio, si è obbligati a prescindere da argomenti di cauta politica e a bloccare e a esporre un fine all'altra di quel grande sacrificio.

I territori del 1914 non hanno nessuna importanza per il futuro della Germania. Non servivano alla difesa del nostro passato e non sarebbero serviti come base per il futuro. Grazie ad essi la Germania non acquisterà la propria unità, né potrà aspirare alla propria esistenza.

Militarmente quei territori non giovano e neanche servono come palliativi ed in più non sono utili al miglioramento della posizione rispetto agli altri stati mondiali, anzi ai veri stati mondiali. Non renderanno più breve il divario tra noi e la Gran Bretagna, non ci offriranno la potenza dell'unione, non servirebbero neanche a far diminuire effettivamente la Francia dal suo predominio nella politica mondiale. Una sola cosa sarebbe sicura, provare a ristabilire i confini del 1914, ma quando anche fossero coronati da successo porterebbero ad una nuova miseria del nostro paese, talmente deleteria che non ci rimarrebbero più le forze di cui servirci per azioni e lotte atte, effettivamente, a garantire l'esistenza ed il futuro dello Stato. Al contrario: nell'eccitazione di una tale vittoria non si penserebbe più a fini superiori tanto più che la gloria nazionale sarebbe salva e si permetterebbe, almeno fino ad un nuovo ordinamento, la possibilità di un nuovo incremento del nostro commercio.

I nazional-socialisti, invece, debbono mirare al fine nella politica estera: quello cioè di garantire alla Germania il vero confine che gli toccò su questa terra. Solo per questo è legale, dinanzi al Signore e ai nostri figli, sacrificare vite umane: davanti al Signore, in quanto noi siamo predestinati, su questa terra, a combattere sempre per il pane giornaliero, in qualità di uomini a cui non si regala niente e che ottengono il loro predominio di padroni del mondo soltanto grazie all'intelligenza ed alla fermezza con cui sapranno ottenersela e mantenersela. Di fronte ai nostri figli tedeschi, perché per ogni vita sacrificata ne scaturiranno mille alla posterità. Lo Stato, su cui un domani, gli agricoltori tedeschi daranno alla luce degni figli, darà giustificazione della vita sacrificata dagli agricoltori attuali; e i governanti che le sacrificheranno, saranno vilipesi adesso, ma saranno considerati innocenti, domani, per i sacrifici richiesti alla loro gente. Mi sento in obbligo di scagliarmi contro quegli scrittori nazionali che fingono di intravedere nell'impadronirsi di territorio un vilipendio ai sacri diritti della persona e scrivono combattendo queste idee. Non si può dire ciò che si ripara dietro le spalle di queste persone. È chiaro soltanto che il caos che questi possono creare interessa e fa il gioco degli avversari della Germania.

Con il loro modo di agire da criminali portano ad un infiacchimento ed alla distinzione, internamente, della fermezza, nella nostra gente, dell'unica maniera valida per proteggere le sue esigenze di vita. Poiché non esiste al mondo alcuna popolazione che abbia anche soltanto un metro quadrato di territorio grazie ad una normale richiesta e a un normale diritto. I territori tedeschi esistono in virtù del destino e sono momentanei, risultato delle battaglie politiche di ogni periodo di tempo; e uguali risultano anche i territori dove vivono le altre popolazioni.

Come la sembianza del mondo sembra soltanto invariabile a cervelli stupidi, ma non è che una costante in ogni periodo di tempo per un cambiamento costante, nato dal sempre maggior incremento delle grandiose forze naturali, così nell'esistenza delle popolazioni cambiano i limiti dei territori che servono alla continuazione della vita. I territori delle nazioni vengono costruiti dagli uomini e cambiati dagli uomini. Il motivo per cui una popolazione acquisisca un grande territorio non è sufficiente al fine della conservazione eterna. Ciò non fa che avallare la tesi affermante che la potenza dei vincitori è la debolezza dei vinti.

In fondo soltanto in questa potenza si riduce il diritto. Se la popolazione tedesca, limitata in una nazione insufficiente, si dirige verso un tempestoso futuro, ciò non dipende dal caso e il rivoltarsi non significa lottare contro il destino. Nessuna grande potenza concesse ad un'altra nazione più spazio che al tedesco, o è colpita da questa ingiusta divisione di territorio. I nostri avi non ebbero regalato da Dio il territorio in cui attualmente noi viviamo, ma se lo dovettero accaparrare mettendo a repentaglio la loro vita: perciò, in futuro, i tedeschi non riceveranno territori e perciò la vita, dal buon cuore straniero, ma soltanto dalla potenza delle proprie armi vittoriose.

Siamo certi attualmente di un chiarimento obbligatorio con la Francia, ma questo chiarimento risulterebbe inutile se annullassimo, in questo, i fini nella nostra politica estera. Questa avrà un significato soltanto se realizza per noi la protezione delle spalle nella battaglia per l'aumento del territorio nel quale germoglia la nostra esistenza europea. Poiché non si deve svolgere il problema in funzione di acquisizioni coloniali, ma solamente acquisendo uno spazio da popolare, che ingrandisce il territorio nativo tenendo le nuove persone agglomerate con lo Stato iniziale e che garantisca alla superficie globale quei tornaconti che sono conservati nella sua omogenea grandezza.

Il nostro movimento non deve diventare il difensore delle altre popolazioni ma ideale del popolo tedesco. Al contrario, risulterebbe inutile e non sarebbe in grado di protestare per quello che fu: in quanto farebbe gli errori fatti in passato. L' antica politica tedesca fu fatta su basi dinastiche sbagliate; l'attuale non deve agire verso una sentimentalità cosmopolita. Noi non ci consideriamo i diffusori e gli educatori delle popolari misere nazioni: ci consideriamo militi della Germania.

I nazional-socialisti devono raggiungere fini più alti: il diritto di avere nuovo spazio si cambierà in dovere se la gente di una nazione, non essendoci un ampliamento della sua superficie, sembra diretta verso la guerra. Principalmente allorché non si parla di una piccola popolazione di colore, ma del popolo tedesco, creatore di tutto ciò che è l'attuale forma della vita in questo odierno globo.

La Germania o raggiunge il grado di Potenza mondiale o non esisterà. Ma per giungere a Potenza mondiale ha la necessità di avere una grandezza che le dia attualmente il sufficiente prestigio e dia da vivere alla sua gente. I nazional-socialisti cancellano la politica estera tedesca prima della guerra e l'annullano. Noi iniziamo dal punto in cui ci si fermò 600 anni fa. Finiamo l'eterno cammino tedesco verso il nord e l'ovest e guardiamo i territori posti all'est.

Facciamola finita con la politica coloniale e commerciale di prima della guerra e passiamo ad una politica di espansione nel futuro. Ma allorché diciamo di nuovi spazi europei, dobbiamo tenere in considerazione innanzitutto l' Unione Sovietica o le Nazioni satelliti ad essa affiliate. Pare che il fato stesso ci voglia dire queste cause. Ponendo la Russia nelle mani del comunismo tolse alla sua popolazione quella branchia di scrittori e pensatori che adesso ha fatto in modo e assicurato la sopravvivenza dello Stato. Poiché, l'organizzazione di una Nazione russa non fu la soluzione delle capacità politiche di una popolazione oppressa, ma fu uno splendido esempio, del modo di costruire uno Stato, che è insito in una stirpe di più basso coraggio. In questo modo nacquero moltissimi dei più forti regni mondiali. Molte volte popolazioni inferiori comandate da preparatori e dominatori tedeschi assursero a Nazioni fortissime e resistettero sino a che sopravvisse il centro della stirpe che modellò la Nazione.

Da centinaia di anni, l'Unione Sovietica approfitta di questa razza per porli nei punti dirigenziali: ma ciò attualmente, è stato quasi globalmente distrutto e messo al bando. In vece sua è stato posto l'ebreo. I sovietici non sono capaci da soli a togliersi da dosso gli ebrei; ma gli ebrei non sono in grado di conservarsi per molti anni quella potente nazione. In quanto che l'ebreo non riesce a organizzare, ma soltanto a mettere il caos. La Russia è pronta per crollare. Perciò l'estirpazione degli ebrei dall'Unione Sovietica vale a dire l'abbattimento della Russia come Nazione. Noi siamo posti dal fato ad osservare questo sconquasso che risulterà il più potente avvallamento delle tesi nazionalistiche sulla razza.

E ' nostro dovere, compete al movimento nazionalsocialista, spingere la Germania verso questo ideale politico, che gli renderà chiaro come il suo fine futuro non sia riposto nel ricostruire la marcia d'Alessandro, famosa e ipnotizzante, ma nel duro lavoro della terra tedesca, a cui le armi della Germania daranno spazio. E ' logico che gli ebrei confermino la loro tenace opposizione a questa politica. Comprendono perfettamente che deve fare in questo modo per proteggere il suo futuro; ed è proprio questo che dovrebbe convincere i reali nazionalisti sulla veridicità dell'attuale scopo. Purtroppo, accade il contrario. Non soltanto nei circoli tedesco-nazionali, ma pure nei circoli nazionalisti si muove la lotta contro le tendenze di questa linea politica orientale, con la scusa di seguire un ideale maggiore: avviene spesso ciò in questi frangenti. Si cita Bismarck per nascondere una politica erronea, non attuabile, e gravissima per la popolazione tedesca. Affermano che Bismarck diede sempre la maggior consistenza ai buoni rapporti con la Russia. Questo è vero: ma questi scordano di dire che egli dava una uguale consistenza ai buoni rapporti, ad esempio, con l'Italia, anzi si alleò con essa per poter vincere l'Austria.

Perché non si cerca di continuare questa linea politica? Affermano che l'Italia attuale non è uguale a quella passata. Ma anche l'Unione Sovietica non corrisponde a quella passata.

Il Bismarck non ha mai pensato di fissare per sempre una strada, un'azione politica. Sapeva troppo di quel periodo per imprigionarsi in quel modo. Perciò, non bisogna domandare: che cosa ha realizzato ieri Bismarck? Ma: che cosa realizzerebbe egli attualmente? A questo quesito si può trovare facilmente la risposta: la sua sagacia politica gli negherebbe di stringere un'alleanza con una Nazione che va incontro alla sua fine. Infatti Bismarck allora si interessò con antipatia della politica coloniale e commerciale della Germania: egli mirava principalmente a rinsaldare e ad irrobustire interamente la nazione sorta da lui. Per questo motivo egli si volle sentire protetto dalla Russia, in modo da poter agire liberamente verso l'occidente.

Ma quello che un tempo fu utile al popolo tedesco, oggi sarebbe nocivo. Nel periodo 1920-21, quando nacque il nostro movimento e iniziò ad essere conosciuto come un movimento di salvezza per la Germania, alcune persone si accostarono ad esso per cercare di intrecciare un ponte fra questo e i movimenti di liberazione di altre nazioni. Questo atteggiamento era logico per le idee della Lega delle nazioni oppresse, che molti propagandavano: formate soprattutto da elementi giunti da nazioni balcaniche, dall'Egitto o dall'India, che mi sembrarono sempre dei cialtroni che si davano importanza senza possedere nulla. Ma molte persone tedesche, soprattutto in campo nazionale, si lasciarono convincere di quelle vittorie orientali e pensarono di essere alla presenza, di fronte ad alcuni studenti egiziani o indiani, dei veri rappresentanti dell'Egitto o dell'India: e non si accorsero che avevano di fronte degli individui senza alcun potere, non incaricati di intavolare rapporti con nessuno. Perciò la conclusione ultima di questi rapporti con queste persone si concretizzò inesistente, ed il tempo utilizzato nel contrattare con questi si rivelò molte volte perso. Mi sono sempre comportato con sospetto verso azioni uguali, sia perché dovevo realizzare altre cose che perdere tempo in chiacchiere infruttuose, sia perché pensavo che, anche se questi fossero stati incaricati da quegli Stati, la Germania non avesse nulla da guadagnarci. Già nei periodi di pace non era logica la politica tedesca delle alleanze, la deficienza di fini concreti, le portava a legarsi con vecchi Stati ormai tagliati fuori dagli avvenimenti mondiali. Sia l'alleanza con l'Austria che con la Turchia era priva di fondamento. Mentre le vere potenze si univano in coalizioni aventi un carattere offensivo, essa si univa a Stati impotenti con lo scopo di incutere paura a quella coalizione fortissima. La Germania scontò questo suo errore ma non servi d'insegnamento ai nostri governanti per salvaguardarsi da simili errori. Infatti la pretesa di incutere timore, mediante una coalizione di Nazioni impotenti, ai fortissimi vincitori è nello stesso tempo assurdo e tragico. È tragico perché inganna il nostro popolo intorno ai suoi veri mezzi e dà adito a speranze e miraggi privi di realtà. Il tedesco di oggi sembra un naufrago che cerca di aggregarsi a qualsiasi pezzo di legno pur di non andare a fondo.

Può anche essere che sia costituita da uomini spietati capaci di combattere ogni miraggio che appare all'orizzonte. Ma questa Coalizione di Nazioni impotenti, sia essa una Società delle Nazioni o un miraggio, troverà sempre persone pronte a crederci. Mi vengono alla mente le ingenue e assurde speranze che nel 1920-21 presero piede intorno a un eventuale distaccamento dell'Inghilterra dall'India. Certi oratori da strapazzo asiatici, oppure se volete degni esponenti della libertà indiana, che allora giravano per l'Europa misero in giro la voce che l'impero britannico, il cui fulcro è l'India, proprio in quel paese stesse per venir meno. Non capirono che la loro stessa speranza era causa di queste affermazioni che per questo erano assurde.

Infatti quando ammettono l'allontanamento inglese in India vitale per l'Inghilterra, ammettono allo stesso tempo l'essenzialità dell'India. Ma è logico pensare che questo quesito sia ben conosciuto non solo ai veggenti tedesconazionali ma anche ai governanti inglesi. È infantile pensare che l'Inghilterra non dia sufficiente risalto alla essenzialità dell'india per il suo predominio. Da ciò risulta che il conflitto mondiale non ha loro insegnato nulla e credendo che l'Inghilterra possa lasciar andare l'India senza giuocare l'ultima carta a sua disposizione. Ed è a causa della mancanza di realizzazione tedesca se oggi l'Inghilterra continua a rinforzare e governare il suo dominio. L'unica causa che potrà determinare questo allontanamento sarà data da crisi razziali (di cui non esiste neanche l'ombra) o dalla potenza preponderante di un'altra nazione. Noi tedeschi sappiamo fin troppo bene quanto è difficile vincere l'Inghilterra. Affermo ciò parlando per ipotesi in quanto, come tedesco, preferisco vedere l'India sotto il dominio dell'Inghilterra che di un'altra Nazione.

Altrettanto vana è la capacità di rivolta degli Egiziani. La guerra santa può far credere ai nostri rincretiniti tedeschi che altri popoli siano pronti a sacrificarsi la bella faccia nostra. Spesso la speculazione su questo fatto è causa della crudeltà. Ma in effetti questo miraggio verrebbe subito smascherato dal fuoco delle mitragliatrici e dagli scoppi delle bombe. È assurdo cercare di abbattere con una alleanza di menomati uno Stato saldo e forte pronto a sacrificare fino l'ultimo uomo per la propria sussistenza.

A me nazionalista che guardo il valore di un popolo dalla sua razza, mi è sufficiente osservare le minori virtù della razza di quella Nazione impedite per non legare l'avvenire del nostro paese con quello loro. Simile atteggiamento è da prendersi con la Russia. La Russia di oggi senza il ceto superiore tedesco, non va considerata idonea per il conseguimento della libertà dello Stato tedesco. Dal punto di vista militare, in caso di conflitti russo-germanico contro l'occidente europeo e praticamente col mondo la nostra situazione risulterebbe molto critica.

La guerra sarebbe impostata su territorio tedesco senza poter ottenere concreto aiuto dalla Russia. Infatti la Germania ha un esercito totalmente impreparato e incapace a sostenere una guerra contro le nazioni europee, Inghilterra compresa, e il territorio industriale della Germania sarebbe preso di mira dagli attacchi concentrici dei nostri nemici. Si tenga poi presente che tra Germania e Russia v'è la Polonia in mano ai Francesi. Nel caso di conflitto la Russia dovrebbe annullare la resistenza polacca prima di portare un solo aiuto alla Germania. Ma non sarebbero tanto le truppe quanto il complesso tecnico. E sotto questo punto di vista ci sarebbe una circostanza ancora più catastrofica di quella del conflitto mondiale. A quel tempo l'industria tecnica cadde in mano ai nostri alleati e la Germania dovette sostenere da sola la guerra tecnica; in questo eventuale conflitto la Russia non conterebbe quasi nulla sotto il profilo tecnico. Noi non avremo nulla da contrapporre alla motorizzazione bellica dei nemici, che già nella futura guerra acquisterà un carattere fondamentale.

In questo campo infatti la Germania non ha retto il passo, e col poco che ha dovrebbe aiutare la Russia che a tutt'oggi non ha una sola fabbrica producente mezzi blindati. Così questo conflitto avrebbe la fisionomia di un eccidio. I giovani tedeschi sarebbero ulteriormente falciati nella guerra mondiale, perché, come sempre, la gloria della lotta cadrebbe solo su di noi, andando così incontro a una ineluttabile distruzione. Ma pensando anche a un miracolo, le conseguenze sarebbero un sacrificio ulteriore di vite umane, senza per questo ottenere miglioramenti, in quanto i suoi confini sarebbero ancora con grandi Potenze militari. Non ci si opponga dicendo che una alleanza con la Russia deve essere fatta solo in vista di una guerra, in quanto una coalizione che non abbia come fine la guerra non avrebbe senso. Non bisogna neppure sperare che le altre Nazioni non capiscano il fine. Se si cerca una unione è per combattere. Anche se al momento della stipulazione dei patti la guerra è lontana bisogna intensificare gli sforzi per uno sviluppo bellico, solo cosi avrà ragione di esistere l'unione.

Se l'unione con la Russia fosse solo un fatto formale esso avrebbe significato o dalla stipulazione formale si trapassasse alla chiara realtà, e allora sarebbe lampante per tutti il fine. D'altra parte non si deve credere che Inghilterra e Francia attenderebbero tranquillamente gli sviluppi e il rafforzamento tecnico dell'unione russo-germanica prima di intervenire. Al contrario la bomba esploderebbe subito sulla Germania. Così già dalla stipulazione dei patti con la Russia v'è il fine di un'altra guerra e per la Germania sarebbe la fine.
Inoltre bisogna pensare che:

  1. i governanti della Russia non ci tengono a stipulare patti onesti né a rispettarli. È necessario considerare che gli attuali governanti russi sono dei volgari e luridi criminali, i quali, approfittando di una crisi momentanea, pugnalarono alle spalle il grande Stato, e uccisero, assetati di stragi, milioni di intellettuali e da quasi dieci anni si comportano in una maniera tirannica e dispotica superiori a qualsiasi altra. Inoltre questi governanti fanno parte di gente che unisce il sadismo al tradimento e si sente in diritto di ampliare a tutto il mondo il suo criminale dominio. In più tutta la Russia è dominata dall'ebreo internazionale, che vede nella Nazione tedesca non un'alleata ma un paese destinato alla stessa sorte della Russia. Non si possono stringere patti con uno Stato il cui unico scopo è quello di distruggere l'alleato. E poi non ci si allea con un popolo sacrilego, senza parola e onore che vive mediante i tradimenti, i ladrocini, le ruberie, i saccheggi. L'uomo che pensa di allearsi con delle sanguisughe è come una pianta che volesse trarre profitto dal muschio;

  2. è costante per la Germania il timore di una sorte simile a quella russa. Solo un ingenuo borghese può pensare di bloccare il bolscevismo. Egli, nella sua faciloneria, non pensa neppure che è dato da un fatto istintivo cioè dal continuo tendere del popolo ebreo al dominio mondiale. Questo comportamento è così logico come quello inglese che tende a diventare da padrone del Mondo.

E l'ebreo si comporta come l'inglese che tende con le armi alla sua meta. Il giudeo si comporta secondo il suo scopo, si fonde col popolo e mina le basi di questo: combatte col tradimento, con la falsità, tende al traviamento totale in modo da distruggere l'odioso nemico. Nel bolscevismo russo si deve vedere una tappa fondamentale per il dominio del mondo. Così come si comportò già a un tempo, tende con altri mezzi, ma sostanzialmente affini, alla stessa causa. La sua tenacia è radicata nel carattere. Un popolo non sa fare a meno di seguire l'istinto di ampliamento della sua razza e della sua forza: solo l'ambiente esterno e l'impotenza data dalla vecchiaia possono farlo desistere. Così anche l'ebreo non rinuncerà spontaneamente all'impero mondiale, né ostacolerà il suo istinto. Anche lui sarà fermato solo da forze superiori, a meno che la morte non lo colpisca prima. Ma l'incapacità dei paesi, la loro morte per senilità avviene quando le direttive sono messe in crisi e non v'è più la purezza del sangue. Invece l'ebreo conserva meglio di tutti la purezza della sua stirpe. Perciò la sua marcia continuerà e sarà arrestata solo quando una nuova forza, con un titanico sforzo riuscirà a ricacciarlo giù come Lucifero quando tentò la sua scalata al cielo. Oggi la Germania è la prossima vittima del bolscevismo. Ci vuole tutta la saldezza di un ideale, quasi si trattasse di una missione, per salvare il nostro paese, sviluppato nelle spire di quella idea internazionale e ricominciare verso una purificazione della nostra stirpe. Solo in questa maniera le forze dello Stato tornate indipendenti possono essere utili alla difesa della nostra stirpe e far sì che non si ripetano i precedenti errori. Se questo è il fine al quale dobbiamo tendere è pura pazzia stringere patti con uno Stato ostile al nostro ideale. Come potremo togliere il nostro paese da una venefica unione, se l'accettiamo anche noi? Come potremo convincere il popolo tedesco della minaccia mortale data dal bolscevismo, se stringeremo patti con questo velenoso serpente e lo accoglieremo nel nostro focolare? Come faremo a perseguitare chi è votato alla causa del bolscevismo, quando i governanti del paese avranno stretto rapporti con i delegati dello stesso? La guerra contro il bolscevismo mondiale ebraico comporta una presa di posizione con la Russia dei Soviet. Non si può distruggere il diavolo con Satana. Se oggi gli stessi circoli nazionali reputano essenziale un'alleanza con la Russia, io consiglio loro di aprire gli occhi sulla Germania e di capire questo: chi è disposto ad appoggiare il loro comportamento.

I nazionalisti pensano che possa giovare alla nazione tedesca un atteggiamento politico prescritto dalla stampa marxista internazionale?
Da quando i nazionalisti nelle battaglie hanno preso quale servitore l'ebreo? Al vecchio Reich tedesco si poté fare un'importante contestazione per la sua politica di alleanza in quanto esso ricevette ostilità da tutti a causa del suo eterno tentennare, al fine di conservare la pace del mondo. Ma non gli si può fare alcun appunto circa i buoni rapporti tenuti con la Russia.

Ammetto che già prima della guerra avrei visto vantaggioso per la Germania rinunziare alla sua politica coloniale e a quella navale e da guerra, per dedicarsi invece a stringere rapporti con l'Inghilterra contro la Russia, superando così una debole politica mondiale, per giungere ad una decisiva politica europea atta ad ampliare il territorio nazionale. Ricordo ancora le prove di forza da parte della panslavista Russia contro la Germania, le continue mobilitazioni che servivano a rendere nervoso il nostro paese e il comportamento politico tutto teso a rendere insopportabile il nostro popolo e il Reich, e la stampa proclive più alla Francia che a noi. D'altra parte prima del conflitto ci saremmo potuti appoggiare alla Russia per combattere l'Inghilterra, qualora avessimo cercato di allearci con questa. Oggi le cose sono cambiate. Se prima del conflitto trascurando le nostre tendenze avremmo potuto farlo ora non è più possibile. D'allora i tempi sono cambiati e a grandi passi ci avvisa che è suonata l'ora in cui il futuro della Germania deve essere risolto in una maniera o nell'altra. Il presente rafforzamento delle grandi nazioni della terra è l'ultimo avviso per ridiventare padroni di noi stessi, strappando il paese dal suo fantasticare, ritirarlo nella realtà e indicargli la strada verso il futuro che unica potrà riportare allo splendore del vecchio Reich. Se il nazional-socialismo in vista di questo nuovo e importante fine, si scuote da tutti i miraggi e segue solo l'intelletto, la sciagura del 1918 si può trasformare in una mano stanca per la grandezza futura della nostra nazione. Quella catastrofe può apportare ad esso una nuova organizzazione nella nostra azione in politica estera: la Germania resa salda internamente dalla sua nuova visione mondiale, potrà rendere salda per sempre la sua politica con le altre nazioni. Potrà raggiungere ciò che l'Inghilterra ha e che la Russia ha avuto, ciò che determina nella Francia sempre le stesse determinazioni essenzialmente proclivi al suo interesse cioè: un testamento politico. Il testamento politico del popolo tedesco riguardante il suo atteggiamento in politica estera deve essere così: non accettare mai che si determinino in Europa due imperi continentali. Ogni prova di allestire vicino al territorio tedesco un impero militare, sia pure sotto l'aspetto di uno Stato avente la possibilità di diventare un impero militare, vedetela come un attacco contro il popolo tedesco. Questo gesto sarà un nostro diritto e un vostro dovere per abbattere l'impero che sta per sorgere o è appena sorto, facendo uso delle armi. Adoperatevi perché la forza del Reich abbia radici in Europa e non. in colonie. Non farete mai saldo il Reich se non può dare a ogni figlio della nostra gente un pezzo di terra. Abbiate sempre presente che il diritto più giusto è quello che un uomo ha nel coltivare la propria terra e che l'atto supremo è dato dal sangue versato per ottenerla e difenderla. Non vorrei terminare questo capitolo senza parlare dell'unica alleanza accettabile. Nel capitolo precedente ho già parlato dell'Inghilterra e dell'Italia come le uniche nazioni europee con cui sia giusto stringere rapporti. Voglio qui accennare all'importanza militare di una tale coalizione.

I risultati militari derivanti da questa sarebbero totalmente diversi da quelli derivanti da una coalizione con la Russia. La cosa principale è che un accostamento all'Inghilterra e all'Italia non costituirebbe una minaccia di guerra. L'unica nazione che potrebbe ostacolare questa coalizione sarebbe la Francia, ma, in verità, non ha la forza per farlo. Al contrario, con questa alleanza la Germania potrebbe prepararsi tranquillamente per una presa di posizione contro la Francia. L'essenzialità di tale alleanza consiste nel fatto che la Germania come nazione non è più esposta a attacchi nemici e in questa maniera mina la coalizione avversaria. L'intesa, causa delle nostre disgrazie si sfalda da sé, e così la Francia, nostra nemica giurata, si ritrova sola. Anche se all'inizio questa vittoria sarà soltanto spirituale, sarà sufficiente a offrire al popolo tedesco una indipendenza di azione in cui oggi non possiamo neanche sperare, in quanto la legge del più forte sarebbe dettata dall'alleanza anglo-tedesca-italiana, e non più dalla Francia. Un'altra vittoria sarebbe che a un tratto la Germania potrebbe capovolgere l'attuale poco propizia situazione. Da una parte una forte difesa dei lati, dall'altra la certezza di avere viveri e materie prime, costituirebbe il punto favorevole del nuovo inquadramento delle nazioni.

Ma cosa veramente principale sarebbe che la nuova coalizione possa unire nazioni complementari nel campo scientifico e tecnico. Per la prima volta la Germania si unirebbe con Stati che non sfrutterebbero la sua economia ma servirebbero a dare un assestamento al nostro sviluppo tecnico. Ma bisogna ancora considerare questo ultimo punto: quei due alleati non sono da considerarsi allo stesso livello della Turchia e della Russia. Il maggiore impero mondiale e uno stato nazionale ancora giovane dovrebbero ben altre possibilità per una guerra in Europa che i cadaveri in decomposizione delle nazioni con le quali la Germania si coalizzò nell'ultimo conflitto. Logicamente grandi ostacoli si oppongono a questo nostro fine. Ma fu forse più facile l'attuazione dell'intesa? Quello che fu possibile a Edoardo VII in parte contro interessi logici deve essere possibile anche per noi se l'affermazione della necessità, riesce a primeggiare superando ogni altra passione opposta. Questo avverrà quando mossi dal bisogno, riusciremo a cambiare l'errata politica estera degli ultimi tempi, vuota e senza fondamento, e ne sarà posta un altra che abbia un fondamento e un giusto scopo. Il fine della nostra politica estera non dovrà tendere ad ovest o ad est ma ad una politica mirante l'acquisizione di nuovi territori. Bisogna però essere potenti, mentre attualmente stiamo soccombendo sotto le spire della nostra acerrima nemica: la Francia. Perciò dobbiamo sottostare a qualunque privazione che porti alla disintegrazione della fatica francese di primeggiare in Europa.

Attualmente ci sono alleate tutte le Nazioni che pensino, al nostro pari, che l'idea francese sia inammissibile. Nessuna strada per raggiungere codeste Nazioni ci deve apparire molto difficile e nessuna privazione molto pesante, se ci porge, come ricompensa ultima, la maniera di distruggere il maggiore nostro nemico. Naturalmente, attualmente ci poniamo in condizioni di dover subire i terribili attacchi dei fautori interni di una politica anti-tedesca. Ma i nazional-socialisti non perderanno di vista, a causa di ciò, il fine ultimo: il convincimento del popolo di ciò che è utile.

Il tempo guarirà i nostri più piccoli guai, noi dovremo rimarginare e togliere il male peggiore. Navigheremo nel verso contrario all'opinione pubblica, drogata dalla astuzia ebraica nel servirsi della tranquillità del popolo tedesco. Molte volte l'opinione pubblica ci si oppone e ci combatte; ma lottando contro essa ci faremo notare di più di coloro che lottano al fianco di queste. Attualmente noi siamo una pietra; in poco tempo potremo diventare, se il fato lo vuole, una montagna contro cui l'opinione pubblica cozzerà e imporrà a cambiare la sua idea. Abbiamo bisogno che, davanti agli Stati mondiali, il nostro movimento appaia come il fautore di un preciso programma politico. Qualunque destino il fato ci nasconda, noi dobbiamo apparire già da vicino. Allorché avremmo esposto il grande ideale che deve muovere la nostra azione nella politica estera, ci giungerà da questa dichiarazione, la potenza di reggere con fermezza il bombardamento intenso della stampa nemica: quel bombardamento che, alcune volte, fa in modo di spaventare l'oppositore e che per non farsi tutti nemici, si lasci sfuggire un compromesso in uno o in un altro terreno e si schieri con i suoi nemici.

torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler

La mia battaglia di Adolf Hitler - Capitolo XV

Dopo la pace del novembre 1918 iniziò una politica che secondo le comuni concezioni, doveva condurci lentamente e completamente alla schiavitù. Infatti da altri esempi che possiamo riscontrare nella storia notiamo che quando un popolo che senza gravi minacce depone le armi in seguito preferisce sopportare i disagi e le angherie più terribili piuttosto che cercare di ristabilire la loro sorte riprendendo nuovamente la guerra. È questo logicamente spiegabile. Un abile vincitore imporrà sempre la sua volontà sul vinto. Con una Nazione priva di personalità (e così è quella che cede le armi di propria volontà) può essere certo che essa non riscontri più in nessuna angheria a cui è soggetta una valida causa per riprendere le anni ma quanti più soprusi essa subisce tanto più ritiene insensata opporsi ad un nuovo. Dopo aver già sopportato senza dir nulla tanti altri mali.

Al contrario la perdita della libertà dopo una guerra sanguinosa e nello stesso tempo gloriosa dà la sicurezza della resurrezione del paese ed è il punto principale su cui ci si baserà per un nuovo ritorno ". Cartagine è il miglior esempio della autodistruzione di un popolo. Per questo anche Clausewitz nelle sue tre confessioni cita questo concetto e lo fissa in eterno: "La vile colpa di un'assoggettamento non si può mai dimenticare, come una nemesi storica impatta nei figli e annulla qualsiasi successivo spirito velleitario ".

Certamente uno Stato diventa privo di glorie e di personalità qualora non badi a questo insegnamento. Chi lo tiene presente non tenterà mai tanto in basso: solo chi se lo scorda o non se ne interessa più cede. Basandosi sulla umana esperienza si nota che mai i protagonisti di una così vile azione si comportino ad un tratto in una altra maniera; saranno invece proprio questi che non vorranno saperne di simili concetti. Alla fine o il Paese si sarà assuefatto a vivere in schiavitù oppure una rivoluzione porterà al governo uomini che si comporteranno in maniera più onorevole. Nel primo caso i governanti si troveranno a loro agio in quanto spesso il vincitore furbo affida loro l'incarico di badare agli schiavi ed essi si comporteranno più spietatamente di quanto potrebbe fare un dispotico straniero eletto dallo stesso nemico. Gli avvenimenti successivi al 1918 fanno vedere che in Germania la speranza di conquistarsi il favore del nemico con volontario assoggettamento determina, tristemente, l'azione del popolo e le mire politiche. Dalla fine della guerra il nostro destino, in maniera ormai chiara, è in mano agli Ebrei, per questo non si può dire che soltanto la mancanza di senno sia la causa delle nostre disgrazie: anzi si deve pensare ad una cosciente intenzione di portare alle estreme sventure il nostro popolo.

Se prendiamo questa realtà come punto di riferimento la pazzia del nostro atteggiamento politico verso le nazioni straniere è solo apparente in quanto si rivela come un freddo e studiato calcolo al servizio dell'ideale ebraico teso alla conquista del mondo. Lo sforzo di ridonare alla Prussia dopo il suo crollo totale di una nuova linfa vitale e combattiva, svolto dal 1806 al 1813, appare per quanto sopra esposto oggi, del tutto annullato, anzi ha portato il nostro Stato in una situazione ancora più debole.Nel 1925 fu sottoscritto il patto di Locarno! Gli avvenimenti avvennero nella maniera esposta. Una volta che l'avvilente armistizio fu sottoscritto, il popolo non trovò né l'energia né il coraggio per resistere, con improvviso moto, alle sempre maggiori e continue richieste di misure oppressive da parte delle nazioni avversarie. Né gli avversari, per la loro furbizia, non pretendevano il tutto in una sola richiesta.

A secondo del loro parere e dei nostri dirigenti tedeschi e nella maniera che era nel momento sopportabile opprimevano con i loro ricatti, senza tema di un'improvvisa esplosione nell'animo della folla. La resistenza ad ogni nuovo ricatto veniva così annullata in quanto ogni qualvolta si sottoscrivevano nuovi patti imposti, ne scaturiva la giustificazione di non opporsi ad un nuovo sopruso dopo che già se ne avevano tollerati anteriormente tanti altri. Clausewitz definisce questa maniera di governo "gocce di veleno ". Essa si può trasformare in una catena e allora un popolo non se ne libera più e continua a vivere da schiavo. Così si susseguirono in Germania bandi che ci resero impotenti e ci legarono le mani, alla sconfitta politica si aggiunse il latrocinio; e infine sorse quella concezione che riconobbe fortunato il patto di Dawes e vittorioso quello di Locarno. Con un giudizio oggettivo si può ritrovare una sola fortuna tra tanto squallore, la fortuna che non si può corrompere il Signore, anche se si possono corrompere gli uomini. Il Signore non ci diede la sua benedizione: da quel momento sciagure e affanni furono le inseparabili amiche del nostro popolo, mentre l'unica costante alleata fu la miseria. Anche in questo non ci sono state scappatoie, il destino ci ha dato quello che abbiamo voluto. Visto che non consideravamo la gloria, esso ci fa desiderare la libertà di un pezzo di pane. Il popolo ora supplica per un pezzo di pane, un giorno si struggerà per ottenere la libertà.

Lo sfacelo del nostro popolo dopo la resa della guerra fu lampante e triste; ciò nonostante in quel periodo si condannò chiunque prevedette ciò che poi accadde effettivamente. Il governo della nostra nazione si comportò in maniera assurda e da incompetente ma peccò di presunzione volendo eliminare gli sconvenienti profeti. Si notarono a quel tempo, e purtroppo si notano ancora, grandi teste di legno con funzioni parlamentari, veri sellai e guantai (non solo di professione, perché avrebbe significato poco) assurgere al trono di uomo di Stato e da li governare la minuscola massa e far loro la predica. Non ha molta importanza che un simile uomo di Stato, mettiamo più tardi, sia già smascherato e vilipeso da tutti, avendo dimostrato pienamente la sua cretinaggine in materia! Anzi quanto meno gli uomini di Stato di questo governo compiono reali servizi alla Nazione, tanto più si scagliano contro coloro che li pretendono, che hanno il coraggio di mettere in evidenza la loro incapacità presente e futura. Quando quest'uomo di Stato non può più ripararsi dal fallimento completo del suo operato, comincia a citare tutte le cause che hanno reso fallimentare il suo prodigarsi senza però mai giungere ad ammettere l'unica vera causa: la sua incapacità.

Al massimo, nell'inverno 1922-1923 avrebbe dovuto essere lampante a tutti che la Francia, anche dopo la pace, tendeva costantemente ad ottenere quei fini che si era pro posta nell'entrare in guerra.

Perché non bisogna pensare che il popolo francese voglia quattro anni e migliaia di vite umane per accontentarsi del risarcimento dei danni subiti mediante le riparazioni di guerra. Il fine militare francese si sarebbe potuto realizzare con il conflitto mondiale, se, come era speranza francese, la guerra fosse stata fatta entro i confini tedeschi.

Il desiderio di ottenere l'Alsazia-Lorena non è sufficiente a capire l'impegno con cui il popolo francese combatte, se non ci fossero stati anche interessi riguardanti la loro politica estera. Questa tendeva infatti a smembrare la Germania in tanti piccoli Stati. Per questo combatte la Francia sciovinista, dando così all'ebreo internazionale il suo popolo come mezzo.

Pensiamo per un attimo che le cruenti battaglie del conflitto non siano avvenute nella Somme, in Fiandra, nell'Artais, davanti a Varsavia, a Nishnii Novgorod, a Kowno, a Paiga, ma sul suolo tedesco, nella Ruhr o sul Meno, sull'Elba, presso Hannover, Lipsia, Norimberga etc.: e dovremo convenire che il fine francese sarebbe stato attuato. È difficile che la nostra giovane nazione federale avrebbe potuto resistere per quattro anni e mezzo, come in pratica fece la Francia, tutta protesa verso il suo fulcro, Parigi.

Se questa guerra mondiale avvenne fuori dei nostri territori ciò avvenne grazie al glorioso esercito tedesco che deve essere di sprono anche per il futuro.

Son certo che se non fosse accaduto questo oggi non esisterebbe più un Reich, ma solo stati tedeschi. Questa infatti è l'unica causa per cui il sacrificio dei nostri compatrioti non fu inutile. Grazie a questo le cose ebbero un'altro sviluppo. Effettivamente il crollo della Germania nel novembre del 1918 fu improvviso, ma quando questo giunse i nostri eserciti erano ancora insinuati entro i confini nemici. In quel momento lo scopo della Francia non era più frazionare la Germania, ma espellere dai confini francesi e belgi le truppe tedesche: solo in un secondo momento poté tendere al suo fine. Ma allora la Francia era impossibilitata a farlo. L'Inghilterra aveva chiuso la guerra vittoriosamente debellando la Germania sia colonialmente e commercialmente e infine riducendola a Stato di secondaria importanza. Essa non aveva vantaggi nell'annullare completamente la nazione tedesca, ma anzi preferiva contrapporla in Europa alla Francia.

Perciò la politica francese, una volta finita la guerra si dovette dar da fare per ottenere quello che la guerra si era riproposta. La frase di Clemenceau, che per lui la pace era solo il proseguimento della guerra, acquistò un profondo significato. Lentamente sfruttando ogni avvenimento si dovette smantellare la compattezza del Reich. Insistendo sempre sul disarmo e una volta ottenutolo ricattando economicamente si sperava a Parigi di poter indebolire l'unità della Germania. Via via che veniva meno nella nazione tedesca l'orgoglio nazionale, sempre più cresceva la pressione economica, che insieme alla condizione pietosa del popolo si ripercuotevano negativamente in politica estera. Questo modo di schiacciamento politico e di sfruttamento economico continuato per dieci, venti anni, tende a distruggere lentamente la vigoria nazionale e in alcuni casi a disintegrarla. Solo così la Francia otterrà il suo ambito scopo.

Già nell'inverno 1922-1923 erano chiare le intenzioni francesi. Rimanevano solo due modi di pensare: o si tentava di demolire lentamente la risolutezza francese opponendole la perseveranza tedesca, oppure comportarsi nell'unica maniera possibile contrastando il nemico. Certamente questa era una battaglia per la vita o per la morte. Si poteva sperare alla vita solo se la Francia fosse stata isolata in modo che le lotte per la sopravvivenza non fosse stata una battaglia del popolo tedesco contro rutto il mondo, ma una difesa contro la Francia che minacciava il mondo stesso e la sua tranquillità. Sono certo che questo secondo caso un giorno dovrà accadere. Non dovrebbero cambiare infatti gli scopi della Francia, che con lo scemare delle sue forze va diminuendo i principali rappresentanti della sua stirpe, può conservare il suo prestigio nel tempo solo disgregando la Germania. La politica francese potrà riproporsi mille fini, ma questo sarà sempre quello a cui tendere per realizzare le sue esigenze.

Ma è uno sbaglio pensare che un carattere soltanto passivo, che guarda solo alla sua conservazione, possa alla lunga spuntarla contro una determinazione attiva. Però finché la continua lotta tra Germania e Francia avrà luogo solo come una difesa tedesca contro l'attacco francese, non si risolverà mai e alla lunga la Germania dovrà cedere. Si osservino i cambiamenti di lingua avvenuti su i territori tedeschi dal secolo XII ad oggi, e si noterà come sia errato questo comportamento già tanto danno per noi. Quando il popolo tedesco sarà divenuto consapevole di ciò la nostra determinazione non ristagnerà più in un atteggiamento passivo, ma si concretizzerà, per una svolta decisiva, in una guerra in cui la Germania cercherà di realizzare i più grandi ideali. Solo in quel momento sarà posta la parola fine ai contrasti infecondi tra Francia e Germania; logicamente con il proposito da parte della Germania che la sconfitta della Francia serva soltanto come mezzo per attuare l'espansione vitale per il nostro popolo. Oggi in Europa vivono 80 milioni di tedeschi! La bontà dei nostri propositi verrà ammessa solo quando, tra un secolo, 250 milioni di tedeschi abiteranno il nostro continente non stretti come i Coolier nelle fabbriche di un altro Stato, ma come contadini ed operai che onestamente si procurano i mezzi di sostentamento.

Nel dicembre del 1922 la situazione tra Germania e Francia parve degenerare in maniera grave. La Francia voleva ricattarci ancora più spietatamente e perciò necessitava di garanzia. Allo sfruttamento economico si doveva aggiungere un'oppressione politica e il popolo francese pensò di poter sottomettere il nostro popolo ribelle, soltanto con un attacco al centro vitale dell'economia e del prestigio tedesco. Occupando la Ruhr la Francia pensò di mettere con le spalle al muro di punto di vista spirituale la Germania e di porci in una situazione finanziaria così grave da accettare qualsiasi soluzione propostaci, anche la peggiore. Con questo comportamento si tendeva a piegare ed infine a spezzare la Germania. E così sarebbe accaduto. Con l'occupazione della Ruhr il cielo ci diede ancora la possibilità di risollevarla. Infatti ciò che da prima sembrava una disgrazia, ad una più attenta analisi mostrò di possedere la chiave per porre fine alle nostre miserie.

L'occupazione della Ruhr attuata dalla Francia le causò inimicizie da parte dell'Inghilterra, non solo a livello diplomatico, l'alleanza con la quale era stata mantenuta per i precisi vantaggi, ma anche da gran parte della popolazione inglese.

La cui economia non sopportò questo rafforzamento finanziario di una potenza continentale. La Francia militarmente in Europa era superiore alla Germania di un tempo e in più si era consolidata finanziariamente tanto da non temere alcuna concorrenza sia in politica, sia in economia. Le più produttive miniere di ferro e di carbone d'Europa erano entrate in possesso di uno Stato che contrariamente alla Germania si prodigava attivamente in tutto il mondo a salvaguardia dei propri interessi e in più durante il conflitto aveva dato prova di essere una grande potenza militare.

Questa occupazione toglieva all'Inghilterra i vantaggi che derivavano dalla vittoria, mentre di fatto la vittoria passava dalle mani della più esperta diplomazia inglese in quelle del maresciallo Foch e quindi della Francia. Anche l'atteggiamento dell'Italia verso la Francia, che già prima non era dei più felici si tramutò in aperta ostilità. In quello un momento critico che sembrò minare la potente alleanza. Se non accadde questo cioè l'aperta ostilità tra quei paesi, come era avvenuto nella seconda guerra balcanica, ciò fu dovuto alla mancanza in Germania del pascià Enver e all'esistenza del cancelliere Cuno.

Le ripercussioni che si ebbero in Germania anche in politica interna le offrirono la possibilità di un miglior futuro. Gran parte del paese capì all'improvviso del suo errore nel considerare lo stato francese il più degno rappresentante del progresso e della civiltà.

I fatti avvenuti nella primavera del 1923 servivano come quelli del 1914 a distogliere dal nostro popolo i miraggi di una comprensione internazionale e lo riportò nella solita routine dell'eterna lotta, dove l'individuo più debole soccombe per premettere la vita del più forte. Allorché la Francia attuò i suoi propositi e iniziò con cautela, l'occupazione della Ruhr, scoccò, per la Germania, un ora molto importante. Se, allora, il nostro paese, aprendo gli occhi, si fosse ribellato la Ruhr sarebbe stata per la Germania quello che Mosca era stato per Napoleone. V'erano due sole possibilità: o accettare il dato di fatto, o raccogliendo tutto il proprio coraggio e il proprio furore scagliarsi contro gli invasori, in modo da eliminare con una temporanea paura, una paura che non sarebbe stata mai più cancellata. Trovare una terza soluzione per il grande merito del Cancelliere Cuno e nello stesso tempo di quei partiti tedeschi che l'appoggiavano e lo aiutarono.

Considererò rapidamente la seconda soluzione: l'occupazione della Ruhr era stata una violazione ai patti di Versailles. Si era resa odiosa anche a molte potenze alleate e specialmente all'Inghilterra e all'Italia. Essa non poteva riporre alcuna speranza in questi Stati a causa della sua egoistica e ladresca azione. Per la Germania nazionale si apriva soltanto una strada, quella voluta dall'onore. Certamente all'inizio non si poteva schierare contro la Francia un forte esercito, ma d'altra parte qualsiasi atteggiamento sarebbe risultato infecondo se non fosse stato appoggiato da una forza armata. Non potendo offrire una resistenza attiva era inutile dire: "non vogliamo trattative! ", ma fu assurdo accondiscendere a trattative senza possedere una forza.

L' occupazione della Ruhr non si sarebbe potuta evitare con misure militari. Soltanto un folle avrebbe deciso un simile atteggiamento. Ma sotto lo sdegno, ancora vivo, di quella azione la Germania doveva rivolgere le sue mire (trascurando il trattato di Versailles già violato dalla Francia) a formare un esercito per metterlo al servizio dei suoi diplomatici nel momento delle trattative.

Infatti si sapeva benissimo che questa questione si sarebbe risolta a tavolino. Ma altrettanto bene si doveva sapere che bisognava disporre di una forza organizzata per poter difendere i propri diritti. Un malaticcio non può combattere con un gladiatore e un diplomatico debole dovette sempre sopportare che un brenno dettasse legge se non aveva anni per contrastarlo. Fu penosissimo assistere alla forza dei negoziati che continuarono a susseguirsi dal 1918 in cui dovemmo subire ogni genere di imposizioni. Ci comportammo come dei burattini partecipando ad un tavolo di conferenza in cui dovevano discorrere su decisioni già prese e che inevitabilmente dovevamo accettare. Certamente i nostri diplomatici non brillarono per acume e accettarono fin troppo tolleranti le parole di Lloyd George a proposito del cancelliere del Reich, Simon: "Il popolo tedesco non sa neanche scegliersi persone di spirito come loro rappresentanti ".

Ma anche gli eroi a causa della debolezza del loro paese non sarebbero giunti a nulla di fronte alla risolutezza del nemico. Colui il quale nella primavera del 1923 prendendo spunto dall'occupazione francese avesse voluto ristabilire una forza militare avrebbe dovuto, prima, fornire al popolo le armi ideologiche consolidando il suo carattere per poter sconfiggere i responsabili di questa situazione. Nel 1919 pagammo duramente il non aver eliminato nel 1914-1915 l'insidia marxista ed ora paghiamo per non aver saputo sfruttare l'occasione offertaci nella primavera del 1923 di eliminare completamente i marxisti traditori e assassini del popolo.

Ogni occasione per opporsi alla Francia doveva seguire alla distruzione di quelle forze che cinque anni prima avevano minato la potenza tedesca sui campi di battaglia. Soltanto gli animi borghesi poterono pensare che il marxismo fosse cambiato e che i criminali esponenti che nel 1918 sfruttarono il sacrificio di due milioni di persone per salire al potere fossero disposti nel 1923 a saldare i conti con il popolo tedesco.

La concezione più infondata fu quella che i traditori della patria potessero divenire ad un tratto i difensori degli interessi nazionali. Come gli avvoltoi non rinunziano alla carogna così il marxismo non verrà mai meno a tradire la patria. Non mi si contraddica affermando che tante persone si sacrificano per la Germania, quelli erano lavoratori tedeschi e non più marxisti internazionali. Se nel 1914 gli operai tedeschi erano dei veri marxisti il conflitto si sarebbe risolto nel giro di tre settimane.

Il Reich si sarebbe arreso prima che un solo soldato avesse potuto sparare. Se il paese combattè fu proprio perché il marxismo non aveva ancora preso piede. Ma via via che l'operaio e il soldato tedesco capitava.no sotto governanti marxisti non servivano più per la patria. Se all'inizio e durante il conflitto si fossero uccisi con i gas dodici o quindici mila di quei giudei distruttori del popolo, come rimasero uccisi dai gas sui campi di battaglia centinaia di migliaia di tedeschi di tutte le classi, non sarebbero morte invano milioni di persone. Ammazzando dodici mila criminali finché si era in tempo avrebbero guadagnato la vita un milione di preziosi tedeschi.

Ma fu caratteristica della politica borghese lasciar morire senza far nulla per salvarle milioni di persone, mentre furono considerati inviolabili dieci o dodici mila traditori della patria, furfanti, usurai, assassini. Che cosa predomina nel mondo borghese: l'impotenza, la vigliaccheria oppure la distorsione mentale? Certamente è giusto che scompaia una classe che purtroppo porta con sé nella tragedia un paese intero. Nel 1923 si ripeteva la stessa situazione del 1918.

Prima di intraprendere qualsiasi opposizione bisognava prima di tutto estirpare dal nostro paese il veleno mortale dei marxisti. A mio giudizio il primo dovere di un governo veramente nazionale era quello di organizzare delle forze sicure per combattere il marxismo e poi lasciare il campo aperto a queste forze.

Era suo compito non già invitare all'ordine e alla calma quando il nemico ci pugnalava alle spalle e il tradimento all'interno del paese stava dietro ogni angolo. Un governo nazionale avrebbe dovuto optare proprio per l'opposto di queste cose, se nel caos era possibile avere una definitiva risoluzione con i marxisti mortali nemici del nostro paese. Se non si agiva in questa maniera era una pazzia poter organizzare una qualsiasi resistenza. Certamente, tirare le somme per i marxisti, fatto di rinomanza mondiale, non può essere possibile sotto un piano organizzato da un Consiglio segreto o da un'antica e sterile multa di un ministro, ma devono essere tirate sotto le leggi senza fine della vita che si trascina a questo mondo, le quali sono e rimangono quelle di una battaglia per la sopravvivenza. Bisognava considerare che molte volte dalle più recenti guerre interne sorge una virile e robusta anima di Stato, viceversa da una pace sorretta con mezzi falsi sorge la decomposizione. Non si possono mutare con la delicatezza i destini delle Nazioni. Nel 1923 ci si doveva muovere con cattiveria per accalappiare le sanguisughe che si cibavano del sangue nostro. Se si realizzava, si sarebbe impostato un fine all'organizzazione di resistenza attiva.

In quel periodo io tenni dei comizi, nei quali tentai di far comprendere per lo meno ai circoli nazionali che cosa ci stava sul tavolo, e che ricadendo sugli sbagli fatti nel 1914 e nei successivi anni saremmo giunti, come nel 1918, ad un disastro. Ho sempre chiesto che il destino agisse liberamente e che fosse concesso al nostro movimento un colloquio col marxismo: ma parlai a persone che non udivano.

Questi, incluso il dirigente delle forze armate, compresero più di me ciò che era utile fare; e alla fine firmarono la più indegna capitolazione mai esistita. lo capii chiaramente che la borghesia tedesca era giunta alla fine del suo lavoro e che non era più in condizione di compierne altri. In quel momento compresi che i partiti borghesi bisticciavano col marxismo solamente per invidia, per contrapposizione, senza nessun reale fine di aumentarlo; in definitiva, avevano molto prima superato la distruzione della Germania e agivano soltanto spinti dal fatto di poter essere presenti al suo funerale. Questo era ciò che li spingeva a lottare.

Fu quello il periodo, lo dichiaro chiaramente, nel quale nacque nella mia mente il sincero rispetto per quell'insigne uomo italiano, il quale, amando intensamente la sua patria, non cercò accordi con l'avversario interno dell'Italia, ma decise di distruggerlo in ogni modo. Quello che porrà Mussolini fra i più illustri uomini del mondo è il proposito di non dividere Italia con il comunismo, ma di aiutare gli italiani annientando il marxismo. Di fronte a lui, i nostri politici sembrano enormemente poveri! E da quale capogiro si viene presi nell'osservare come critichino, questi miseri, coloro che risultano più grandi.

Com'è ridicolo, ricordare che ciò accade in uno Stato, che solo 50 anni fa, era diretto da un Bismarck! Questa condizione di spirito del nostro popolo e la labilità di azione diretta contro il comunismo, facilitarono nel 1923 la fine della resistenza attiva nella Ruhr. Era una pazzia il combattere con la Francia tenendo in seno ai nostri combattenti il peggiore nemico. Si realizzò così una schermaglia che diede orgoglio alle genti nazionali tedesche, colmare l'eccitato spirito popolare, o, più esattamente, tradirlo.

Se i politici del 1923 fossero stati convinti veramente delle loro azioni, sarebbero stati in grado di vedere che la potenza di un popolo è riposta, principalmente, non nelle sue armi, ma nella sua tenacità e che per trionfare sull'antagonista esterno si deve innanzitutto distruggere quello interno: se non risulteranno guai, se la battaglia non èvinta subito.

Sarà sufficiente il sentore di un tracollo per rompere la resistenza di un popolo schiavo del nemico interno, e per concedere all'antagonista il trionfo ultimo. Ciò si era in grado di comprendere nel 1923. Non si affermi che non era possibile un trionfo militare contro la Francia. Se l'occupazione francese della Ruhr non avesse portato come effetto quello del crollo del comunismo internamente alla Germania, sarebbe stato sufficiente per porre il trionfo a noi. Una Germania senza questi avversari mortali per la sua sopravvivenza e per il suo futuro, avrebbe delle potenze che nessuno sarebbe in grado di annegare.

Il momento stesso in cui in Germania il comunismo sarà annientato, il giogo tedesco sarà per sempre distrutto. Poiché noi, nell'andamento della storia, non uscimmo mai annientati della potenza dei nostri nemici, ma soltanto dai nostri propri difetti e dagli avversari interni. Il governo tedesco di quel tempo, poiché non riuscì a compiere una azione eroica, avrebbe potuto prendere la prima strada: quella di non compiere niente e permettere che gli avvenimenti seguissero il loro destino. Ma nel momento importante, Dio regalò alla Germania un'illustre persona, il signor Cuno. Non era uno statista o un politico di mestiere e ancor meno di nascita: ma era il simbolo di una categoria di nuovi politici ai quali si chiede aiuto soltanto per sbrogliare certi lavori: tutto al più era serrato in economia. Ciò risultò una tragedia per la Germania, poiché questo negoziante, allorché si occupò di politica guardò alla politica come una azione economica e agì di conseguenza.

La Francia invase la Ruhr: che cosa esiste nella Ruhr? Il carbone. Perciò la Francia si impadronì della Ruhr per il carbone. Perciò la cosa più logica da farsi per il signor Cuno fu quella di indire lo sciopero: in questo modo la Francia non avrebbe avuto il carbone e quindi, seguendo l'idea del signor Cuno, prima o poi abbandoneranno la Ruhr, a causa del fallito guadagno dell'impresa.

Grosso modo così pensò quell'eccellente statista nazionale, che a Stoccarda ed in altri paesi dialogò alla sua gente e da questa fu lodato. Ma per realizzare lo sciopero erano obbligatori i comunisti, poiché le prime persone ad astenersi dal lavoro risultavano gli operai. Si dovette quindi spingere gli operai, che nella mente di un così grande statista, sono uguali ai comunisti, a schierarsi con tutti gli altri tedeschi.

In che maniera raggiavano i volti di quei putrefatti uomini politici borghesi, quando si diede quell'ordine! Nazionali ed astuti contemporaneamente: erano riusciti in fondo ad avverare il loro desiderio. Era sorto il passaggio che portava al comunismo, ed il malvivente nazionale poteva ora allungare, con volto tedesco e parole nazionali, la mano pulita al nemico internazionale della Nazione. Poiché, nella stessa maniera in cui Cuno per la sua linea unitaria cercava l'aiuto dei dirigenti comunisti, i dirigenti comunisti cercavano un aiuto nelle finanze di Cuno.

Cuno ebbe la sua linea unitaria composta di parlatori nazionali e di malviventi antinazionali, mentre i truffatori internazionali furono in grado di giungere, pagati dalla nazione, al loro più grande ideale, quello di gravare sull'economia nazionale. Si rivelò un pensiero immortale di quello di aiutare, con uno sciopero generale retribuito, uno Stato: con un'azione alla quale può partecipare pure il più afono dei pigri. In questo modo ambedue ottennero un guadagno.

Tutti comprendono che non si è in grado di aiutare un'azione con le orazioni. E non si è in grado di aiutarlo neanche ponendolo in riposo. Perciò se il signor Cuno invece di invitare la popolazione ad uno sciopero generale rimborsato, e di fare lo sciopero alle fondamenta della linea unitaria, avesse voluto da ogni cittadino tedesco due sole ore di straordinario la banda della linea unitaria avrebbe avuto fine al terzo giorno. Non si aiutano gli Stati con il riposo, ma con abnegazione. La soprannominata resistenza passiva non sarebbe stata in grado di vivere più tempo.

In quanto soltanto chi non ne capisce niente di guerra poteva credere di intimorire con le azioni tanto sciocche un esercito di invasione. Ma, soltanto ciò può spiegare il motivo di un'azione che faceva perdere miliardi ed aiutò a deturpare pericolosamente la finanza nazionale. I francesi furono in grado con molta calma ad occupare la Ruhr nell'istante in cui notarono che l'opposizione utilizzava certi espedienti.

Noi stessi donammo a questi i più sicuri rimedi per portare alla ragione il testardo popolo il cui modo di agire costituisce una grave perplessità per le autorità poste dagli invasori. Nove anni fa ci eravamo sbarazzati rapidamente dei franchi tiratori belgi ed avevamo spiegato alla popolazione il pericolo del momento, quando l'azione di quei tiratori costituì un grande pericolo per gli eserciti tedeschi.

Se la resistenza passiva della Ruhr avesse assunto un aspetto grave per i francesi l'esercito di invasione avrebbe impiegato otto giorni per finire quello sciocco passatempo. Come avremmo agito se la resistenza passiva fosse stata pericolosa per i francesi e se essi l'avessero combattuta con tragica irruenza? Sarebbe continuata la resistenza? Se sì., dovevamo prepararci alle più crudeli rappresaglie: e questo avrebbe portato alla medesima situazione di una resistenza attiva alla battaglia. Perciò una resistenza passiva sarebbe stata logica se ci fosse stata la fermezza di continuarla, in caso di bisogno, o con una guerra aperta o con la guerriglia.

Naturalmente si prende in considerazione questa guerra quando esiste una strada per la vittoria. Quando una fortezza circondata viene attaccata dagli avversari, vede crollare l'ultima speranza di aiuto, praticamente si arrende, specialmente se all'assediato invece della certa morte viene salvata la vita. Se si leva ai soldati di un castello assediato la speranza di un aiuto, tutta la potenza difensiva viene annullata. Perciò, la resistenza passiva nella Ruhr, avendo presenti gli ultimi risultati che poteva e doveva ottenere per uscirne realmente trionfatrice, era significativa soltanto se alle sue spalle fosse sorta una linea attiva. Solo in quel momento, si sarebbero potute chiedere al popolo tedesco infinite azioni.

Se tutti i cittadini della Westfalia avessero conosciuto che la Germania schierava una forza di 80 o 100 divisioni, i francesi sarebbero stati meno sicuri. Vi sono molte più persone pronte a sacrificarsi per il trionfo, che per un motivo non avente un fine. Fu una azione classica quella che spinse i nazional-socialisti a schierarsi, con fermezza, contro una parola d'ordine eccezionale. E realizzarono anche ciò.

In quel periodo io fui attaccato da persone il cui ideale nazionale si basa su un agglomerato di stupidità e di presunzione, che urlavano in quanto si sentivano più forti, inspiegabilmente, farsi vedere nazionali senza timore. Per me, quella schifosa linea unitaria consisteva in una delle più sciocche società che si sia in grado di pensare, ed i fatti convalidarono la mia tesi.

Allorché i sindacati ebbero incamerati i denari, e la resistenza passiva dovette pensare se era utile cambiare un'inutile difesa in un attivo attacco, i comunisti emersero dal popolo e ripresero le normali sembianze. Anche tra di noi ci furono molti fiduciosi dell'esercito tedesco. Questa fiducia era così forte che modellò la condotta e l'educazione militare di molti giovani.

Ma quando giunse il disastro e dopo l'invasione di miliardi di marchi e di giovani leve tedesche, che risultarono tanto sciocche per credere alle promesse dei responsabili del Reich, si giunse alla triste capitolazione, subentrò irruento il rancore generale contro il tradimento fatto alla nostra popolazione così disagiata. Si radicò chiaramente in quel momento, in milioni di persone, la convinzione che la Germania poteva soltanto essere salvata dalla distruzione totale, dall'esistente organizzazione.

I periodi non furono mai così maturi, non diedero mai così decisamente un simile risultato, come quando cadendo la maschera da un lato, apparì lo spregevole tradimento della patria e dall'altro lato una popolazione fu data in mano alla lenta agonia per fame. In quanto lo stesso Stato non rispettava le leggi dell'attaccamento alla patria e la giustizia, non considerava i diritti degli uomini, faceva diventare inutili i sacrifici di milioni di tedeschi e a milioni di altri toglieva tutti i risparmi; l'unica cosa che esso poteva attendersi dai suoi cittadini era l'odio. Quest'odio contro coloro i quali avevano distrutto la patria e la popolazione doveva sfociare in una maniera o in un'altra.

Citerò, per questo, il risultato del discorso che tenni all'importante processo della primavera del 1924: "Le persone che in questo Stato ci devono guidare sono in grado tranquillamente di colpirci per le nostre azioni passate. La storia, giudice di rara verità e di maggiore diritto, un domani dichiarerà ridendo il vostro parere per toglierci noi tutti da ogni accusa e nefandezza ".

"Ma la storia indicherà ai suoi giudici quelli che attualmente, aventi il comando, schiacciano la legge e il diritto, che portarono alla disgrazia ed alla distruzione il proprio paese e che, nella miseria della patria, pensarono di più a loro stessi che all'esistenza del loro popolo ". Non citerò ora i fatti che portarono all'8 novembre e lo finirono. Non lo dirò perché non ci vedo nessuno scopo redditizio, per il futuro, da quei fatti, e perché non è giusto ricordare avvenimenti che ancora pesano. Poi, è poco intelligente accusare delle persone che, forse, intimamente volevano il miglioramento del proprio popolo, ma non percorsero la strada giusta. Davanti al cordoglio della nostra comune Nazione, non avrei voglia di colpire ancora queste persone: poiché non è mia intenzione scindere fra loro uomini che forse domani comporranno la vera barriera tedesca contro il fronte degli avversari della Germania.

lo comprendo che giungerà il giorno in cui anche coloro i quali un tempo ci avevano giudicati avversari, mediteranno con orgoglio su quelle persone che per la Germania sfilarono incontro alla morte. I 18 eroi morti il 9 novembre 1923 a Monaco per la vittoria dell'ideale nazionale, io li pongo di fronte ai nostri affiliati e seguaci, come gloriosi che, conoscendo la loro sorte, si sacrificarono per il bene comune. Essi devono spronare i codardi e i timorosi al compimento del proprio dovere, di un dovere che essi compirono fino in fondo. Fra tutti, sono orgoglioso di ricordare la persona che sacrificò la propria esistenza per scuotere la propria e la nostra gente; l'immolò con lo scritto e con la mente ed infine con il suo contributo: Dietrich Eckart! Il 9 novembre 1923, dopo 4 anni di vita, il partito nazional-socialista degli operai tedeschi fu smembrato e negato in tutta la Germania.

Attualmente, nel novembre 1926, è nuovamente sorto e riconosciuto in tutta la Germania, più potente e più solido che prima. Tutti i delitti del movimento ed i suoi dirigenti, tutti gli atti vandalici e le maldicenze non poterono sotterrarlo. La verità dei suoi ideali, la limpidezza della sua fermezza, il coraggio dei suoi affiliati lo fecero uscire con più grande slancio al di là di tutto ciò. Se questo, nell'ambiente della nostra attuale malfattrice parlamentare, capirà sempre più nell'interna regione della sua battaglia e comprenderà di essere il simbolo dei fini razziali e umani, acquisterà un domani, grazie ad una tesi quasi certa, il trionfo. Così la Germania si inserirà nel posto che le compete al mondo, se sarà guidata e preparata seguendo quegli ideali. Ciò è quello che i nostri affiliati non devono scordare, se l'ampiezza del sacrificio li portasse a non sperare più nella Vittoria.

Una nazione che, nell'era della soppressione delle razze, pensa ai migliori elementi della propria stirpe, deve essere un domani la padrona del mondo.


torna all'indice del Mein Kampf ( La mia battaglia ) di Adolf Hitler